Processo penale - Giudizio conseguente all'opposizione a decreto penale di condanna - Possibilità per l'imputato di accedere a riti alternativi diversi da quello richiesto con l'atto di opposizione - Preclusione - Denunciata lesione del diritto di difesa tecnica - Asserito contrasto con gli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) - Censura di norma diversa da quella da applicarsi nel giudizio principale - Difetto di motivazione sulla rilevanza - Mancata verifica della praticabilità di una diversa interpretazione del quadro normativo - Manifesta inammissibilità della questione.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 461, comma 1, e 464, comma 3, cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost., nonché all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella parte in cui precludono all'imputato, nel giudizio conseguente all'opposizione a decreto penale di condanna, la possibilità di accedere a riti alternativi non richiesti con lo stesso atto di opposizione. Innanzitutto, il rimettente censura una norma diversa da quella di cui deve fare applicazione poiché, svolgendosi il giudizio principale davanti al Tribunale in composizione monocratica, la denunciata preclusione è sancita per il relativo procedimento non già dall'art. 464, comma 3, cod. proc. pen., ma da una norma distinta, anche se di identico contenuto, quale l'art. 557, comma 2, cod. proc. pen., non coinvolto nello scrutinio. Inoltre, la questione difetta di rilevanza tenuto conto che, come si desume dall'ordinanza di rimessione, nessuna richiesta di patteggiamento è stata, in concreto, presentata dall'imputato, neppure successivamente all'opposizione; né il rimettente precisa se l'imputato sia ancora in termini per la presentazione della richiesta del rito alternativo in base alle regole ordinarie, che rimarrebbero pur sempre operanti ove venisse rimossa la preclusione censurata, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza. Infine, il giudice a quo omette di verificare la praticabilità di un'interpretazione del quadro normativo diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità prospettati e tale da determinarne il superamento, trascurando, in particolare, la possibilità di ritenere, in via ermeneutica, che l'assetto introdotto dalla sentenza n. 120 del 2002 con riguardo alla conversione del giudizio immediato in abbreviato sia già operante rispetto alla richiesta di riti alternativi nell'ambito del procedimento per decreto. La citata sentenza ha dichiarato l'art. 458, comma 1, cod. proc. pen. incostituzionale nella parte in cui prevede che il termine entro cui l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorra dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato, così sostanzialmente trasponendo a tale termine la regola dettata per la decorrenza del termine di impugnazione dall'art. 585, comma 3, cod. proc. pen.: regola in forza della quale, ove la decorrenza risulti diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera il termine che scade per ultimo. Nel caso di specie, il giudice a quo muove dal presupposto, implicito e indimostrato, che il termine di quindici giorni per proporre opposizione al decreto di condanna - e, conseguentemente, per effettuare la scelta dell'eventuale rito alternativo nell'ambito del procedimento per decreto - decorra esclusivamente, ai sensi dell'art. 461, comma 1, cod. proc. pen., dalla notificazione del decreto all'imputato. Il rimettente non tiene conto, tuttavia, della circostanza che, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 20 della legge n. 60 del 2001, il decreto di condanna deve essere attualmente notificato, non più al solo imputato, ma anche al difensore di ufficio (all'uopo designando) o al difensore di fiducia eventualmente nominato (art. 460, comma 3, cod. proc. pen.). A fronte di siffatta previsione, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il difensore di ufficio sia autonomamente legittimato a proporre opposizione al decreto e che detta opposizione sia inquadrabile nella categoria dei mezzi di impugnazione, donde l'applicabilità ad essa delle norme generali sulle impugnazioni, ove non specificamente derogate. Fra tali norme rientra anche il già citato art. 585, comma 3, cod. proc. pen.: con la conseguenza che, qualora a causa del diverso momento di notifica del decreto la decorrenza del termine di opposizione risulti diversa per l'imputato e per il suo difensore (sia esso di fiducia o di ufficio), opera per entrambi il termine che scade per ultimo. Per la manifesta inammissibilità delle questioni per inesatta individuazione della norma oggetto di censura, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 256/2009, n. 193/2009 e n. 301/2008. Per la manifesta inammissibilità di questione avente ad oggetto una fattispecie analoga, v. la citata ordinanza n. 69/2008. Per la declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 458, comma 1, cod. proc. pen., v. la citata sentenza n. 120/2002. Per la manifesta inammissibilità delle questioni per omessa verifica della possibilità di pervenire ad un'interpretazione costituzionalmente orientata, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 244/2009, n. 171/2009, n. 155/2009 e n. 117/2009.