Pronuncia 193/1995

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE; Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), dell'art. 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), e degli artt. 2239, 2240 e 2110, secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1994 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Nahiry Saaidia e Zatini Lidia iscritta al n. 582 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di costituzione di Nahiry Saaidia; Udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Udito l'avv. Giorgio Bellotti per Nahiry Saaidia.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nonché dell'art. 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Firenze con l'ordinanza in epigrafe; Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2239 e 2240 cod. civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dal nominato Pretore con la medesima ordinanza. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 1995. Il Presidente: BALDASSARRE Il redattore: MENGONI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 26 maggio 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

Relatore: Luigi Mengoni

Data deposito: Fri May 26 1995 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: BALDASSARRE

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Massime

SENT. 193/95 A. LAVORO (RAPPORTO DI) - RAPPORTO DI LAVORO DOMESTICO - LAMENTATA INAPPLICABILITA' DELLE GARANZIE PROCEDURALI PREVISTE, IN CASO DI LICENZIAMENTO, DALLE LEGGI N. 300 DEL 1970 E N. 108 DEL 1990 - DENUNCIATA CONSEGUENTE VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA - DIFETTO DI MOTIVAZIONE, NELL'ORDINANZA DI RIMESSIONE, IN PUNTO DI RILEVANZA - INAMMISSIBILITA' DELLA QUESTIONE.

La questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., nei confronti degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) e 4 della legge n. 108 del 1990 (Disciplina dei licenziamenti individuali) nella parte in cui escludono l'applicabilita' al rapporto di lavoro domestico della disciplina in essi contenuta circa i limiti del licenziamento disciplinare e le garanzie contro il licenziamento invalido, non puo' aver corso per difetto di motivazione, nella ordinanza di rimessione, in punto di rilevanza. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, consolidatasi con una serie di sentenze delle Sezioni unite del 1994, la violazione delle formalita' di cui all'art. 7 statuto dei lavoratori da' infatti luogo a sanzioni disciplinari diverse a seconda dell'appartenenza del datore all'una o all'altra delle tre "aree" normative distinte dalla legge n. 108 del 1990, e poiche' i rapporti di lavoro domestico sono rimasti nell'area di libera recedibilita', l'inosservanza delle suddette garanzie procedurali, in tali rapporti, sarebbe sanzionata solo in caso di licenziamento in tronco per giusta causa, la conseguente sanzione consistendo nell'obbligo di pagare l'indennita' sostitutiva del preavviso, salve le eventuali azioni penale e civile in caso di licenziamento ingiurioso. Percio' il giudice 'a quo' avrebbe dovuto precisare - cio' che non ha fatto - se le presunte mancanze lamentate nel caso dalla datrice di lavoro siano state addebitate con un licenziamento in tronco oppure con un licenziamento ordinario con preavviso. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108). - Cfr. Cass., s.u., n. 4844/1994, richiamata da Corte costituzionale in S. n. 398/1994. Riguardo all'assoggettamento alle formalita' di cui all'art. 7 statuto dei lavoratori delle aziende con meno di sedici dipendenti, v. S. nn. 427/1989 e 586/1989 entrambe richiamate dal giudice 'a quo'. red.: S. Pomodoro

Norme citate

  • legge-Art. 7, comma 2
  • legge-Art. 4
  • legge-Art. 35
  • legge-Art. 7, comma 3

Parametri costituzionali

SENT. 193/95 B. LAVORO (RAPPORTO DI) - RAPPORTO DI LAVORO DOMESTICO - LAVORATRICE IN STATO DI GRAVIDANZA - LAMENTATA INAPPLICABILITA', NEL RAPPORTO DI LAVORO DOMESTICO, DELLA NORMA CHE CONSENTE AL GIUDICE DI DETERMINARE SECONDO EQUITA' IL PERIODO DECORSO IL QUALE IL DATORE DI LAVORO HA DIRITTO DI RECESSO - PROSPETTATA CONSEGUENTE VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI EGUAGLIANZA E DI TUTELA DELLA LAVORATRICE MADRE - QUESTIONE SOLLEVATA IN FATTISPECIE DI LICENZIAMENTO DISPOSTO PRIMA DELLA DATA DEL CERTIFICATO ATTESTANTE LA GRAVIDANZA - NON FONDATEZZA.

Gli artt. 2239 e 2240 cod. civ., nella parte in cui, non prevedendo l'applicabilita' al lavoro domestico dell'art. 2110, secondo comma, cod. civ., non consentono al giudice di determinare, secondo equita', in base a tale articolo, in caso di gravidanza della collaboratrice, il periodo decorso il quale il datore di lavoro ha diritto di recedere dal rapporto, non possono ritenersi lesivi degli artt. 3 e 37 Cost. - come sostenuto dal giudice 'a quo' - allorche', come nella specie, il licenziamento essendo stato comunicato alla lavoratrice in data anteriore a quella del certificato medico di gravidanza, manchi il presupposto formale costitutivo del divieto di licenziamento. In tale ipotesi, infatti, non essendo applicabile - come gia' precisato dalla Corte - la regola speciale dell'art. 2, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per cui "il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio", vale il principio opposto, che lega appunto la decorrenza del divieto alla data del certificato medico attestante lo stato di gravidanza. E poiche' tale principio, gia' applicato dalla precedente legge 26 agosto 1950, n. 860, e sicuramente desumibile dall'art. 3, comma primo, della Convenzione n. 103 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) (concernente la protezione della maternita' e ratificata dall'Italia, senza alcuna riserva, con legge 19 ottobre 1970, n. 864) trovando oltretutto conferma nell'art. 19 del contratto collettivo nazionale 15 luglio 1992 per la disciplina del rapporto di lavoro domestico, ha un fondamento legislativo, e' da escludere che al giudice nell'esercizio di un potere - come quello previsto dall'art. 2110 cod. civ. - spettantegli in mancanza di leggi, contratti collettivi e usi, sia consentito di obliterarlo in via di equita'. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 Cost., degli artt. 2239 e 2240 cod. civ.). - Sulla inapplicabilita' al rapporto di lavoro domestico dell'art. 2, secondo comma, legge n. 1204 del 1971, v. S. n. 86/1994. V. anche, riguardo al valore dell'art. 3 della Convenzione n. 103 dell'OIL come "criterio di interpretazione della legge nazionale vigente", Cass., n. 3508 del 1968. red.: S. Pomodoro