Articolo 516 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È dichiarata la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Novara - degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che - nei casi, rispettivamente, di modifica dell'imputazione e di contestazione suppletiva di un reato concorrente o di una circostanza aggravante in dibattimento - il pubblico ministero possa chiedere al giudice l'emissione di un decreto penale di condanna e, correlativamente, l'imputato abbia la possibilità di pagare la pena pecuniaria con esso inflitta. L'ordinanza di rimessione non descrive compiutamente la fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo , né motiva in modo adeguato sulla rilevanza delle questioni, considerato che nel caso di specie si discute di una modifica dibattimentale dell'imputazione, e non già della contestazione suppletiva di un reato concorrente o di una circostanza aggravante, e che il rimettente non ha indicato alcun elemento dal quale si possa desumere che, in caso di accoglimento della questione stessa, il pubblico ministero intenderebbe accedere al procedimento speciale, chiedendo l'emissione di un decreto penale di condanna in riferimento all'imputazione riformulata, né che l'imputato intenderebbe pagare la pena pecuniaria che gli verrebbe così inflitta, consentendo la chiusura del procedimento. L'ordinanza di rimessione si presenta del tutto carente anche sul piano della motivazione sulla non manifesta infondatezza, non indicando neppure i parametri costituzionali che si assumono violati. ( Precedenti citati: sentenze n. 206 del 2017, n. 273 del 2014, n. 333 del 2009, n. 530 del 1995 e n. 265 del 1994; ordinanze n. 71 del 2019, n. 64 del 2019, n. 85 del 2018, n. 33 del 2014, n. 277 del 2006 e n. 166 del 2005 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la questione finalizzata a riconoscere una determinata facoltà a una parte processuale è priva di rilevanza attuale se, nel giudizio a quo , quella parte non ha mai manifestato la volontà di esercitare la facoltà in discussione. ( Precedenti citati: sentenze n. 214 del 2013 e n. 80 del 2011; ordinanze n. 55 del 2010, n. 69 del 2008, n. 129 del 2003 e n. 584 del 2000 ).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost. - l'art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui, in seguito alla modifica dell'originaria imputazione, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova. In ogni ipotesi di nuove contestazioni - indipendentemente dalla circostanza per cui ciò sia o meno addebitabile alla negligenza del pubblico ministero nella formulazione dell'originaria imputazione - all'imputato deve essere restituita la possibilità di esercitare le proprie scelte difensive, comprensive della decisione di chiedere un rito alternativo, risultandone altrimenti violati il principio di eguaglianza e il diritto di difesa. Tale generale principio, già applicato all'ipotesi di contestazione di nuove circostanze aggravanti di cui all'art. 517 cod. proc. pen., in relazione all'istituto della sospensione con messa alla prova, non può che essere esteso all'ipotesi, strutturalmente identica sotto il profilo considerato, di contestazione di un fatto diverso, prevista dalla norma censurata dal Tribunale di Grosseto. ( Precedenti citati: sentenze n. 82 del 2019, n. 141 del 2018, n. 206 del 2017, n. 273 del 2014, n. 184 del 2014, n. 237 del 2012, n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994 ). La scelta dei riti alternativi da parte dell'imputato costituisce una delle più qualificanti espressioni del suo diritto di difesa. ( Precedente citato: sentenza n. 141 del 2018 ). L'istituto del procedimento con messa alla prova dell'imputato ha effetti sostanziali, perché dà luogo all'estinzione del reato, ma è connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio. ( Precedenti citati: sentenze n. 68 del 2019, n. 141 del 2018, n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per difetto di motivazione sulla rilevanza - della questione di legittimità costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen., non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto di nuova contestazione. Il rimettente, indicando specificamente i fatti oggetto dell'imputazione e rilevando che essi incontrovertibilmente presentano connotati materiali difformi da quelli dell'originaria accusa, sì da richiedere la procedura, attivata dal p.m., di modificazione dei capi di imputazione, ha descritto sufficientemente la vicenda processuale, posto che la sua qualificazione in termini di modificazione dell'imputazione non può essere censurata, perché è logicamente rimessa alle determinazioni del giudice a quo.