Processo penale - Dibattimento - Richieste di prova - Consenso delle parti all'acquisizione al fascicolo del dibattimento di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero - Mancata previsione della diminuzione della pena stabilita dall'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. con riferimento al giudizio abbreviato - Denunciate disparità di trattamento e violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa - Asserita violazione dei principi del giusto processo e della ragionevole durata del processo - Esclusione - Manifesta infondatezza della questione.
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione, dell'articolo 493, comma 3, del codice di procedura penale, «là dove non prevede - in caso di consenso all'acquisizione di tutti gli atti del fascicolo del PM - la diminuzione della pena stabilita dall'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale». Il legislatore - il quale in tema di conformazione degli istituti processuali gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della irragionevolezza delle scelte compiute - attraverso la disposizione censurata e quella di cui all'art. 442, comma 2, cod. proc. pen, invocata quale tertium comparationis , ha disciplinato in modo differente situazioni processuali eterogenee, quali sono il rito del giudizio abbreviato e l'istituto della acquisizione della prova su accordo delle parti. Infatti, i due istituti processuali posti a raffronto risultano assolutamente disomogenei e non assimilabili, posto che gli accordi che possono intervenire tra le parti in ordine alla formazione del fascicolo per il dibattimento non escludono affatto il diritto di ciascuna di esse ad articolare pienamente i rispettivi mezzi di prova, secondo l'ordinario, ampio potere loro assegnato per la fase dibattimentale; ciò a differenza di quanto avviene per il rito abbreviato, la cui peculiarità consiste proprio nel fatto di essere un modello alternativo al dibattimento che - oltre a fondarsi sull'intero materiale raccolto nel corso delle indagini, a prescindere da qualsiasi meccanismo di tipo pattizio - consente una limitata acquisizione di elementi integrativi, ciò che lo configura quale rito a "prova contratta". Dalla disposizione censurata, poi, non deriva alcuna "compressione" dell'esercizio del diritto di difesa - sicché è da escludersi la denunciata violazione dell'art. 24 Cost. -, dal momento che l'assenza di previsione della riduzione di pena non impedisce che l'imputato possa esercitare detto diritto con pienezza di garanzie nel corso del dibattimento. Infine, la disposizione censurata non vìola l'art. 111 Cost, poiché non è lesiva delle regole del giusto processo, né del principio della ragionevole durata del processo: il rilievo per cui l'assenza della riduzione della pena non indurrebbe il difensore e/o l'imputato a prestare il consenso affinché gli atti del fascicolo del pubblico ministero confluiscano in quello del dibattimento, così determinando una maggiore durata del processo, è, infatti, un mero accadimento di fatto, ricollegato ad una scelta processuale. - Sull' ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della irragionevolezza delle scelte compiute, v. ex multis le richiamate sentenze n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; e l'ordinanza n. 134 del 2009. Sulla differenza tra rito abbreviato ed accordo sulla prova, v., quale richiamato precedente specifico, l'ordinanza n. 182 del 2001.