Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) - Contestazione in dibattimento da parte del pubblico ministero di una circostanza aggravante concernente un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (contestazione suppletiva "tardiva" di una circostanza aggravante) - Mancata previsione della facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen. (restituzione in termini dell'imputato) - Violazione del diritto di difesa - Discriminazione dell'imputato rispetto alla possibilità di accesso ai riti alternativi, in ragione della maggiore o minore completezza ed esaustività dell'imputazione - Illegittimità costituzionale in parte qua .
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. Come riconosciuto dalla sentenza n. 265 del 1994 relativamente al fatto diverso e al reato concorrente, la norma censurata viola l'art. 24, secondo comma, Cost., in quanto risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato - le cui valutazioni circa la convenienza del rito alternativo vengono a dipendere innanzitutto dalla impostazione data al processo dall'organo della pubblica accusa - l'accesso ai riti speciali quando l'imputazione subisce una variazione sostanziale per la contestazione tardiva di una circostanza aggravante dovuta a un errore del pubblico ministero. Anche la trasformazione dell'originaria imputazione in un'ipotesi circostanziata determina, infatti, un significativo mutamento del quadro processuale, potendo tali circostanze incidere sull'entità della sanzione, sul regime di procedibilità del reato o, ancora, sull'applicabilità di alcune sanzioni sostitutive. La norma censurata contrasta, inoltre, con l'art. 3 Cost., venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse. - Sulle nuove contestazioni dibattimentali quale istituto indirizzato, nel quadro del vigente codice di rito di stampo accusatorio, a consentire il "fisiologico" adattamento dell'imputazione agli esiti dell'istruzione dibattimentale, v. le citate sentenze nn. 237/2012 e 333/2009. - Nel senso che, per effetto della riconosciuta possibilità di modificare l'imputazione in dibattimento anche sulla base dei soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, l'istituto delle contestazioni suppletive si configura «anche come possibile correttivo rispetto ad una evenienza "patologica"» del procedimento, v. la citata sentenza n. 333/2009. - Sull'ampliamento delle garanzie in tema di ammissione di nuove prove, nel caso di nuove contestazioni dibattimentali del pubblico ministero, v. la citata sentenza n. 237/2012 e la sentenza n. 241/1992 da questa richiamata. - Per l'affermazione che i riti alternativi a contenuto premiale (giudizio abbreviato e patteggiamento) costituiscono «modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa», v. la citata sentenza n. 237/2012 e le sentenze, da questa richiamate, nn. 148/2004, 219/2004, 70/1996, 497/1995 e 76/1993. - Per l'affermazione che, in caso di contestazioni derivanti dall'emersione di nuovi elementi nel corso dell'istruzione dibattimentale, la preclusione alla fruizione dei vantaggi connessi ai riti speciali, che si determina nei confronti dell'imputato nelle ipotesi previste dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., non sia censurabile sul piano della legittimità costituzionale, v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 129/1993, 316/1992 e 593/1990; ordinanze nn. 107/1993 e 213/1992. - Per l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, v. la citata sentenza n. 265/1994; per analoga declaratoria di illegittimità costituzionale riferita al giudizio abbreviato, v. la citata sentenza n. 333/2009. - Sul divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti previsto dall'art. 69, quarto comma, cod. pen., v. la citata sentenza n. 251/2012. - Per l'affermazione che «il patteggiamento è una forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza che non richiede particolari procedure e che pertanto, proprio per tali sue caratteristiche, si presta ad essere adottata in qualsiasi fase del procedimento, compreso il dibattimento», v. le seguenti citate decisioni: sentenza n. 265/1994; ordinanza n. 486/2002.