Articolo 464 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per insufficiente motivazione sulla rilevanza, nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 464-bis, comma 2, e 521, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la possibilità di disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova ove, in esito al giudizio, il fatto di reato venga, su sollecitazione del medesimo imputato, diversamente qualificato dal giudice così da rientrare in uno di quelli contemplati dal primo comma dell'art. 168-bis cod. pen. Dal mero confronto tra il capo di imputazione e la pur sintetica descrizione, contenuta nell'ordinanza di rimessione, delle risultanze istruttorie, non emerge infatti alcuna diversità tra i fatti storici descritti nel decreto che dispone il giudizio, e quelli che l'imputato - sulla base degli atti di indagine - risulta effettivamente avere commesso; bensì - esclusivamente - una diversità nella qualificazione giuridica da parte del giudice rispetto a quella originariamente ipotizzata dal pubblico ministero, disciplinata - come esattamente ritenuto dal giudice a quo - dal censurato art. 521, comma 1, cod. proc. pen.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per omesso tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata, delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-bis, comma 2, e 521, comma 1, cod. proc. pen. Il rimettente ha non già omesso, bensì risolto con esito negativo la verifica di praticabilità di una esegesi costituzionalmente orientata della normativa denunciata, deducendo l'impraticabilità di una rimessione in termini dell'imputato per la richiesta di ammissione alla sospensione del processo con messa alla prova in caso di diversa qualificazione del fatto a conclusione del giudizio abbreviato. Tanto basta ai fini dell'ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale proposte, attenendo invece al merito la valutazione se delle disposizioni censurate possa in effetti darsi una lettura conforme a Costituzione. ( Precedenti citati: sentenze n. 135 del 2018, n. 255 e n. 53 del 2017 ).
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal GUP del Tribunale di Catania in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost. - degli artt. 464- bis , comma 2, e 521, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la possibilità di disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova ove, in esito al giudizio, il fatto di reato venga, su sollecitazione del medesimo imputato, diversamente qualificato dal giudice così da rientrare in uno di quelli contemplati dal primo comma dell'art. 168-bis cod. pen. Le disposizioni censurate ben si prestano a essere interpretate in modo da consentire al giudice - allorché, in esito al giudizio, riscontri che il proprio precedente diniego era ingiustificato, sulla base della riqualificazione giuridica del fatto contestato - di ammettere l'imputato al rito alternativo della sospensione con messa alla prova, che egli aveva a suo tempo richiesto entro i termini di legge, e di garantirgli in tal modo i benefici sanzionatori ad esso connessi, assicurando che l'errore compiuto dalla pubblica accusa non si risolva in un irreparabile pregiudizio a suo danno, indipendentemente dalla possibilità di conseguire o meno, nel caso concreto, un effetto deflattivo sul carico della giustizia penale, a cui tra l'altro mirano i procedimenti speciali in parola. Tale interpretazione non solo non trova alcun ostacolo nel tenore letterale delle disposizioni censurate, ma è anche conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità ed appare altresì l'unica in grado di assicurare un risultato ermeneutico compatibile con i parametri costituzionali invocati dal rimettente. ( Precedenti citati: sentenze n. 141 del 2018, n. 237 del 2012, n. 333 del 2009, n. 219 del 2004, n. 148 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995, n. 265 del 1994 e n. 76 del 1993 ). La richiesta di riti alternativi, categoria di cui fa parte anche la sospensione del procedimento con messa alla prova, costituisce una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa. Lo speciale procedimento di sospensione del processo con messa alla prova costituisce un vero e proprio rito alternativo, in grado di assicurare significativi benefici in termini sanzionatori all'imputato in cambio - tra l'altro - di una sua rinuncia a esercitare nella loro piena estensione i propri diritti di difesa in un processo ordinario. ( Precedenti citati: sentenze n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l'ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull'esito della messa alla prova. Il rimettente ha rappresentato l'effettiva necessità di una integrazione dei dati cognitivi risultanti dal fascicolo del dibattimento, al fine di valutare (anche in forma sommaria), sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la responsabilità dell'imputato.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui, con riferimento al procedimento speciale di messa alla prova, prevede il consenso dell'imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento. La lacunosità dei programmi di trattamento presentati dagli imputati e la conseguente necessità del consenso dei medesimi alla loro integrazione sono adeguatamente motivati dall'ordinanza di rimessione, consentendo così il necessario controllo sulla rilevanza delle questioni sollevate.
