Articolo 323 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Pronuncia 8/2022Depositata il 18/01/2022
La figura criminosa dell'abuso d'ufficio, assolvendo una funzione "di chiusura" del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, rappresenta il punto saliente di emersione della spigolosa tematica del sindacato del giudice penale sull'attività amministrativa, percorsa da una perenne tensione tra istanze legalitarie, che spingono verso un controllo a tutto tondo, atto a fungere da freno alla mala gestio della cosa pubblica, e l'esigenza di evitare un'ingerenza pervasiva del giudice penale sull'operato dei pubblici amministratori, lesiva della sfera di autonomia ad essi spettante. Al tempo stesso, si tratta di fattispecie caratterizzata da congeniti margini di elasticità, generatori di persistenti problemi di compatibilità con il principio di determinatezza. (Nel caso di specie, sono dichiarate in parte non fondate e in parte inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale di Catanzaro in riferimento all'art. 3, 77 e 97 Cost., dell'art. 23, comma 1, del d.l. n. 76 del 2020, come conv., che ha modificato la disciplina del reato di abuso d'ufficio, sostituendo, nell'art. 323 cod. pen., la locuzione - riferita alla violazione integrativa del reato - «di norme di legge o di regolamento» con l'altra, più restrittiva, «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità»).
Norme citate
- decreto-legge-Art. 23, comma 1
- legge-Art.
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 8/2022Depositata il 18/01/2022
La preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità dell'adozione di tale atto, la cui mancanza configura un vizio di legittimità costituzionale del medesimo, che non è sanato dalla legge di conversione, la quale, ove intervenga, risulta a sua volta inficiata da un vizio in procedendo . Il sindacato resta, tuttavia, circoscritto alle ipotesi di "mancanza evidente" dei presupposti in discorso o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione: ciò, al fine di evitare la sovrapposizione tra la valutazione politica del Governo e delle Camere (in sede di conversione) e il controllo di legittimità costituzionale. L'espressione, usata dall'art. 77 Cost., per indicare i presupposti della decretazione d'urgenza è connotata, infatti, da un largo margine di elasticità, onde consentire al Governo di apprezzare la loro esistenza con riguardo a una pluralità di situazioni per le quali non sono configurabili rigidi parametri. ( Precedenti: S. 186/ 2020 - mass. 43202 ; S. 149/2020 - mass. 43409 ; S. 247/2019 - mass. 42854 ; S. 97/2019 - mass. 42213 ; S. 137/2018 - mass. 41383 ; S. 99/2018 - mass. 41225 ; S. 5/2018 - mass. 39686 ; S. 236/2017 - mass. 42139 ; S. 170/2017 - mass. 41978 ; S. 10/2015 - mass. 38223 ; S. 93/2011 - mass. 35500 ; 83/2010 - mass. 34408 ; S. 128/2008 - mass. 32359 ; S. 171/2007 - mass. 31329 ; S. 29/1995 - mass. 21561 ). L'omogeneità costituisce un requisito del decreto-legge sin dalla sua origine, poiché l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed i provvedimenti provvisori con forza di legge, di cui all'art. 77, secondo comma, Cost. ( Precedenti: S. 149/2020 - mass. 43412 ; S. 22/2012 - mass. 36070 ). Il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77, secondo comma, Cost., resta collegato ad una intrinseca coerenza delle norme contenute nel decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. L'urgente necessità del provvedere può riguardare, cioè, una pluralità di norme accomunate o dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero dall'intento di fronteggiare una situazione straordinaria complessa e variegata, che richiede interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all'unico scopo di approntare urgentemente rimedi a tale situazione. ( Precedenti: S. 149/2020 - mass. 43409 ; S. 137/2018 - mass. 41383 ; S. 170/2017 - mass. 41978 ; S. 244/2016 - mass. 39155 ; S. 22/2012 - mass. 36070 ). Per i decreti-legge ab origine a contenuto plurimo, quel che rileva è il profilo teleologico, ossia l'osservanza della ratio dominante l'intervento normativo d'urgenza. Anche su tale fronte, il sindacato della Corte costituzionale resta, peraltro, circoscritto ai casi in cui la rottura del nesso tra la situazione di necessità ed urgenza che il Governo mira a fronteggiare e la singola disposizione del decreto-legge risulti evidente, così da connotare quest'ultima come totalmente estranea o addirittura "intrusa", analogamente a quanto avviene con riguardo