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Pronuncia 91/2018

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 464-quater, 464-quater, commi 1 e 4, e 464-quinquies, del codice di procedura penale, e dell'art. 168-bis, commi secondo e terzo, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Grosseto, nel procedimento penale a carico di S. A. e altri, con ordinanza del 16 dicembre 2016, iscritta al n. 81 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2018 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 1, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 111, sesto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Grosseto, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-quater e 464-quinquies cod. proc. pen., sollevate, in riferimento all'art. 27, secondo comma, Cost., dal medesimo Tribunale, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, secondo e terzo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., dal medesimo Tribunale, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, secondo comma, Cost., dal medesimo Tribunale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018. F.to: Giorgio LATTANZI, Presidente e Redattore Filomena PERRONE, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2018. Il Cancelliere F.to: Filomena PERRONE

Relatore: Giorgio Lattanzi

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: LATTANZI

Massime

Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sulla rilevanza - Sufficiente dimostrazione dell'utilità nel giudizio a quo della pronuncia additiva richiesta - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l'ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull'esito della messa alla prova. Il rimettente ha rappresentato l'effettiva necessità di una integrazione dei dati cognitivi risultanti dal fascicolo del dibattimento, al fine di valutare (anche in forma sommaria), sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la responsabilità dell'imputato.

Prospettazione della questione incidentale - Motivazione del rimettente - Descrizione della fattispecie di causa - Sufficienza - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui, con riferimento al procedimento speciale di messa alla prova, prevede il consenso dell'imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento. La lacunosità dei programmi di trattamento presentati dagli imputati e la conseguente necessità del consenso dei medesimi alla loro integrazione sono adeguatamente motivati dall'ordinanza di rimessione, consentendo così il necessario controllo sulla rilevanza delle questioni sollevate.

Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato - Potere del giudice dibattimentale di acquisire e valutare gli atti delle indagini preliminari ai fini delle decisioni da assumere sulla richiesta di messa alla prova - Omessa previsione - Denunciata irragionevolezza e violazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, del principio di legalità e della presunzione di non colpevolezza - Inadeguata sperimentazione della possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata (in specie, consentita dal ricorso all'analogia) - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili - per inadeguata sperimentazione della possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata (in specie, consentita dal ricorso all'analogia) - le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 1, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Grosseto, in riferimento agli artt. 3, 111, sesto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, ai fini della cognizione occorrente ad ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari restituendoli per l'ulteriore corso in caso di pronuncia negativa sulla concessione o sull'esito della messa alla prova. Il giudice a quo non ha verificato compiutamente se, pur in assenza di una specifica disposizione in tal senso, gli sia ugualmente consentito, ai soli fini della decisione sulla richiesta di messa alla prova, prendere visione degli atti del fascicolo del pubblico ministero, non avendo considerato la possibilità (già ammessa dalla giurisprudenza della Cassazione nei casi, come quelli oggetto dei giudizi a quibus, di richiesta di un rito speciale presentata nell'udienza di comparizione a seguito di citazione diretta ex art. 555 cod. proc. pen.) di una applicazione analogica dell'art. 135 del d.lgs. n. 271 del 1989, il quale, con riferimento al patteggiamento, consente al giudice di accedere al fascicolo del p.m. per decidere sulla richiesta di applicazione della pena rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Né v'è ragione - non dovendosi procedere al dibattimento - di impedire al giudice la conoscenza degli atti contenuti in detto fascicolo necessaria ai soli fini della decisione sulla richiesta di messa alla prova, poiché il fatto che ciò non sia espressamente previsto non significa che sia vietato. Per costante giurisprudenza costituzionale, lo scrutinio nel merito della questione sollevata è precluso dalla mancata o inadeguata sperimentazione, da parte del rimettente, della possibilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale e tale da determinare il loro superamento o da renderli comunque non rilevanti nel procedimento a quo. ( Precedenti citati: sentenze n. 253 del 2017 e n. 45 del 2017; ordinanze n. 97 del 2017 e n. 58 del 2017 ).

Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato - Programma di trattamento - Asserita irrogazione ed espiazione di sanzioni penali in assenza di pronuncia di condanna (ancorché non definitiva) - Denunciata violazione della presunzione di non colpevolezza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-quater e 464-quinquies cod. proc. pen., censurati dal Tribunale di Grosseto - in riferimento all'art. 27, secondo comma, Cost. - in quanto nel procedimento di messa alla prova prevederebbero la irrogazione ed espiazione di sanzioni penali senza che risulti pronunciata né di regola pronunciabile alcuna condanna, ancorché non definitiva. Al pari del patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. - cui è assimilabile (solo) per la mancanza di un formale accertamento di responsabilità e di una specifica pronuncia di condanna - il procedimento di messa alla prova non contrasta con la presunzione di non colpevolezza, sia perché rientra (per la sua dimensione processuale) tra i riti speciali diretti ad assicurare un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario, la richiesta dei quali costituisce una delle facoltà difensive dell'imputato e quindi non può essere logicamente ritenuta lesiva delle garanzie al medesimo riconosciute; sia perché l'innovativa struttura procedimentale della messa alla prova - caratterizzata, sul piano sostanziale, dal ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio, in funzione della risocializzazione anticipata del richiedente - riserva alla volontà dell'imputato non soltanto la decisione sulla messa alla prova, ma anche la sua esecuzione, essendo il trattamento programmato (a differenza della pena ridotta applicata con la sentenza di patteggiamento) non già una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma un'attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell'imputato, il quale liberamente può farla cessare, con l'unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso; sia, infine, perché in detta procedura non manca, in via incidentale e allo stato degli atti, una considerazione della responsabilità dell'imputato, dovendo il giudice verificare che non ricorrono le condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. ( Precedenti citati: sentenza n. 313 del 1990 e ordinanza n. 399 del 1997, sulla compatibilità del patteggiamento con la presunzione di innocenza; sentenza n. 251 del 1991 e ordinanza n. 73 del 1993, sulla equiparazione della sentenza di patteggiamento a una sentenza di condanna ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato - Programma di trattamento - Asserita applicazione di sanzioni penali non legislativamente determinate sul piano qualitativo e quantitativo - Denunciata violazione del principio di tassatività e determinatezza della pena - Insussistenza - Non fondatezza della questione.