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 24, secondo comma, e 3 Cost. - l'art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. L'esercizio del diritto di difesa dell'imputato postula che egli abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei suoi confronti e che, ove questa venga modificata nei suoi aspetti essenziali, possa rivalutare e modificare le proprie opzioni difensive, anche chiedendo un rito alternativo a contenuto premiale, la cui scelta costituisce una delle espressioni più qualificanti del medesimo diritto di difesa. Ciò vale non soltanto rispetto al giudizio abbreviato, ma anche al patteggiamento, nel quale la valutazione dell'imputato è indissolubilmente legata alla natura dell'addebito, trattandosi di determinare lo stesso contenuto della decisione. Ne consegue che la disposizione censurata dal Tribunale di Torino - precludendo la possibilità di chiedere il patteggiamento a seguito di una modificazione dibattimentale "fisiologica" dell'imputazione - viola il diritto di difesa dell'imputato. È inoltre ravvisabile ingiustificata disparità di trattamento, sia rispetto al caso del recupero, da parte dell'imputato, della facoltà di accesso al patteggiamento per circostanze puramente occasionali, che determinino la regressione del procedimento; sia rispetto alla facoltà - riconosciuta all'imputato dalla sentenza additiva n. 273 del 2014 - di chiedere il giudizio abbreviato dopo una modificazione "fisiologica" dell'imputazione. ( Precedenti citati: sentenze n. 139 del 2015, n. 273 del 2014, n. 184 del 2014, n. 237 del 2012, n. 333 del 2009, n. 265 del 1994, n. 129 del 1993, n. 316 del 1992, n. 593 del 1990 e n. 277 del 1990; ordinanze n. 486 del 2002, n. 107 del 1993 e n. 213 del 1992 ). Per consolidata giurisprudenza, i riti alternativi a contenuto premiale (giudizio abbreviato e patteggiamento) costituiscono modalità tra le più qualificanti di esercizio del diritto di difesa dell'imputato, tali da incidere in senso limitativo sull'entità della pena inflitta. ( Precedenti citati: sentenze n. 184 del 2014, n. 237 del 2012, n. 219 del 2004, n. 148 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76 del 1993 ).
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen., impugnato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 Cost. (quest'ultimo in relazione all'art. 6, par. 3, lett. b , della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), nella parte in cui non prevede che l'imputato possa chiedere il giudizio abbreviato in corso di dibattimento, ove il pubblico ministero abbia modificato l'imputazione per adeguarla alle nuove risultanze dibattimentali. Infatti, successivamente all'ordinanza di rimessione, è intervenuta nei sensi auspicati dal rimettente la sentenza n. 273 del 2014 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma censurata, «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione». La questione è pertanto divenuta priva di oggetto in quanto la norma censurata è stata già rimossa dall'ordinamento, in parte qua , con efficacia ex tunc . Nello stesso senso, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 276/2014, 206/2014, 321/2013, 177/2013, 315/2012.
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, Cost., l'art. 516 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Sono, infatti, estensibili le considerazioni svolte nella sentenza n. 237 del 2012 con la quale è stato dichiarato illegittimo l'art. 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non consentiva all'imputato di chiedere il giudizio abbreviato al giudice del dibattimento in relazione al reato concorrente oggetto di contestazione suppletiva c.d. "fisiologica", volta, cioè, ad adeguare l'imputazione alle nuove risultanze dell'istruzione dibattimentale. Pur sussistendo un elemento differenziale tra la contestazione del reato concorrente e quella del fatto diverso - potendosi, solo nel primo caso, dar luogo anche ad una imputazione autonoma, oggetto di un procedimento distinto, mentre nel secondo caso, configurandosi una mutata descrizione del fatto per il quale è già stata esercitata l'azione penale, la nuova contestazione dibattimentale rappresenta una soluzione obbligata per il pubblico ministero - ciò non è sufficiente a giustificare la discriminazione in relazione alla richiesta di giudizio abbreviato. Pertanto, anche in rapporto alla contestazione "fisiologica" del fatto diverso l'imputato che subisce la nuova contestazione viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore - quanto alla facoltà di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena - rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio. La disposizione censurata, inoltre, integra una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni analoghe conseguente al possibile recupero, da parte dell'imputato, della facoltà di accesso al giudizio abbreviato per circostanze puramente "occasionali" che determinino la regressione del procedimento, come nel caso in cui, a seguito delle nuove contestazioni, il reato rientri tra quelli per cui si procede con udienza preliminare e questa non sia stata tenuta. Sussiste, infine, anche con riguardo all'ipotesi in questione, l'ingiustificata disparità di trattamento tra giudizio abbreviato e oblazione, parimenti riscontrata nella sentenza n. 237 del 2012. - Sulla dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 517 cod. proc. pen., v. la sentenza n. 237/2012. - Sulle contestazioni dibattimentali c.d. "tardive" o "patologiche", v. le sentenze nn. 333/2009 e 265/1994, concernenti, rispettivamente, il giudizio abbreviato e il "patteggiamento". - Con riguardo alla mancata previsione della facoltà dell'imputato di presentare domanda di oblazione in rapporto al reato oggetto della nuova contestazione, v. la sentenza n. 530/1995.