Articolo 517 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Poiché la scelta del rito deve poter essere effettuata dall'imputato con piena consapevolezza delle conseguenze che ne derivano sul piano sanzionatorio in relazione ai reati contestati dal pubblico ministero, ragioni di tutela del suo diritto di difesa e del principio di eguaglianza impongono che, di fronte a un mutamento dell'imputazione, sia sempre consentito all'imputato rivalutare la propria scelta alla luce delle nuove contestazioni. ( Precedenti: S. 14/2020 - mass. 41577; S. 82/2019 - mass. 41241; S. 141/2018 - mass. 40182; S. 206/2017 - mass. 41470; S. 139/2015 - mass. 38466; S. 273/2014 - mass. 38198; S. 184/2014 - mass. 38050; S. 333/2009 - mass. 34188; S. 265/1994 - mass. 20737, mass. 20738 ). (Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., la facoltà dell'imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli. I principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al diritto dell'imputato di accedere ai riti alternativi in caso di modifica dell'imputazione impongono di eliminare la residua preclusione censurata dal Tribunale di Palermo, riconoscendo all'imputato, anche nel caso di contestazione di reati connessi, la facoltà di chiedere la messa alla prova, già estesa all'ipotesi - del tutto analoga - di contestazione di un fatto diverso. A tale conclusione non è di ostacolo il disposto dell'art. 168- bis , quarto comma, cod. pen., che non esclude la concedibilità della sospensione quando sia contestato più di un reato e, come nella specie, il rito sia astrattamente applicabile a ciascuno di essi; poiché tuttavia l'accentuata vocazione risocializzante dell'istituto in esame si oppone alla possibilità di una messa alla prova "parziale", diversamente da quanto consentito per l'abbreviato, l'imputato sarà tenuto a scegliere se chiedere la sospensione, oppure proseguire il processo nelle forme ordinarie, rispetto a tutti i reati in concorso, compresi quelli oggetto dell'imputazione originaria. Precedenti: S. 14/2020 - mass. 41577; S. 237/2012 - mass. 36663, mass. 36664 ).
È dichiarata la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Novara - degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che - nei casi, rispettivamente, di modifica dell'imputazione e di contestazione suppletiva di un reato concorrente o di una circostanza aggravante in dibattimento - il pubblico ministero possa chiedere al giudice l'emissione di un decreto penale di condanna e, correlativamente, l'imputato abbia la possibilità di pagare la pena pecuniaria con esso inflitta. L'ordinanza di rimessione non descrive compiutamente la fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo , né motiva in modo adeguato sulla rilevanza delle questioni, considerato che nel caso di specie si discute di una modifica dibattimentale dell'imputazione, e non già della contestazione suppletiva di un reato concorrente o di una circostanza aggravante, e che il rimettente non ha indicato alcun elemento dal quale si possa desumere che, in caso di accoglimento della questione stessa, il pubblico ministero intenderebbe accedere al procedimento speciale, chiedendo l'emissione di un decreto penale di condanna in riferimento all'imputazione riformulata, né che l'imputato intenderebbe pagare la pena pecuniaria che gli verrebbe così inflitta, consentendo la chiusura del procedimento. L'ordinanza di rimessione si presenta del tutto carente anche sul piano della motivazione sulla non manifesta infondatezza, non indicando neppure i parametri costituzionali che si assumono violati. ( Precedenti citati: sentenze n. 206 del 2017, n. 273 del 2014, n. 333 del 2009, n. 530 del 1995 e n. 265 del 1994; ordinanze n. 71 del 2019, n. 64 del 2019, n. 85 del 2018, n. 33 del 2014, n. 277 del 2006 e n. 166 del 2005 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la questione finalizzata a riconoscere una determinata facoltà a una parte processuale è priva di rilevanza attuale se, nel giudizio a quo , quella parte non ha mai manifestato la volontà di esercitare la facoltà in discussione. ( Precedenti citati: sentenze n. 214 del 2013 e n. 80 del 2011; ordinanze n. 55 del 2010, n. 69 del 2008, n. 129 del 2003 e n. 584 del 2000 ).