alle norme aggiunte dalla legge di conversione. ( Precedenti: S. 213/2021 - mass. 44352 ; S. 16/2017 - mass. 39244 ; S. 287/2016 - mass. 39389 ). (Nel caso di specie, è dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal GUP del Tribunale di Catanzaro in riferimento all'art. 77 Cost., dell'art. 23, comma 1, del d.l. n. 76 del 2020, come conv., che ha modificato la disciplina del reato di abuso d'ufficio, sostituendo, nell'art. 323 cod. pen., la locuzione - riferita alla violazione integrativa del reato - «di norme di legge o di regolamento» con l'altra, più restrittiva, «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Come emerge dal preambolo, dai lavori preparatori e dalle dichiarazioni ufficiali che ne hanno accompagnato l'approvazione, il d.l. n. 76 del 2020 reca un complesso di norme eterogenee accomunate dall'obiettivo di promuovere la ripresa economica del Paese dopo il blocco delle attività produttive che ha caratterizzato la prima fase dell'emergenza pandemica da COVID-19. In quest'ottica, il provvedimento interviene in molteplici ambiti; non può però sostenersi che la norma censurata sia palesemente estranea alla traiettoria finalistica portante del decreto. Se l'intervento normativo censurato non nasce con l'emergenza epidemiologica, ma si connette all'epifania, ben anteriore, degli indirizzi giurisprudenziali che hanno dilatato la sfera applicativa dell'incriminazione per abuso d'ufficio, è però l'esigenza di far "ripartire" celermente il Paese dopo il prolungato blocco imposto per fronteggiare la pandemia che - nella valutazione del Governo e del Parlamento, in sede di conversione - ha impresso ad essa i connotati della straordinarietà e dell'urgenza. Valutazione, questa, che non può considerarsi manifestamente irragionevole o arbitraria).
Norme citate
- decreto-legge-Art. 23, comma 1
- legge-Art.
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 8/2022Depositata il 18/01/2022
La preclusione delle pronunce in malam partem non viene in considerazione quando si discuta di vizi formali o di incompetenza, relativi, cioè, al procedimento di formazione dell'atto legislativo e alla legittimazione dell'organo che lo ha adottato. Se l'esclusione delle pronunce in malam partem mira a salvaguardare il monopolio del soggetto-Parlamento sulle scelte di criminalizzazione, sarebbe illogico che detta preclusione possa scaturire da interventi normativi operati da soggetti non legittimati, i quali pretendano di "neutralizzare" le scelte effettuate da chi detiene quel monopolio - quale il Governo, che si serva dello strumento del decreto legislativo senza il supporto della legge di delegazione, o le Regioni, che legiferino indebitamente in materia penale, loro preclusa; ovvero che possa derivare da interventi normativi operati senza il rispetto del corretto iter procedurale, che pure assume una specifica valenza garantistica nella cornice della riserva di legge. ( Precedenti: S. 189/2019 - mass. 42791 ; S. 46/2014 - mass. 37770 ; S. 5/2014 - mass. 37591 ). È consentito alla Corte costituzionale scrutinare nel merito, malgrado i possibili effetti in malam partem conseguenti al loro accoglimento, non solo questioni volte a censurare l'inserimento in sede di conversione di norme penali "intruse", prive cioè di ogni collegamento logico-giuridico con il testo originario del decreto-legge convertito (operazione che menoma indebitamente il dibattito parlamentare, comprimendolo all'interno dei tempi contingentati correlati alla breve "vita provvisoria" dell'atto normativo del Governo); ma anche, e prima ancora, questioni intese a denunciare la carenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, ai quali è subordinata l'eccezionale legittimazione del Governo ad adottare atti con forza di legge in assenza di delegazione parlamentare. ( Precedenti: S. 32/2014 - mass. 37670 ; S. 330/1996 - mass. 22883 ; O. 90/1997 - mass. 23164 : O. 432/1996 - mass. 23083 ). Per norme penali di favore debbono intendersi quelle che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali o comuni compresenti nell'ordinamento. L'effetto in malam partem conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di tali norme non vulnera la riserva al legislatore sulle scelte di criminalizzazione, rappresentando una conseguenza dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di ingiustificata disciplina derogatoria. ( Precedenti: S. 394/2006 - mass. 30839 ; S. 155/2019 - mass. 41418; S. 57/2009 - mass. 33206 ; S. 324/2008 - mass. 32804 ; O. 413/2008 - mass. 33040 ). La qualificazione come norma penale di favore non può essere fatta discendere dal raffronto tra una norma vigente e una norma anteriore, sostituita dalla prima con effetti di restringimento dell'area di rilevanza penale. In tal caso, la richiesta di sindacato in malam partem non mira a far riespandere una norma tuttora presente nell'ordinamento, ma a ripristinare la norma abrogata, espressiva di una scelta di criminalizzazione non più attuale: operazione preclusa alla Corte. ( Precedenti: S. 37/2019 - mass. 41546; S. 57/2009 - mass. 33206 ; S. 324/2008 - mass. 32801 ; O. 282/2019 - mass. 40954 ; O. 413/2008 - mass. 33040 ; O. 175/2001 - mass. 26276 ). Una censura di illegittimità costituzionale non può basarsi sul pregiudizio che la formulazione, in assunto troppo restrittiva, di una norma incriminatrice, recherebbe a valori di rilievo costituzionale. Le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono, infatti, nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni: l'incriminazione costituisce anzi un' extrema ratio , cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi di tutela. ( Precedenti: S. 37/2019 - mass. 41546 ; S. 273/2010 - mass. 34893 ; S. 447/1998 - mass. 24351 ; O. 317/1996 - mass. 22968 ). In linea di principio, non può tradursi in una questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice il rilievo che altre condotte, diverse da quelle individuate come fatti di reato dal legislatore, avrebbero dovuto essere a loro volta incriminate per ragioni di parità di trattamento o in nome di esigenze di ragionevolezza. La mancanza della base legale - costituzionalmente necessaria - dell'incriminazione, cioè della scelta legislativa di considerare certe condotte come penalmente perseguibili, preclude radicalmente la possibilità di prospettare una estensione ad esse delle fattispecie incriminatrici attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale. ( Precedente: S. 447/1998 - mass. 24351 ). Ove pure, in ipotesi, la norma incriminatrice censurata (non qualificabile come norma penale di favore) determinasse intollerabili disparità di trattamento o esiti irragionevoli, il riequilibrio potrebbe essere operato dalla Corte costituzionale solo "verso il basso" (ossia in bonam partem ): non già in malam partem , e in particolare tramite interventi dilatativi del perimetro di rilevanza penale. ( Precedenti: S. 411/1995 - mass. 22493 ; O. 437/2006 - mass. 30878; O. 580/2000 - mass. 25972 ). L'adozione di pronunce con effetti in malam partem in materia penale risulta, in via generale, preclusa dal principio della riserva di legge sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., il quale, rimettendo al soggetto-Parlamento, che incarna la rappresentanza politica della Nazione, le scelte di politica criminale (con i relativi delicati bilanciamenti di diritti e interessi contrapposti), impedisce alla Corte costituzionale sia di creare nuove fattispecie o di estendere quelle esistenti a casi non previsti, sia di incidere in peius sulla risposta punitiva o su aspetti inerenti, comunque sia, alla punibilità. ( Precedenti: S. 17/2021 - mass. 43462; S. 46/2014 - mass. 37770 ; S. 5/2014 - mass.37591 ; S. 324/2008 - mass. 32803 ; S. 161/2004 - mass. 28492 ; O. 219/2020 - mass. 42827 ; O. 65/2008 - mass. 32209 ; O. 164/2007 - mass. 31286 ). (Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 1, del d.l. n. 76 del 2020, come conv., sollevate dal GUP del Tribunale di Catanzaro in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., che ha modificato la disciplina del reato di abuso d'ufficio, sostituendo, nell'art. 323 del codice penale, la locuzione - riferita alla violazione integrativa del reato - «di norme di legge o di regolamento» con l'altra, più restrittiva, «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Il giudice a quo invoca una pronuncia ablativa della modifica operata dalla norma censurata, che avrebbe come effetto la reviviscenza della precedente norma incriminatrice dell'abuso d'ufficio, dal perimetro applicativo più vasto. Si tratta, dunque, inequivocabilmente, della richiesta di una sentenza in malam partem in materia penale. La norma censurata, infatti, richiedendo che le regole siano espressamente previste dalla legge e tali da non lasciare margini di discrezionalità, nega rilievo al compimento di atti viziati da eccesso di potere, con conseguenti effetti di abolitio criminis parziale - specie nel raffronto con la "norma vivente" come disegnata dalle interpretazioni giurisprudenziali -, operanti, come tali, ai sensi dell'art. 2, secondo comma, cod. pen., anche in rapporto ai fatti anteriormente commessi).