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, del «combinato disposto» dell'art. 516 del codice di procedura penale e dell'art. 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevedono «che, in caso di modifica del capo di imputazione nel corso del dibattimento, anche quando la nuova contestazione concerna un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato abbia tempestivamente e ritualmente proposto la definizione anticipata del procedimento in ordine alle originarie imputazioni, l'imputato possa usufruire di quello che può essere considerato un vero e proprio rito alternativo, in quanto l'art. 35 del decreto legislativo n. 274 del 2000 non consente l'ammissione al rito alternativo oltre l'udienza di comparizione». A prescindere dal rilievo che il giudice rimettente muove dall'idea che l'istituto introdotto dall'art. 35 del d. lgs. n. 274 del 2000 sia assimilabile ai procedimenti speciali previsti dal codice di procedura penale e sia qualificabile come «un vero e proprio rito alternativo» - laddove la definizione del procedimento disciplinata da tale norma non è un rito alternativo, attivabile con una richiesta dell'imputato, ma una fattispecie estintiva complessa, basata su una condotta riparatoria, antecedente, di regola, all'udienza di comparizione e giudicata idonea a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione - , una prima ragione di inammissibilità della questione deriva dalla carente descrizione della fattispecie concreta da parte del rimettente. Questi, infatti, si limita a dare atto che la richiesta di definizione anticipata del procedimento a norma dell'art. 35 del d. lgs. n. 274 del 2000, inizialmente avanzata dall'imputato, era stata rigettata in quanto la somma corrisposta alla persona offesa era stata ritenuta «non adeguata, allo stato, a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato», senza tuttavia precisare per quale ragione la somma era stata ritenuta inadeguata e, in particolare, se ciò era stato in qualche modo determinato dal contenuto dell'originaria imputazione, mentre il rimettente avrebbe dovuto chiarire se l'inidoneità della condotta riparatoria dell'imputato dipendeva da lacune o da inesattezze dell'imputazione originaria rispetto a quella modificata nel corso del dibattimento. Una seconda ragione di inammissibilità della questione deriva dal carattere indeterminato e oscuro della sua formulazione, in quanto il rimettente prospetta due censure (legate, nell'ordinanza di rimessione, ora con la disgiuntiva «ovvero», ora con la formula «e/o») senza interrogarsi sulle rationes dell'una e dell'altra, che appaiono diverse per presupposti: la prima, infatti, fa leva sul carattere "tardivo" della nuova contestazione, e prescinde dalla realizzazione, nel termine di legge, di una condotta riparatoria, mentre la seconda è incentrata sulla tempestività della condotta riparatoria, pur ritenuta inidonea a integrare la fattispecie estintiva del reato, e prescinde dal carattere "fisiologico" o meno della modifica dell'imputazione.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., dell'art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale, comporta la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell'art. 516 del medesimo codice, nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale. Infatti, i profili di violazione degli evocati parametri costituzionali, riscontrabili con riferimento all'ipotesi di contestazione nel corso del dibattimento di un reato concorrente, sussistono, allo stesso modo, anche in rapporto alla parallela ipotesi in cui la nuova contestazione dibattimentale consista, ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen., nella modifica dell'imputazione originaria per diversità del fatto.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, 516 e 517 cod. proc. pen., censurati, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non consentono all'imputato di accedere al rito abbreviato allorché il pubblico ministero abbia contestato, in dibattimento, un reato concorrente già desumibile dagli atti di indagine. Nella specie - in cui la richiesta del rito speciale ha riguardato solo il reato oggetto di nuova contestazione e non anche quello per cui l'imputato era stato originariamente chiamato a giudizio - il rimettente non ha tenuto conto del consolidato orientamento di legittimità secondo cui non è ammessa la richiesta di abbreviato "parziale": ciò rende inadeguata la motivazione circa la rilevanza della questione, posto che, applicando il suddetto orientamento, la richiesta di abbreviato dell'imputato risulterebbe comunque inammissibile e lo scrutinio di costituzionalità sarebbe ininfluente sull'esito del giudizio a quo .
E? manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, degli artt. 516, 517 e 519 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento il rito abbreviato, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente, quando la nuova contestazione risulti tardivamente formulata dal pubblico ministero. Infatti l?ordinanza di rimessione è carente di motivazione in ordine alla situazione processuale su cui si innesta, nel giudizio a quo, detta questione di legittimità costituzionale.