Reati e pene - Crollo di costruzioni e altri disastri dolosi - Disastro innominato - Fattispecie di disastro ambientale - Dedotta indeterminatezza della norma incriminatrice - Asserita violazione dei principi di tassatività della fattispecie penale, di colpevolezza, della finalità di prevenzione generale, nonché del diritto di difesa - Esclusione - Non fondatezza delle questioni - Auspicio che l'ipotesi del c.d. disastro ambientale formi oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale.
Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 434 cod. pen., nella parte in cui punisce il c.d. disastro innominato, sollevate in riferimento agli artt. 24, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione, in quanto la norma nella sua formulazione non sarebbe idonea ad assicurare il rispetto del principio di tassatività della fattispecie penale. La nozione di "altro disastro", su cui gravita la descrizione del fatto illecito, si connette all'impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a mettere in pericolo la pubblica incolumità e, ciò, soprattutto in correlazione all'incessante progresso tecnologico che fa continuamente affiorare nuovi fonti di rischio e, con esse, ulteriori e non preventivabili modalità di aggressione del bene protetto. Inoltre, l'aver anteposto, nella descrizione della fattispecie criminosa, al termine "disastro", l'aggettivo "altro", fa si che il senso di detto concetto - spesso in sé alquanto indeterminato - riceva "luce" dalle species dei disastri preliminarmente enumerati e contemplati negli articoli compresi nel capo relativo ai "delitti di comune pericolo mediante violenza" (c.d. disastri tipici) che richiamano una nozione unitaria di disastro, inteso come evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi, gravi, complessi ed estesi, ed idoneo a determinare un pericolo per la vita e l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone (senza che sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o della lesione di uno o più soggetti). La verifica del rispetto del principio di determinatezza va, del resto, condotta non già valutando il singolo elemento descrittivo dell'illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie, nell'ambito della disciplina in cui si inserisce. In particolare, l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta al giudice - avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato, permettendo, al contempo, al destinatario della norma, di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore percettivo. L'accertata insussistenza di un vulnus al principio di determinatezza, travolge altresì le ulteriori censure relative al diritto di difesa, al principio di colpevolezza e alla finalità di prevenzione speciale della pena. Tuttavia, in relazione ai problemi interpretativi che possono porsi nel ricondurre alcune ipotesi al paradigma del c.d. disastro innominato (tra le quali, segnatamente, l'ipotesi del disastro ambientale), è auspicabile un intervento del legislatore penale che disciplini in modo autonomo tali fattispecie criminose. - Sulla compatibilità con il principio di determinatezza dell'uso, nella formula descrittiva dell'illecito penale, di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi ovvero di clausole generali o concetti "elastici", vedi citata la sentenza n. 5/2004, nonché, ex plurimis le sentenze n. 34/1995; n. 122/1993 e n. 247/1989; le ordinanze n. 395/2005; n. 302/2004 e n. 80/2004. - Nel senso che la sufficiente determinatezza della fattispecie penale assicura, da un lato, il principio della divisione di poteri e della riserva di legge in materia penale (evitando che il giudice assuma un ruolo creativo nell'individuare il confine tra ciò che è lecito ed illecito) e, dall'altro, garantisce la libera determinazione individuale permettendo del destinatario della norma penale di conoscere le conseguenze giuridico-penali del proprio agire, vedi citate, le sentenze n. 185/1992 e n. 364/1988. - Sulla legittimità costituzionale delle fattispecie c.d. ad analogia esplicita, vedi citata, la sentenza n. 120/1963.