Norme citate
- decreto-legge-Art. 23, comma 1
- legge-Art.
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 177/2016Depositata il 14/07/2016
È manifestamente inammissibile, per carente descrizione della fattispecie che si riverbera sull'indeterminatezza e ambiguità del petitum, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 del cod. pen., impugnato - in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 97, secondo comma, Cost. - nella parte in cui, secondo il «diritto vivente», includerebbe nel requisito della «violazione di norme di legge», necessario per la configurazione della fattispecie incriminatrice dell'abuso di ufficio, anche la violazione dell'art. 97 Cost. e, dunque, dei principî di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e, persino, la violazione di norme previste nei contratti collettivi di lavoro o in atti amministrativi, circolari ed addirittura discendenti da prassi amministrative. Dall'ordinanza di rimessione non si comprende per quale delle condotte indicate sia ipotizzabile la fattispecie criminosa. Ad ogni modo, laddove venisse in rilievo la violazione di norme del contratto collettivo di lavoro, sarebbe errata la ricostruzione del «diritto vivente» prospettata dal rimettente, in quanto secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, essa non realizza uno dei presupposti necessari per la configurabilità del reato di abuso di ufficio; laddove, invece, la condotta rilevante fosse quella della violazione di legge in relazione a «plurime e reiterate vessazioni», allora il giudice remittente avrebbe dovuto illustrare le ragioni per le quali, a fronte di un contrasto interpretativo della giurisprudenza, non ha ritenuto di praticare un'interpretazione conforme a Costituzione.
Norme citate
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 402/2008Depositata il 05/12/2008
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 37 cod. pen. mil. di pace, 47, secondo comma, numero 2), cod. pen. mil. di guerra (aggiunto dall'art. 2, comma 1, lettera c , della legge 31 gennaio 2002, n. 6), 314, secondo comma, e 323 cod. pen., censurato - in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost. - nella parte in cui il citato art. 47, secondo comma, cod. pen. mil. guerra, prevede che costituiscano reati militari i delitti contro la pubblica amministrazione, e in particolare quelli di cui agli artt. 314, secondo comma, e 323 cod. pen., commessi da appartenenti alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o in luogo militare, (ma) solo in caso di applicazione della legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace. Il rimettente richiede un intervento manipolativo finalizzato ad estendere anche al tempo di pace la portata della norma che definisce la giurisdizione penale dei Tribunali militari in tempo di guerra, ma tale intervento non determinerebbe il superamento della frammentazione della giurisdizione, essendo limitato solo ad alcune ipotesi di reato (i delitti di peculato d'uso e di abuso d'ufficio). In ogni caso, si tratta di un intervento precluso alla Corte e riservato alla discrezionalità del legislatore, sia per la sua portata sistematica, sia perchè incide in materia rimessa all'ampia discrezionalità del legislatore, sia infine perché la Costituzione non contiene alcuna clausola di riserva esclusiva di giurisdizione a favore dei tribunali militari in tempo di pace, né preclude al Parlamento di estendere la giurisdizione del giudice ordinario, quando sussistano interessi valutati non irragionevolmente come preminenti. - Sull'ampia discrezionalità del legislatore nella materia del riparto di giurisdizione e della composizione degli organi giudicanti, v., citate, ordinanze n. 22 e n. 287 del 2007, n. 301 del 2004, n. 204 del 2001. - Con riguardo ai reati militari contro la pubblica amministrazione v., citata, sentenza n. 298 del 1995, secondo cui «nello scegliere il tipo di illecito, militare o comune, il legislatore resta [...] libero, purché osservi il canone della ragionevolezza». - Nel senso che la scelta di sottrarre alcuni reati alla cognizione del giudice militare, riservandoli alla cognizione del giudice ordinario, in base al criterio «formalistico» di cui all'art. 37, cod. pen. mil. pace, rientra appieno nella discrezionalità del legislatore e non può reputarsi irragionevole, v., citate, sentenze n. 271 del 2000 e n. 81 del 1980.