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena, a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al reato concorrente emerso nel corso del dibattimento e che forma oggetto di nuova contestazione. L'accoglimento della questione sollevata dal Tribunale di Alessandria risulta ormai dovuto, alla luce della sentenza n. 184 del 2014 - per cui, con identica ratio decidendi, lo stesso articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevedeva la facoltà per l'imputato di chiedere il patteggiamento in ipotesi di contestazione "patologica" di una circostanza aggravante - e della sentenza n. 206 del 2017, con la quale è stata estesa la facoltà di proporre richiesta di patteggiamento relativamente al fatto diverso oggetto di nuova contestazione ugualmente "fisiologica", dal momento che fatto diverso e reato connesso, entrambi emersi per la prima volta in dibattimento, integrano evenienze processuali che, sul versante dell'accesso ai riti alternativi, non possono non rappresentare situazioni fra loro del tutto analoghe. La censurata preclusione è inoltre irrazionale, a fronte della sentenza additiva n. 237 del 2012, con la quale, nel caso di contestazione "fisiologica" del reato connesso, si è consentito all'imputato di richiedere il giudizio abbreviato, il cui "innesto" in sede dibattimentale risulta ben più problematico del patteggiamento. ( Precedenti citati: sentenze n. 141 del 2018, n. 206 del 2017, n. 201 del 2016, n. 139 del 2015, n. 273 del 2014, n. 184 del 2014, n. 237 del 2012, n. 333 del 2009, n. 148 del 2004, n. 530 del 1995, n. 497 del 1995, n. 265 del 1994, n. 129 del 1993, n. 316 del 1992, n. 277 del 1990 e n. 593 del 1990; ordinanze n. 309 del 2005 e n. 213 del 1992 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, i procedimenti speciali e i meccanismi di definizione anticipata del procedimento (oblazione), costituiscono modalità di esercizio, e tra le più qualificanti, del diritto di difesa. ( Precedenti citati: sentenze n. 141 del 2018, n. 237 del 2012, n. 219 del 2004, n. 148 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del 1993 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 cod. proc. pen., censurato nella parte in cui non prevede che, contestata nel corso del giudizio dibattimentale una circostanza aggravante fondata su elementi già risultanti dagli atti di indagine, l'imputato abbia facoltà di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. A rendere rilevanti le questioni è sufficiente la circostanza che il rimettente abbia chiesto una pronuncia di illegittimità costituzionale volta a consentire all'imputato di presentare al giudice del dibattimento la suddetta richiesta, indipendentemente dalle ragioni per le quali non era stata presentata in precedenza, mentre attiene alla valutazione sulla loro fondatezza stabilire se il giudice può accogliere detta richiesta.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova. La norma censurata dal Tribunale di Salerno, non prevedendo, nel caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, la facoltà suddetta, si risolve in una violazione dei parametri evocati, sia perché la richiesta dei riti alternativi costituisce una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa, che va esercitato anche in collegamento con l'imputazione che, per effetto della contestazione suppletiva, deve formare effettivamente oggetto del giudizio; sia perché si determinerebbe una situazione in contrasto con il principio posto dall'art. 3 Cost., se nella medesima situazione processuale la facoltà di chiedere i riti alternativi fosse regolata diversamente. Né rileva la circostanza che, nel momento processuale in cui avrebbe dovuto essere presentata la richiesta di fronte al rimettente, la legge n. 67 del 2014, all'origine del nuovo istituto della messa alla prova, non era ancora stata emanata, poiché non è a quel momento che occorre fare riferimento, ma al momento in cui è avvenuta la contestazione suppletiva, quali che siano gli elementi che l'hanno giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso del dibattimento, ed è ad essa che deve ricollegarsi la facoltà dell'imputato di chiedere un rito alternativo, indipendentemente dalla ragione per cui la richiesta in precedenza è mancata. ( Precedenti citati: sentenza n. 206 del 2017, n. 201 del 2016, n. 139 del 2015, n. 273 del 2014, n. 184 del 2014, n. 237 del 2012, n. 219 del 2004, n. 148 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995, n. 265 del 1994, n. 76 del 1993, n. 129 del 1993, n. 316 del 1992, n. 277 del 1990 e n. 593 del 1990; ordinanze n. 107 del 1993, n. 213 del 1992, n. 477 del 1990 e n. 361 del 1990 ). L'istituto della messa alla prova ha effetti sostanziali, perché dà luogo all'estinzione del reato, ma è connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. ( Precedente citato: sentenza n. 240 del 2015 ).
