Articolo 2 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono restituiti al rimettente gli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, sesto comma, del codice penale, impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevede che le disposizioni contenute in una legge delega, le quali abrogano o trasformano fattispecie incriminatrici in illecito amministrativo, abbiano immediata applicazione, indipendentemente dalla successiva emanazione dei decreti legislativi di attuazione ovvero anche in loro mancanza; nonché dell'art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, impugnato, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., nella parte in cui non esclude l'applicabilità delle sanzioni amministrative e civili introdotte dalla legge in questione, in relazione a condotte tenute in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. Successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di rimessione, infatti, sono entrati in vigore i decreti legislativi di attuazione della delega di cui all'art. 2 della legge impugnata, che hanno determinato una decisiva trasformazione del quadro normativo di riferimento, alla luce del quale il giudice rimettente aveva sollevato le questioni di legittimità costituzionale. Va, quindi, disposta la restituzione degli atti al rimettente per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli articoli 2, terzo comma, del codice penale e 673 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentirebbe la modifica del giudicato, in sede di procedimento di esecuzione, nel caso di successione di leggi penali nel tempo, perlomeno nelle ipotesi in cui l'intervento legislativo si limita a incidere sul regime di procedibilità del reato (a querela anziché di ufficio), ovvero sul 'quantum' o sulla 'species' della pena (pecuniaria, sia pure in via alternativa, anziché esclusivamente detentiva). Infatti la vicenda legislativa (abrogazione dell'art. 341 cod. pen. che puniva il reato di oltraggio a pubblico ufficiale), sulla quale si innesta la questione di legittimità costituzionale, non integra un caso di successione nel tempo di leggi penali incriminatrici - come erroneamente ritenuto dal rimettente - bensì una vera e propria 'abolitio criminis', disciplinata dall'art. 2, secondo comma, del codice penale. - Con riferimento a tematiche connesse alla successione di leggi penali e al reato di oltraggio, v. citata ordinanza n. 175/2001. - Sulla revoca della sentenza da parte del giudice dell'esecuzione, conseguente ad 'abolitio criminis', v. citata ordinanza n. 57/2001. - Sul vincolo all'interpretazione costituzionalmente conforme in relazione all'art. 76 Cost., v. citata sentenza n. 292/2000.
Manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 341 del codice penale, e del combinato disposto degli articoli 2, terzo comma, del codice penale e 673 del codice di procedura penale, in quanto il giudice 'a quo' ha prospettato quesiti plurimi, di portata affatto differente, ponendo i quesiti stessi in un legame irrisolto di alternatività, senza un collegamento di subordinazione logica che consentirebbe la delibazione della questione subordinata in caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità di quella che la precede. - Sulla inammissibilità delle questioni ancipiti o alternative, si vedano le ordinanze n. 78/2000, n. 286/1999, n. 449/1998, n. 384/1998, n. 146/1998. M.R.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che il debito di rimborso delle spese processuali si estingua nel caso di revoca della condanna, ex articolo 673 cod. proc. pen., per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisca reato. Infatti nell'ipotesi di 'abolitio criminis' cessano tutti gli effetti della sentenza di condanna, e spetta al giudice 'a quo' stabilire se il pagamento delle spese processuali costituisca una obbligazione civile verso lo Stato, ovvero una sanzione di natura analoga a quella penale. - Sugli effetti della 'abolitio criminis', si veda la sentenza n. 96/1996. - - Sulla natura del debito per il pagamento delle spese processuali, si veda la sentenza n. 98/1998. M.R.
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, u.c., cod. pen. sollevata in riferimento all'art. 77 Cost. in quanto la norma impugnata e' stata gia' dichiarata costituzionalmente illegittima. - S. n. 51/1985.
Del tutto conforme alla ord. n. 90/1985.
Del tutto conforme alla ord. n. 90/1985.
Va dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, cod. pen. nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste (decreti legge non convertiti o convertiti con emendamenti che implichino mancata conversione in parte qua) le disposizioni contenute nei commi secondo e terzo dello stesso art. 2 cod. pen. relative alla operativita' delle "norme penali favorevoli" ai "fatti pregressi". Infatti detto articolo, in parte qua, e' stato gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo. - S. n. 51/1985.
