Processo penale - Immediatezza della deliberazione e immutabilità del giudice - Rinnovazione del dibattimento dopo il mutamento della persona fisica del giudice - Necessità, secondo l'interpretazione della Cassazione a sezioni unite, di procedere alla riassunzione della prova dichiarativa, in caso di richiesta di parte e sempre che l'atto non risulti impossibile - Asserita ingiustificata disparità di trattamento rispetto a fattispecie similari, nonché denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, di uguaglianza dei giudici dinanzi alla legge e di ragionevole durata del processo - Questione analoga ad altre già dichiarate manifestamente infondate - Inidoneità degli evocati tertia comparationis - Manifesta infondatezza della questione.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen., impugnato, in riferimento agli artt. 3, 101 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che alla deliberazione debbano concorrere a pena di nullità assoluta i medesimi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Premesso che il rimettente si duole, invero, della disciplina delle modalità di rinnovazione del dibattimento dopo il mutamento della persona fisica del giudice, che, nell'interpretazione accolta dalla Cassazione a sezioni unite, impone al nuovo giudice di procedere alla riassunzione della prova dichiarativa ove una parte ne faccia richiesta e sempre che l'atto non risulti impossibile, così escludendo che le prove già acquisite siano legittimamente utilizzabili tramite semplice lettura dei relativi verbali; la norma de qua , nel fissare la regola dell'immutabilità del giudice, attua il principio di immediatezza che postula la tendenziale identità tra il giudice che assume le prove e il giudice che decide. In tale ottica, non vi è alcuna irrazionalità nella denunciata disciplina, poiché la parte che chiede la rinnovazione dell'esame del dichiarante esercita il proprio diritto, garantito dal principio di immediatezza, all'assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere. Né sussiste la dedotta disparità di trattamento rispetto alle ritenute fattispecie similari di cui agli artt. 26, 33- nonies , 42, comma 2, e 238 cod. proc. pen. - concernenti, rispettivamente, l'inosservanza delle disposizioni sulla competenza e sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, l'astensione e la ricusazione del giudice e l'acquisizione dei verbali di prove provenienti da altro procedimento - nelle quali la conservazione dell'efficacia di prove già acquisite non impedisce, di norma, l'operatività delle regole generali in caso di mutamento del giudice, ivi compresa quella censurata. Del tutto incongrue, poi, sono le argomentazioni a sostegno della prospettata violazione dell'art. 101 Cost., ove non si legge affatto, come vuole il rimettente, che «tutti i giudici sono uguali dinanzi alla legge», ma che i giudici «sono soggetti soltanto alla legge»: principio che non risulta minimamente scalfito dall'applicabilità della disciplina in questione, volta alla tutela del diverso valore dell'immediatezza. Infine, l'asserito contrasto con l'art. 111 Cost. è escluso dal rilievo che il principio di ragionevole durata del processo deve essere contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali del processo penale, la cui attuazione positiva è insindacabile, ove frutto, come nella specie, di scelte non prive di una valida giustificazione. La ratio della rinnovazione della prova dichiarativa - garantita all'imputato dall'art. 111, terzo comma, Cost. - si fonda sull'opportunità di mantenere un rapporto diretto tra giudice e prova, non assicurato dalla mera lettura dei verbali: vale a dire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche non verbali, prodotti dal metodo dialettico dell'esame e del controesame, che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio. La regola del riesame del dichiarante, in presenza di una richiesta di parte, costituisce uno dei profili del diritto alla prova, strumento necessario del diritto di azione e di difesa, e, in pari tempo, uno degli aspetti essenziali del modello processuale accusatorio, espresso dal vigente codice di rito, la cui osservanza è ragionevolmente presidiata dalla nullità assoluta, massima sanzione processuale. Nel senso che, in caso di sostituzione del giudice in corso di dibattimento, la lettura del verbale del precedente esame testimoniale è legittima solo dopo nuovo esame del teste, salvo che questo non abbia luogo, v. le seguenti citate decisioni: ordinanza n. 99/1996 e sentenza n. 17/1994. Per la manifesta infondatezza di analoghe questioni, v. le citate ordinanze n. 318/2008, n. 67/2007, n. 418/2004, n. 73/2003, n. 59/2002, n. 431/2001 e n. 399/2001. Sul diritto della parte all'assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere, v. le citate ordinanze n. 318/2008, n. 67/2007 e n. 418/2004. Sull'erroneo richiamo, quale tertium comparationis , dell'art. 238 cod. proc. pen., in tema di acquisizione dei verbali di prove provenienti da altro procedimento, il quale non consente affatto - in presenza della richiesta di nuovo esame avanzata da una delle parti - di utilizzare mediante lettura le precedenti dichiarazioni assunte da diverso giudice, v. le citate ordinanze n. 59/2002, n. 431/2001 e n. 399/2001. Sull'applicabilità delle regole valevoli in via generale in caso di mutamento del giudice, ove vi sia stata inosservanza delle disposizioni sulla competenza o sulla composizione monocratica o collegiale del tribunale, v. la citata ordinanza n. 67/2007. Sul principio di soggezione dei giudici soltanto alla legge, v. la citata ordinanza n. 399/2001. Sulla necessità costituzionalmente imposta che il principio di ragionevole durata del processo sia contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali rilevanti nel processo penale, v. le citate ordinanze n. 318/2008, n. 67/2007, n. 418/2004 e n. 399/2001. Sulla possibilità, per il legislatore, di introdurre presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio del diritto della parte ad una nuova audizione del dichiarante, v. le citate ordinanze n. 318/2008 e n. 67/2007.