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 517 cod.proc.pen. nella parte in cui, nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione. Infatti, il mancato riconoscimento all'imputato del diritto di richiedere il giudizio abbreviato anche in caso di contestazione "tardiva" di una circostanza aggravante cagiona una violazione del diritto di difesa in ragione dell'impossibilità di rivalutare la convenienza del rito alternativo in presenza di una variazione sostanziale dell'imputazione, intesa ad emendare precedenti errori od omissioni del pubblico ministero nell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari. Sussiste, inoltre, un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'imputato che nella medesima situazione processuale voglia chiedere il "patteggiamento" ovvero intenda chiedere il giudizio abbreviato nel caso non dissimile di contestazione "tardiva" del fatto diverso, quali ipotesi in cui è ammessa la possibilità di accedere a riti alternativi. Sulla possibilità per l'imputato di chiedere il "patteggiamento" in relazione al fatto diverso o al reato concorrente oggetto di contestazione "tardiva", v. la citata sentenza n. 265/1994. Sulla possibilità per l'imputato di chiedere il "patteggiamento" in relazione alla contestazione "tardiva" di circostanze aggravanti, v. la citata sentenza n. 184/2014. Sulla possibilità per l'imputato di accedere al rito abbreviato nel caso di contestazione dibattimentale "tardiva" del fatto diverso o del fatto concorrente, v. rispettivamente le citate sentenze nn. 237/2012 e 333/2009.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 cod.proc.pen., impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto non prevede che, nel caso di contestazione dibattimentale "tardiva" tanto di un reato concorrente che di una circostanza aggravante, la restituzione all'imputato della facoltà di accesso al giudizio abbreviato si estenda anche alle imputazioni diverse da quella attinta dalla nuova contestazione. Non sussiste la violazione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza in quanto, una volta che l'imputato abbia consapevolmente lasciato spirare il termine della proposizione della richiesta, sarebbe illogico, a fronte della contestazione suppletiva di un reato concorrente, consentirgli di recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie, relativamente alle quali si è scientemente astenuto dal formulare richieste nel termine. Inoltre, qualora all'imputato fosse attribuita nell'ipotesi in esame la facoltà di accedere al giudizio abbreviato tanto in rapporto al reato oggetto della nuova contestazione quanto alle imputazioni residue, lo stesso verrebbe a trovarsi in posizione non già uguale, ma addirittura privilegiata rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se la contestazione fosse avvenuta nei modi ordinari. Egli potrebbe, infatti, scegliere tra una richiesta di giudizio abbreviato "parziale", limitata alla sola nuova imputazione, e una richiesta globale. Sulla possibilità per l'imputato di accedere al rito abbreviato nel caso di contestazione dibattimentale "tardiva" del fatto diverso o del fatto concorrente, v. rispettivamente le citate sentenze nn. 237/2012 e 333/2009.
