Pronuncia 447/1998

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 323 cod. pen. nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, promossi con ordinanze emesse il 7 agosto 1997 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bolzano, iscritta al n. 683 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997; il 5 gennaio 1998 dal tribunale di Firenze, iscritta al n. 365 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1998; Visto l'atto di costituzione di Bracciali Renzo nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1998 il giudice relatore Valerio Onida; Udito l'avvocato Giovanni Flora per Bracciali Renzo e l'Avvocato dello Stato Paolo di Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi: a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio), come sostituito dall'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli artt. 289, 416, 555 del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bolzano e dal tribunale di Firenze con le ordinanze in epigrafe; b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio), come sostituito dall'art. 1 della predetta legge n. 234 del 1997, sollevata, in riferimento all'art. 79 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bolzano con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1998. Il Presidente: Granata Il redattore: Onida Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1998. Il direttore della cancelleria: Di Paola

Relatore: Valerio Onida

Data deposito: Mon Dec 28 1998 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: GRANATA

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Massime

SENT. 447/98 A. REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - ABUSO D'UFFICIO - NUOVA FORMULAZIONE - LAMENTATA DELIMITAZIONE DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE - DEDOTTA ESCLUSIONE DI COMPORTAMENTI FORMALMENTE OSSERVANTI LE NORME AMMINISTRATIVE MA SOSTANZIALMENTE ELUSIVI O IN FRODE ALLA LEGGE - PRETESA DISPARITA' DI TRATTAMENTO TRA SITUAZIONI DI EGUALE GRAVITA' - PRETESA LESIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - RIAFFERMAZIONE DEL PRINCIPIO "NULLUM CRIMEN, NULLA PENA SINE LEGE" - INAMMISSIBILITA'.

E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), come sostituito dall'art. 1 l. 16 luglio 1997 n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice penale in materia di abuso di ufficio e degli artt. 289, 416, 555 del codice di procedura penale) - che, limitando la punibilita' alle condotte di abuso commesse in violazione di norme di legge o di regolamento o in violazione di obblighi di astensione, che procurino intenzionalmente ingiusti vantaggi patrimoniali all'agente o a terzi, ovvero rechino intenzionalmente ingiusto danno ad altri, lascerebbe sguarnite di sanzione penale condotte altrettanto o piu' gravemente riprovevoli dal punto di vista sociale - sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto - posto che e' principio essenziale in campo penale, e garanzia fondamentale della persona, che non si possa addebitare a titolo di reato alcuna condotta diversa ed ulteriore rispetto a quelle in tal senso esplicitamente qualificate da una legge in vigore al momento della commissione del fatto (art. 25, comma secondo, Cost.); che solo il legislatore puo' dunque, nel rispetto dei principi della Costituzione, individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale, e le condotte, lesive di tali beni, da assoggettare a pena, nonche' stabilire qualita' e quantita' delle relative pene edittali, secondo il principio "nullum crimen, nulla pena sine lege", cui si riconducono sia la riserva di legge vigente in materia penale, sia il principio di determinatezza delle fattispecie penali, sia il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici; e che, al di fuori dei confini delle fattispecie di reato, come definiti dalla legge, riprende vigore il generale divieto di incriminazione, anche la' dove siano configurabili altre ipotesi di illecito e di responsabilita' non sanzionate penalmente - l'eventuale addebito al legislatore di aver omesso di sanzionare penalmente determinate condotte, in ipotesi socialmente riprovevoli o dannose, o anche illecite sotto altro profilo, ovvero di avere troppo restrittivamente definito le fattispecie incriminatrici, lasciandone fuori condotte siffatte, non puo', in linea di principio, tradursi in una censura di illegittimita' costituzionale della legge, e tantomeno in una richiesta di "addizione" alla medesima mediante una pronuncia della Corte costituzionale; ed in quanto le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono nella (eventuale) tutela penale, ben potendo, invece, essere soddisfatte con diverse forme di precetti e di sanzioni, l'incriminazione costituendo una "extrema ratio", cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o la insufficienza o l'inadeguatezza di altri mezzi di tutela. - S. nn. 226/1983, 49/1985, 364/1988, 487/1989, 282/1990, 411/1995, 317/1996; O. nn. 288/1996, 355/1997. red.: S. Di Palma

Norme citate

SENT. 447/98 B. REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - ABUSO D'UFFICIO - NUOVA FORMULAZIONE DELLA NORMA A SEGUITO DELLE MODIFICHE APPORTATE CON LEGGE 6 LUGLIO 1997, N. 234 - LAMENTATA DELIMITAZIONE DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE - ESCLUSIONE DI COMPORTAMENTI RITENUTI MERITEVOLI DI SANZIONE PENALE GIUSTA LA DISCIPLINA PREVIGENTE - PRETESA VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO SECONDO CUI L'AMNISTIA O L'INDULTO POSSONO ESSERE DELIBERATI SOLO CON LA MAGGIORANZA DEI DUE TERZI DEI COMPONENTI DI CIASCUNA CAMERA - RIDEFINIZIONE DEL REATO IN VIA STABILE - ESTRANEITA' DEL PARAMETRO COSTITUZIONALE INVOCATO - MANIFESTA INFONDATEZZA.

E' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 79 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), come sostituito dall'art. 1 della l. n. 234 del 1997, in quanto il legislatore ha ridefinito in senso piu' restrittivo la fattispecie dell'abuso di ufficio, tenendo anche conto dei dubbi di insufficiente determinatezza che venivano sollevati sulla fattispecie descritta nel testo previgente, in via stabile e non gia' in vista di una eccezionale cancellazione di reati gia' commessi in un determinato periodo di tempo, sicche' siffatta scelta non ha nulla a che vedere con una amnistia, mascherata o meno. red.: S. Di Palma

Norme citate

Parametri costituzionali