Norme citate
- codice penale militare di pace-Art. 37
- codice penale militare di guerra-Art. 47, comma 2
- legge-Art. 2, comma 1
- codice penale-Art. 314, comma 2
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 251/2006Depositata il 28/06/2006
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 323 cod. pen., censurato, in riferimento agli artt. 97 e 3 Cost., nella parte in cui tale norma viene interpretata dal diritto vivente nel senso di escludere, per mancanza del dolo, la punibilità della condotta diretta a procurare un danno ingiusto o un ingiusto vantaggio patrimoniale ogni qual volta l'agente abbia perseguito contestualmente l'interesse pubblico affidatogli. Il rimettente, infatti, non solo non offre alcun elemento per valutare se, nel giudizio sottopostogli, ricorrano condizioni di fatto tali da giustificare l'applicazione del diritto vivente, ma erra nella ricostruzione del diritto vivente in materia di dolo nel reato di abuso d'ufficio, poiché nelle pronunce di legittimità richiamate non è stato affermato che la mera compresenza di una finalità pubblicistica basti ad escludere il dolo previsto dalla norma. > >- Solo il legislatore può, nel rispetto dei principi della Costituzione, individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale e le condotte da assoggettare a pena: v., citata, sentenza n. 437/1998.
Norme citate
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 192/1999Depositata il 25/05/1999
E' manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), nel testo anteriore alla modifica recata dall'art. 1 l. 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'art. 323 cod. pen. in materia di abuso d'ufficio, e degli artt. 289, 416 e 455 cod. proc. pen.), sollevata con riferimento agli artt. 24, comma secondo, 25, comma secondo, e 97 Cost.. Invero l'asserita indeterminatezza delle fattispecie di cui al previgente testo del citato art. 323 resta superata dalla ritenuta (da parte dello stesso giudice ' a quo') applicabilita' delle piu' favorevoli fattispecie di cui al nuovo testo della detta norma.