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., l'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale. Come riconosciuto dalla sentenza n. 265 del 1994 relativamente al fatto diverso e al reato concorrente, la norma censurata viola l'art. 24, secondo comma, Cost., in quanto risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato - le cui valutazioni circa la convenienza del rito alternativo vengono a dipendere innanzitutto dalla impostazione data al processo dall'organo della pubblica accusa - l'accesso ai riti speciali quando l'imputazione subisce una variazione sostanziale per la contestazione tardiva di una circostanza aggravante dovuta a un errore del pubblico ministero. Anche la trasformazione dell'originaria imputazione in un'ipotesi circostanziata determina, infatti, un significativo mutamento del quadro processuale, potendo tali circostanze incidere sull'entità della sanzione, sul regime di procedibilità del reato o, ancora, sull'applicabilità di alcune sanzioni sostitutive. La norma censurata contrasta, inoltre, con l'art. 3 Cost., venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse. - Sulle nuove contestazioni dibattimentali quale istituto indirizzato, nel quadro del vigente codice di rito di stampo accusatorio, a consentire il "fisiologico" adattamento dell'imputazione agli esiti dell'istruzione dibattimentale, v. le citate sentenze nn. 237/2012 e 333/2009. - Nel senso che, per effetto della riconosciuta possibilità di modificare l'imputazione in dibattimento anche sulla base dei soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, l'istituto delle contestazioni suppletive si configura «anche come possibile correttivo rispetto ad una evenienza "patologica"» del procedimento, v. la citata sentenza n. 333/2009. - Sull'ampliamento delle garanzie in tema di ammissione di nuove prove, nel caso di nuove contestazioni dibattimentali del pubblico ministero, v. la citata sentenza n. 237/2012 e la sentenza n. 241/1992 da questa richiamata. - Per l'affermazione che i riti alternativi a contenuto premiale (giudizio abbreviato e patteggiamento) costituiscono «modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa», v. la citata sentenza n. 237/2012 e le sentenze, da questa richiamate, nn. 148/2004, 219/2004, 70/1996, 497/1995 e 76/1993. - Per l'affermazione che, in caso di contestazioni derivanti dall'emersione di nuovi elementi nel corso dell'istruzione dibattimentale, la preclusione alla fruizione dei vantaggi connessi ai riti speciali, che si determina nei confronti dell'imputato nelle ipotesi previste dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., non sia censurabile sul piano della legittimità costituzionale, v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 129/1993, 316/1992 e 593/1990; ordinanze nn. 107/1993 e 213/1992. - Per l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, v. la citata sentenza n. 265/1994; per analoga declaratoria di illegittimità costituzionale riferita al giudizio abbreviato, v. la citata sentenza n. 333/2009. - Sul divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti previsto dall'art. 69, quarto comma, cod. pen., v. la citata sentenza n. 251/2012. - Per l'affermazione che «il patteggiamento è una forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza che non richiede particolari procedure e che pertanto, proprio per tali sue caratteristiche, si presta ad essere adottata in qualsiasi fase del procedimento, compreso il dibattimento», v. le seguenti citate decisioni: sentenza n. 265/1994; ordinanza n. 486/2002.
È ammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 517 cod. proc. pen., impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che l'imputato possa chiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (ossia, in pratica, quando si tratti di fatto emerso solo nel corso dell'istruzione dibattimentale). Non è infatti implausibile l'assunto da cui muove il rimettente secondo cui l'orientamento giurisprudenziale per il quale non sarebbe consentita la richiesta di giudizio abbreviato «parziale», limitata, cioè, a una parte soltanto delle imputazioni cumulativamente formulate nei confronti della stessa persona, si riferisce all'ipotesi in cui l'azione penale per le plurime imputazioni sia esercitata nei modi ordinari, e non è automaticamente estensibile alla fattispecie oggetto del quesito di costituzionalità relativa alle contestazioni suppletive "fisiologiche", nelle quali vi è l'esigenza di restituire all'imputato la facoltà di accesso al rito alternativo relativamente al nuovo addebito in ordine al quale non avrebbe potuto formulare una richiesta tempestiva a causa dell'avvenuto esercizio dell'azione penale con modalità derogatorie rispetto alle ordinarie cadenze procedimentali. Per converso, sarebbe illogico - e, comunque, non costituzionalmente necessario - che, a fronte della contestazione suppletiva di un reato concorrente, l'imputato possa recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie, rispetto alle quali ha consapevolmente lasciato spirare il termine utile per la richiesta. - Si veda, con riguardo alla questione concernente la facoltà dell'imputato di richiedere il giudizio abbreviato nel caso alle contestazioni "patologiche", la citata sentenza n. 333/2009.
