Articolo 109 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
A seguito dell'entrata in vigore della l. 10 ottobre 1986, n. 663, spetta al giudice a quo, al quale vanno quindi restituiti gli atti, procedere alla stregua di essa, ad una nuova valutazione della rilevanza della questione di legittimita` costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. - concernente: a) la "disciplina relativa alla dichiarazione di delinquenza abituale", nella parte in cui si prevede la ultrattivita` nel tempo, della qualificazione di pericolosita`, che si esprime nella dichiarazione stessa, nonche` nella parte in cui si prevede una durata senza limiti di tempo dei vari e gravi effetti che ad essa conseguono; b) l'art. 109, primo cpv., cod. pen., nella parte in cui stabilisce che la dichiarazione di abitualita` puo` essere pronunciata in ogni tempo, anche dopo l'esecuzione della pena.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimita` proposta in via meramente astratta e ipotetica, ovvero quando il giudice a quo ometta di scegliere la norma da applicare nel caso concreto. (Manifesta inammissibilita` della questione di legittimita` costituzionale degli artt. 102 e 109 del cod. pen., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.). - S. nn. 146/1985, 182/1984, 115/1983.
Questione gia' dichiarata non fondata. - S. n. 143/1976.
La circostanza che il legislatore preveda come obbligatoria l'adozione di un provvedimento, in relazione al verificarsi di ipotesi astrattamente previste, non comporta, di per se' violazione dell'art. 111 Cost., secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati poiche' anche in tal caso e' pur sempre possibile individuare il processo logico-giuridico seguito dal giudice per pervenire alla soluzione delle questioni sottoposte al suo esame attraverso l'enunciazione della sussistenza, nel caso concreto, delle circostanze previste dalla legge per l'emanazione del provvedimento (nella specie trattasi degli artt. 102 e 109 c.p., relativi alla abitualita' presunta dalla legge). Le pronunzie che il giudice e' chiamato ad emettere - ai sensi, rispettivamente, degli artt. 109 e 204 c.p. - circa la abitualita' nel reato del soggetto e l'applicabilita' al medesimo delle misure di sicurezza, non hanno necessariamente lo stesso contenuto e sono suscettibili di autonoma motivazione. Per vero, ai fini della dichiarazione di delinquenza abituale presunta dalla legge, di cui all'art. 102, il giudice deve limitarsi ad accertare se sussistono i presupposti di fatto richiesti per la dichiarazione (specie, gravita', numero delle condanne e tempo in cui sono state pronunciate) rimanendo sottratta ad ogni suo apprezzamento l'indagine sulla sussistenza di una pericolosita' sociale del soggetto; laddove nelle ipotesi previste dal secondo comma dell'art. 204 c.p. l'indagine del giudice va rivolta ad accertare se chi ha commesso il fatto sia in concreto persona socialmente pericolosa, ai sensi dell'art. 203 c.p., e cio' anche se si tratti di soggetto da dichiarare delinquente abituale secondo quanto disposto dall'art. 102 c.p. - S. nn. 68/1967, 64/1970, 4/1970, 89/1972.
E' manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3, comma primo, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 109 cod. pen., gia' dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 168 del 1972.
E' senz'altro da escludere che l'art. 25 della Costituzione possa interpretarsi nel senso che consenta l'applicazione delle misure di sicurezza solo in via alternativa alla pena e che percio', se correlate a fatti costituenti reato, per i quali vi e' gia' previsione di pena, tali misure debbano considerarsi illegittime. E' pertanto infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in base a tale assunto (che oltretutto comporterebbe l'incostituzionalita' dell'intero sistema delle misure di sicurezza quale risulta dal codice penale) riguardo alla irrogazione di misure di sicurezza per effetto della dichiarazione di abitualita' e professionalita' nel reato, prevista dagli artt. 102, 103, 105, 109, 204, 216, nn. 1 e 2, e 217 codice penale.
L'art. 27 della Costituzione si riferisce soltanto alla pena e non considera le misure di sicurezza, proprio perche' queste ex se tendono ad un risultato che eguaglia quella rieducazione cui deve mirare la pena. Pertanto non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 27 Cost., riguardo all'automatica irrogazione della misura di sicurezza (colonia agricola o casa di lavoro) per effetto della dichiarazione di professionalita' od abitualita' nel reato, prevista in combinato disposto dagli artt. 102, 103, 105, 109, 204, primo e secondo comma, 216, nn. 1 e 2, e 217 cod. pen., in base all'assunto che le misure di sicurezza, se ed in quanto correlate a fatti-reati, sarebbero in contraddizione con le "finalita' educative". Cfr.: sent. nn. 168 del 1972 e 68 del 1967.
Col prevedere negli artt. 102, 103, 105, 109, 204, 216, nn. 1 e 2, e 217 codice penale (combinato disposto), l'irrogazione automatica della misura di sicurezza per effetto della dichiarazione di abitualita' e professionalita' nel reato, il legislatore, nell'ambito della discrezionalita' consentitagli, ha ritenuto di attribuire generalizzata significazione, al fine della prevenzione criminale, agli elementi dei precedenti penali e dell'indole del nuovo reato. E' pertanto infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in proposito, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, atteso che tale uniforme significazione di pericolosita' giustifica l'adottata identica regola di giudizio: non certo in contrasto con il principio di eguaglianza, bensi' al fine di farne applicazione.
L'art. 109, secondo comma, cod. pen., col riferire l'accertamento della qualita' di delinquente abituale allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della pronunzia della condanna, ha inteso sottrarre il trattamento del condannato a successive evenienze, a ritardi oppure anche a disfunzioni dell'apparato giudiziario escludendo che da questi eventi possa trarsi vantaggio. Ne' da cio' puo' derivare pregiudizio nei confronti di chi, nel tempo intercorso dopo la condanna, ha dato prova di ravvedimento e di reinserimento nell'ordine sociale, in quanto venga assoggettato tardivamente a restrizioni della liberta' personale anche con l'imposizione di misure di sicurezza, giacche' non mancano nell'ordinamento opportuni temperamenti al rigore di detta disposizione. Essa, pertanto, non contrasta con gli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che la dichiarazione di delinquenza abituale, a carico del soggetto che versi nelle condizioni prevedute dalle precedenti disposizioni degli artt. 102 e 103, puo' essere pronunziata in ogni tempo, anche dopo l'esecuzione della pena (ovviamente ove non vi abbia provveduto il giudice della cognizione) sulla base della condotta gia' considerata nella sentenza di condanna, senza che possa tenersi conto della condotta successiva del colpevole.
Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 114, primo comma, della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), secondo cui gli effetti della dichiarazione di abitualita' nel contrabbando sono quelli stessi stabiliti dall'art. 109 del codice penale (che disciplina l'abitualita' a delinquere comune), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, per la prospettata ingiustificata equiparazione di situazioni diverse. Ben puo' il legislatore punire un reato in modo piu' severo di un altro che appaia a taluni meno dannoso o riprovevole; allo stesso modo puo' regolarsi per l'applicazione di misure di sicurezza. Ne' si comprende perche' il contrabbandiere abituale dovrebbe meritare un trattamento diverso e piu' favorevole del delinquente abituale comune, in tema di misure di sicurezza, essendo il contrabbando un reato non solo diretto contro un interesse generale dello Stato, costituzionalmente protetto (artt. 53 e 14, terzo comma, Costituzione), ma anche capace di creare situazioni di pericolo e di pubblico allarme.