Con lo stabilire la retroattivita'-applicabilita' ai fatti pregressi della "norma penale favorevole" anche nel caso di "norma penale favorevole" dettata con "decreto-legge non convertito", l'art. 2, comma quinto, c.p., si pone in contrasto col comma terzo e ultimo dell'art. 77 Cost., il quale in nessun caso considera la norma dettata con "decreto-legge non convertito" come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto ed anzi, se interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto (privazione, per il "decreto-legge non convertito", di ogni effetto "fin dall'inizio"), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (ispirato - come appare anche dagli altri due commi dell'art. 77 Cost. - a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potesta' legislativa) vieta di considerarla tale. Alla declaratoria d'illegittimita' costituzionale che ne consegue non osta il principio d'irretroattivita' della norma penale o del trattamento penale piu' sfavorevole, di cui all'art. 25 Cost., riferito al risultato normativo derivante dalla pronuncia. Ancorche' riferibile, oltre che rispetto a fenomeni normativi del tipo "successorio", all'interno di (e/o in riferimento a) vicende del tipo di alternativita' sincronica fra situazioni normative (quali sono o cui sono collegate sia la dichiarazione di illegittimita' costituzionale che la mancata conversione di un decreto-legge), tale principio puo' trovare infatti applicazione soltanto relativamente ai fatti commessi nel vigore - anche se poi caducato - della "norma penale favorevole" contenuta in un "decreto-legge non convertito", fatti rispetto ai quali soltanto sorge il problema dell'operativita' del risultato normativo in discorso, e rispetto ai quali soltanto tale risultato potrebbe equipararsi a una "norma penale sfavorevole"; non anche relativamente ai "fatti pregressi". Pertanto, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma quinto, c.p., nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste ("decreto-legge non convertito", ovvero convertito in legge con emendamenti che implichino mancata conversione in parte qua) le disposizioni contenute nei commi secondo e terzo relative alla operativita' della "norma penale favorevole" ai "fatti pregressi". - S. nn. 91/1979; 108/1981; 148/1983.
Relativamente alla previsione generale dell'art. 2, terzo comma, cod. pen., l'applicazione delle sanzioni penali piu` favorevoli al reo puo` subire limitazioni o deroghe, sancite non senza una razionale giustificazione da parte del legislatore ordinario. Non e` contestabile che una pertinente ragione giustificatrice consista nell'esigenza di salvaguardare la certezza dei rapporti ormai esauriti, perseguita statuendo l'intangibilita` delle sentenze divenute irrevocabili. Ne` certamente la circostanza che la regola dell'intangibilita` del giudicato incontri una serie di deroghe consente di desumerne una regola di segno opposto, salvo che nel caso dell'abrogazione della legge incriminatrice di cui all'art. 2 cpv c.p. Non e` pertanto fondata la questione di legittimita` costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 2, terzo comma, 163 e 164 cod. pen. e 628 cod. proc. pen., in quanto non prevedono che la sospensione condizionale della pena possa essere ordinata anche dal giudice dell'esecuzione, limitatamente ai benefici suscettibili di essere concessi in occasione di una nuova condanna, secondo la disciplina introdotta dall'art. 12 d.l. 11 aprile 1974, n. 99 e dalla relativa legge di conversione 7 giugno 1974 n. 220, qualora il giudice della cognizione non sia stato in grado di ordinare la sospensione stessa, avendo deciso irrevocabilmente prima dell'entrata in vigore del testo cosi` novellato (o prima del parziale annullamento dell'art. 164, ult. comma, ad opera della sentenza n. 95 del 1976). Ne` la violazione del principio d'uguaglianza deriva dagli inconvenienti della mancata sospensione condizionale, in ragione del tempo in cui venne inflitta la pena. L'irrevocabilita` delle sentenze di condanna, che preclude la concessione del beneficio ad opera del giudice dell'esecuzione, risponde infatti alla ratio del beneficio stesso, tuttora fondato sulla premessa, da verificare puntualmente nel processo di cognizione, che il colpevole si asterra` dal commettere ulteriori reati. Trasferire simili valutazioni dalla fase di cognizione a quella dell'esecuzione significherebbe snaturare il beneficio, traducendo il giudizio prognostico sulla presunzione di ravvedimento in un giudizio diagnostico non dissimile da quello che precede l'affidamento in prova al servizio sociale, giudizio che poi non vi sarebbe ragione di non consentire in tutti i casi in cui il condannato, anche per reati successivi alla riforma del 1974, proponesse un'istanza di sospensione condizionale della pena. - cfr. sentt. nn. 164/1974, 6/1978