Sono dichiarate inammissibili - per inadeguata sperimentazione della possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata (in specie, consentita dal ricorso all'analogia) - le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 1, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Grosseto, in riferimento agli artt. 3, 111, sesto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l'ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull'esito della messa alla prova. Il giudice a quo non ha verificato compiutamente se, pur in assenza di una specifica disposizione in tal senso, gli sia ugualmente consentito, ai soli fini della decisione sulla richiesta di messa alla prova, prendere visione degli atti del fascicolo del pubblico ministero, non avendo considerato la possibilità (già ammessa dalla giurisprudenza della Cassazione nei casi, come quelli oggetto dei giudizi a quibus, di richiesta di un rito speciale presentata nell'udienza di comparizione a seguito di citazione diretta ex art. 555 cod. proc. pen.) di una applicazione analogica dell'art. 135 del d.lgs. n. 271 del 1989, il quale, con riferimento al patteggiamento, consente al giudice di accedere al fascicolo del p.m. per decidere sulla richiesta di applicazione della pena rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Né v'è ragione - non dovendosi procedere al dibattimento - di impedire al giudice la conoscenza degli atti contenuti in detto fascicolo necessaria ai soli fini della decisione sulla richiesta di messa alla prova, poiché il fatto che ciò non sia espressamente previsto non significa che sia vietato. Per costante giurisprudenza costituzionale, lo scrutinio nel merito della questione sollevata è precluso dalla mancata o inadeguata sperimentazione, da parte del rimettente, della possibilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale e tale da determinare il loro superamento o da renderli comunque non rilevanti nel procedimento a quo. ( Precedenti citati: sentenze n. 253 del 2017 e n. 45 del 2017; ordinanze n. 97 del 2017 e n. 58 del 2017 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-quater e 464-quinquies cod. proc. pen., censurati dal Tribunale di Grosseto - in riferimento all'art. 27, secondo comma, Cost. - in quanto nel procedimento di messa alla prova prevederebbero la irrogazione ed espiazione di sanzioni penali senza che risulti pronunciata né di regola pronunciabile alcuna condanna, ancorché non definitiva. Al pari del patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. - cui è assimilabile (solo) per la mancanza di un formale accertamento di responsabilità e di una specifica pronuncia di condanna - il procedimento di messa alla prova non contrasta con la presunzione di non colpevolezza, sia perché rientra (per la sua dimensione processuale) tra i riti speciali diretti ad assicurare un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario, la richiesta dei quali costituisce una delle facoltà difensive dell'imputato e quindi non può essere logicamente ritenuta lesiva delle garanzie al medesimo riconosciute; sia perché l'innovativa struttura procedimentale della messa alla prova - caratterizzata, sul piano sostanziale, dal ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio, in funzione della risocializzazione anticipata del richiedente - riserva alla volontà dell'imputato non soltanto la decisione sulla messa alla prova, ma anche la sua esecuzione, essendo il trattamento programmato (a differenza della pena ridotta applicata con la sentenza di patteggiamento) non già una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma un'attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell'imputato, il quale liberamente può farla cessare, con l'unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso; sia, infine, perché in detta procedura non manca, in via incidentale e allo stato degli atti, una considerazione della responsabilità dell'imputato, dovendo il giudice verificare che non ricorrono le condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. ( Precedenti citati: sentenza n. 313 del 1990 e ordinanza n. 399 del 1997, sulla compatibilità del patteggiamento con la presunzione di innocenza; sentenza n. 251 del 1991 e ordinanza n. 73 del 1993, sulla equiparazione della sentenza di patteggiamento a una sentenza di condanna ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Grosseto - in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, secondo comma, Cost. - nella parte in cui, con riferimento all'istituto della messa alla prova, prevede il consenso dell'imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento. La facoltà dell'imputato di scegliere se accettare o meno le integrazioni e modificazioni apportate dal giudice al programma di trattamento fatto elaborare dall'ufficio di esecuzione penale esterna è conforme al modello legale del procedimento speciale, che si basa sulla volontà dell'imputato di accedere ad esso, e pertanto non viola la sfera riservata all'autorità giudiziaria, né il principio del buon andamento, la cui evocazione è inconferente rispetto all'attività giurisdizionale in senso stretto. Neppure sussiste il prospettato contrasto con la ragionevole durata del processo, atteso che il consenso è richiesto per le integrazioni e le modificazioni apportate dal giudice prima che sia svolta qualsivoglia attività processuale, e che il rito speciale è diretto, tra l'altro, a semplificare il procedimento, riducendone anche i tempi. L'integrità delle attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria non è violata quando il legislatore ordinario non tocca la potestà di giudicare, ma opera sul piano generale e astratto delle fonti, costruendo il modello normativo cui la decisione del giudice deve riferirsi. ( Precedenti citati: sentenze n. 303 del 2011, n. 170 del 2008, n. 432 del 1997; ordinanza n. 263 del 2002 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, il principio del buon andamento è riferibile all'amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, non all'attività giurisdizionale in senso stretto. ( Precedenti citati: sentenze n. 65 del 2014, n. 272 del 2008; ordinanze n. 84 del 2011 e n. 408 del 2008 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, possono arrecare un vulnus al principio di ragionevole durata del processo solamente le norme che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza. ( Precedenti citati: sentenze n. 12 del 2016, n. 23 del 2015, n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005 ).
E dichiarata manifestamente inammissibile - per aberratio ictus - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 464 cod. proc. pen., censurato dal Gip di Venezia, in riferimento all'art. 25, primo comma, Cost., nella parte in cui, in caso di opposizione a decreto penale di condanna, attribuisce al giudice per le indagini preliminari, anziché al tribunale in composizione monocratica, la competenza "alla celebrazione dei riti alternativi e alla emissione del decreto di [giudizio immediato]", per i reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio. La disposizione censurata dal rimettente, relativa al giudizio conseguente all'opposizione a decreto penale di condanna, contenuta nel sesto libro del codice, non trova applicazione nel giudizio a quo, perché la competenza a decidere sul rito alternativo del patteggiamento - richiesto nella specie con l'atto di opposizione - è attribuita al GIP direttamente dal non censurato art. 557 cod. proc. pen., che, in quanto norma speciale relativa al procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica, va applicato in luogo della normativa contenuta nei libri del codice che precedono l'ottavo (art. 549 cod. proc. pen.). ( Precedente citato: ordinanza n. 182 del 2016 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per mancato tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme - delle questioni incidentali di legittimità costituzionale degli artt. 168-bis cod. pen. e 464-bis "e seguenti" cod. proc. pen. L'eccezione è argomentata dall'Avvocatura dello Stato facendo riferimento alle medesime ragioni che dovrebbero determinare il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale e che vanno perciò considerate come attinenti al merito.