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis, secondo e terzo comma, cod. pen., censurato dal Tribunale di Grosseto - in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. - in quanto, con riferimento al procedimento speciale di messa alla prova, prescriverebbe l'applicazione di sanzioni penali non legalmente determinabili sia sul piano qualitativo, potendo il trattamento a cui l'imputato viene sottoposto risolversi in vincoli conformativi e ablatori della libertà personale di diversa intensità, sia sul piano quantitativo, ossia con riferimento alla sua misura temporale. Non sussiste la prospettata violazione dei principi di tassatività e determinatezza legale delle pene, in quanto - sotto il profilo quantitativo - la durata massima del lavoro di pubblica utilità e quella dell'affidamento in prova al servizio sociale, seppur non specificate dalle disposizioni censurate, risultano indirettamente dall'art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen., dovendo, in mancanza di diversa determinazione, corrispondere necessariamente alla durata della sospensione del procedimento (non superiore a due anni o a un anno, rispettivamente a seconda che si proceda per reati per i quali sia prevista una pena detentiva o solo una pena pecuniaria), la quale deve in concreto essere determinata dal giudice tenendo conto conto dei criteri previsti dall'art. 133 cod. pen. e delle caratteristiche che dovrà avere la prestazione lavorativa); ed in quanto - sotto il profilo qualitativo - un programma di trattamento per sua natura caratterizzato dalla finalità specialpreventiva e risocializzante deve essere ampiamente modulabile in rapporto alla personalità dell'imputato e ai reati oggetto dell'imputazione, e dunque può essere determinato legislativamente solo attraverso l'indicazione dei tipi di condotta che ne possono formare oggetto, rimettendone (come è avvenuto) la specificazione all'ufficio di esecuzione penale esterna e al giudice, con il consenso dell'imputato, donde l'inconferenza del riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. ( Precedente citato: ordinanza n. 54 del 2017 ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato - Provvedimento del giudice recante modificazione o integrazione del programma di trattamento - Efficacia subordinata alla condizione meramente potestativa del consenso dell'imputato - Denunciata menomazione delle prerogative dell'autorità giudiziaria e violazione dei principi di buon andamento ed efficienza delle attività dei pubblici poteri, nonché dei principi di economicità e ragionevole durata del processo penale - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-quater, comma 4, cod. proc. pen., censurato dal Tribunale di Grosseto - in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, secondo comma, Cost. - nella parte in cui, con riferimento all'istituto della messa alla prova, prevede il consenso dell'imputato quale condizione meramente potestativa di efficacia del provvedimento giurisdizionale recante modificazione o integrazione del programma di trattamento. La facoltà dell'imputato di scegliere se accettare o meno le integrazioni e modificazioni apportate dal giudice al programma di trattamento fatto elaborare dall'ufficio di esecuzione penale esterna è conforme al modello legale del procedimento speciale, che si basa sulla volontà dell'imputato di accedere ad esso, e pertanto non viola la sfera riservata all'autorità giudiziaria, né il principio del buon andamento, la cui evocazione è inconferente rispetto all'attività giurisdizionale in senso stretto. Neppure sussiste il prospettato contrasto con la ragionevole durata del processo, atteso che il consenso è richiesto per le integrazioni e le modificazioni apportate dal giudice prima che sia svolta qualsivoglia attività processuale, e che il rito speciale è diretto, tra l'altro, a semplificare il procedimento, riducendone anche i tempi. L'integrità delle attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria non è violata quando il legislatore ordinario non tocca la potestà di giudicare, ma opera sul piano generale e astratto delle fonti, costruendo il modello normativo cui la decisione del giudice deve riferirsi. ( Precedenti citati: sentenze n. 303 del 2011, n. 170 del 2008, n. 432 del 1997; ordinanza n. 263 del 2002 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, il principio del buon andamento è riferibile all'amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, non all'attività giurisdizionale in senso stretto. ( Precedenti citati: sentenze n. 65 del 2014, n. 272 del 2008; ordinanze n. 84 del 2011 e n. 408 del 2008 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, possono arrecare un vulnus al principio di ragionevole durata del processo solamente le norme che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza. ( Precedenti citati: sentenze n. 12 del 2016, n. 23 del 2015, n. 63 e n. 56 del 2009, n. 148 del 2005 ).