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'articolo 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Premesso che la questione di costituzionalità ha ad oggetto la fattispecie della contestazione suppletiva "fisiologica" di un reato concorrente, vale a dire la nuova contestazione in dibattimento di un fatto emerso solo nel corso dell'istruzione dibattimentale, e che oggetto di scrutinio è la perdita, da parte dell'imputato, della facoltà di accesso al giudizio abbreviato, essendo la nuova contestazione intervenuta dopo che sia spirato il termine ultimo di proposizione della relativa richiesta, la norma censurata, valutata nell'odierno panorama ordinamentale, viola gli evocati parametri costituzionali, dal momento che rappresentando la contestazione suppletiva di reato concorrente operata ai sensi dell'art. 517 cod. proc. pen. un atto equipollente agli atti tipici di esercizio dell'azione penale, il mancato riconoscimento all'imputato della facoltà di optare anche in tale caso per il giudizio abbreviato è fonte di ingiustificata disparità di trattamento e di compressione delle facoltà difensive. Invero con una serie di pronunce la Corte aveva escluso la sussistenza del denunciato vulnus costituzionale facendo leva da un lato sulla indissolubilità del binomio premialità-deflazione in base al quale l'interesse dell'imputato ai riti alternativi è tutelato solo ove comporti una rapida definizione del processo, dall'altro rilevando che la modifica dell'imputazione e la contestazione suppletiva costituiscono eventi non infrequenti né imprevedibili. Tuttavia, la successiva evoluzione della disciplina del giudizio abbreviato, svincolato dai presupposti della definibilità del processo allo stato degli atti e del consenso del pubblico ministero, l'introduzione di un meccanismo di integrazione probatoria accompagnato dalla possibilità di procedere a nuove contestazioni, deve indurre a ritenere superata la detta incompatibilità. Poiché l'esigenza di corrispettività tra riduzione della pena e deflazione processuale non può prevalere sul principio di uguaglianza né tantomeno sul diritto di difesa, e atteso che la decisione di valersi del giudizio abbreviato costituisce una delle scelte più delicate attraverso le quali si esplicano le facoltà defensionali, allorché all'accusa originaria ne venga aggiunta un'altra, sia pure connessa, non possono non essere restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni. Inoltre, l'accesso al rito alternativo per il reato oggetto della contestazione suppletiva tardiva, anche quando avvenga in corso di dibattimento, risulta comunque idoneo a produrre un effetto di economia processuale, giacché consente al giudice del dibattimento di decidere sulla nuova imputazione allo stato degli atti. La declaratoria di incostituzionalità della norma censurata si impone, altresì, al fine di rimuovere la disparità di trattamento tra giudizio abbreviato e oblazione dopo che la sentenza n. 530 del 1995 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione relativamente al fatto diverso e al reato concorrente contestati in dibattimento, indipendentemente dal carattere "patologico" o "fisiologico" della nuova contestazione. - Per l'affermazione che, in caso di contestazioni derivanti dall'emersione di nuovi elementi nel corso dell'istruzione dibattimentale, la preclusione alla fruizione dei vantaggi connessi ai riti speciali, che si determina nei confronti dell'imputato nelle ipotesi previste dagli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., non sia censurabile sul piano della legittimità costituzionale, v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 129/1993, 316/1992, 593/1990, ordinanze nn. 107/1993 e 213/1992. Per affermazioni analoghe con riguardo all'art. 247 disp. att. cod. proc. pen., v., citate le seguenti decisioni: sentenza n. 277/1990; ordinanze nn. 477/1990 e 361/1990. - Con riferimento alle contestazioni dibattimentali tardive, v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 333/2009 e 265/1994. - Nel senso che la libera scelta dell'imputato verso il rito alternativo rappresenta una delle modalità di espressione del diritto di difesa, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 219/2004, 148/2004, 70/1996, 497/1995 e 76/1993. - Con riguardo al riconoscimento della possibilità di proporre domanda di oblazione relativamente al fatto diverso e al reato concorrente contestati in dibattimento, a prescindere dal carattere "fisiologico" o "patologico" della contestazione suppletiva, v. citata sentenza n. 530/1995. - In materia di giudizio abbreviato, si vedano, altresì, le citate sentenze nn. 169/2003 e 241/1992.