Norme citate
- codice penale-Art. 323
- legge-Art. 1
Parametri costituzionali
Pronuncia 447/1998Depositata il 28/12/1998
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), come sostituito dall'art. 1 l. 16 luglio 1997 n. 234 (Modifica dell'art. 323 del codice penale in materia di abuso di ufficio e degli artt. 289, 416, 555 del codice di procedura penale) - che, limitando la punibilita' alle condotte di abuso commesse in violazione di norme di legge o di regolamento o in violazione di obblighi di astensione, che procurino intenzionalmente ingiusti vantaggi patrimoniali all'agente o a terzi, ovvero rechino intenzionalmente ingiusto danno ad altri, lascerebbe sguarnite di sanzione penale condotte altrettanto o piu' gravemente riprovevoli dal punto di vista sociale - sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto - posto che e' principio essenziale in campo penale, e garanzia fondamentale della persona, che non si possa addebitare a titolo di reato alcuna condotta diversa ed ulteriore rispetto a quelle in tal senso esplicitamente qualificate da una legge in vigore al momento della commissione del fatto (art. 25, comma secondo, Cost.); che solo il legislatore puo' dunque, nel rispetto dei principi della Costituzione, individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale, e le condotte, lesive di tali beni, da assoggettare a pena, nonche' stabilire qualita' e quantita' delle relative pene edittali, secondo il principio "nullum crimen, nulla pena sine lege", cui si riconducono sia la riserva di legge vigente in materia penale, sia il principio di determinatezza delle fattispecie penali, sia il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici; e che, al di fuori dei confini delle fattispecie di reato, come definiti dalla legge, riprende vigore il generale divieto di incriminazione, anche la' dove siano configurabili altre ipotesi di illecito e di responsabilita' non sanzionate penalmente - l'eventuale addebito al legislatore di aver omesso di sanzionare penalmente determinate condotte, in ipotesi socialmente riprovevoli o dannose, o anche illecite sotto altro profilo, ovvero di avere troppo restrittivamente definito le fattispecie incriminatrici, lasciandone fuori condotte siffatte, non puo', in linea di principio, tradursi in una censura di illegittimita' costituzionale della legge, e tantomeno in una richiesta di "addizione" alla medesima mediante una pronuncia della Corte costituzionale; ed in quanto le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono nella (eventuale) tutela penale, ben potendo, invece, essere soddisfatte con diverse forme di precetti e di sanzioni, l'incriminazione costituendo una "extrema ratio", cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l'assenza o la insufficienza o l'inadeguatezza di altri mezzi di tutela. - S. nn. 226/1983, 49/1985, 364/1988, 487/1989, 282/1990, 411/1995, 317/1996; O. nn. 288/1996, 355/1997. red.: S. Di Palma
Norme citate
- legge-Art. 1
- codice penale-Art. 323
Parametri costituzionali
Pronuncia 447/1998Depositata il 28/12/1998
E' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 79 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), come sostituito dall'art. 1 della l. n. 234 del 1997, in quanto il legislatore ha ridefinito in senso piu' restrittivo la fattispecie dell'abuso di ufficio, tenendo anche conto dei dubbi di insufficiente determinatezza che venivano sollevati sulla fattispecie descritta nel testo previgente, in via stabile e non gia' in vista di una eccezionale cancellazione di reati gia' commessi in un determinato periodo di tempo, sicche' siffatta scelta non ha nulla a che vedere con una amnistia, mascherata o meno. red.: S. Di Palma
Norme citate
- codice penale-Art. 323
- legge-Art. 1
Parametri costituzionali
Pronuncia 427/1998Depositata il 23/12/1998
E' manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 24, secondo comma, e 97 Cost., dell'art. 323 cod. pen. (abuso d'ufficio), impugnato, nel testo anteriore alla modifica operata con l'art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234, in relazione a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. La censura di indeterminatezza delle fattispecie - che accomuna le diverse censure proposte - cosi' come appare formulata nelle ordinanze di rimessione, non riguarda infatti i tipi di comportamento descritti nel nuovo testo dell'art. 323 cod. pen. e connotati dalla violazione di specifiche norme di legge e di regolamenti, ma solo le condotte caratterizzate da elementi, individuati dalla interpretazione corrente riconosciuta come "diritto vivente", e ad avviso dei giudici 'a quibus' di incerta definizione (come la generica antigiuridicita', il contrasto con i fini istituzionali e l'eccesso di potere) che in seguito alle modifiche apportate all'articolo 'de quo' dalla legge n. 234 del 1997, non possono piu' ritenersi previste come reati. Con la conseguenza che la contestata norma incriminatrice, nella parte a cui si riferiscono i dubbi di legittimita' costituzionale, risulta inapplicabile, in forza dell'art. 2, secondo comma, cod. pen. - per cui "nessuno puo' essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce reato" -, nei processi di provenienza. red.: S. Pomodoro
Norme citate
- codice penale-Art. 323
- legge-Art. 1
Parametri costituzionali
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.