Articolo 673 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 673 c.p.p. - censurato nella parte in cui non include tra le ipotesi di revoca della sentenza di condanna anche il mutamento giurisprudenziale determinato da una decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione in base al quale il fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato - deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza. Premesso che il rimettente è investito dell'istanza di revoca parziale di una sentenza formulata in base al principio affermato dalle Sezioni unite della Cassazione secondo cui la legge n. 94 del 2009 ha determinato l'abolizione della contravvenzione di omessa esibizione dei documenti con riguardo agli stranieri irregolarmente soggiornanti, e tenuto conto della circostanza che il fatto oggetto della sentenza è stato commesso dopo l'entrata in vigore di detta legge, non è implausibile l'assunto da cui muove il giudice a quo secondo cui la richiesta di revoca si basa sulla successione nel tempo non già di leggi, bensì di diverse interpretazioni giurisprudenziali della stessa norma di legge.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 673 c.p.p. - censurato nella parte in cui non include tra le ipotesi di revoca della sentenza di condanna anche il mutamento giurisprudenziale determinato da una decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione in base al quale il fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato - deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità prospettata in relazione alla mancata verifica da parte del rimettente che la condotta di omessa esibizione dei documenti da parte dello straniero irregolarmente soggiornante nel territorio nazionale integri una diversa e più generale fattispecie penale atteso che la Suprema Corte, a Sezioni unite, ha affermato in termini inequivoci che al riguardo è intervenuta una abolitio criminis .
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 673 c.p.p. censurato nella parte in cui non include tra le ipotesi di revoca della sentenza di condanna anche il mutamento giurisprudenziale determinato da una decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione in base al quale il fatto giudicato non è previsto dalla legge come reato, non sussistendo la violazione dell'art. 117, primo comma Cost. per contrasto con l'art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo atteso che questa, pur affermando che la norma convenzionale sancisce implicitamente il principio di retroattività della lex mitior , non hai mai riferito tale principio ai mutamenti di giurisprudenza ed ha escluso che esso possa operare oltre il limite del giudicato. Inconferente è il richiamo all'art. 5 CEDU come interpretato dalla Corte europea mancando ogni analogia tra il caso da essa esaminato e quello oggetto del giudizio interno, nonché il richiamo all'art. 6 CEDU e alla potenziale lesione del diritto all'equo processo che può conseguire a divergenze profonde e persistenti nella giurisprudenza di una corte suprema circa l'interpretazione di una data norma, riguardando tale ipotesi la diversa fattispecie di contrasti "sincronici" di giurisprudenza, e non quella avuta di mira dal rimettente di contrasti "diacronici" legati alla successione di un orientamento interpretativo ad un altro, a processo concluso. Non sussiste la violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza non essendo manifestamente irragionevole, in relazione alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici esauriti, il mancato riconoscimento all' overruling giurisprudenziale favorevole della capacità di travolgere il principio di intangibilità del giudicato stante l'efficacia non cogente ma solo "persuasiva" delle decisioni delle Sezioni unite e comportando il diverso intervento auspicato dal rimettente una sovversione dei sistema in quanto creerebbe un rapporto di gerarchia tra le Sezioni unite e il giudice dell'esecuzione al di fuori del giudizio del rinvio. Non sussiste la violazione del principio di (tendenziale) retroattività della normativa penale più favorevole il quale, attenendo alla sola successione di leggi, non può essere esteso ai mutamenti giurisprudenziali, essendo questi ultimi privi di vincolatività e sussistendo nel nostro ordinamento i principi di riserva di legge in materia penale e di separazione dei poteri in forza dei quali la abrogazione delle norme penali, al pari della loro creazione, può discendere solo da un atto di volontà del legislatore.
E? manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 673 cod. proc. pen., nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione ? nel caso di revoca per 'abolitio criminis' di sentenze di condanna che avevano impedito la sospensione condizionale della pena inflitta per un diverso reato ? di concedere tale beneficio, sollevata in riferimento all?art. 3 Cost. Infatti, il giudice rimettente pone a premessa della questione la mancata adesione all'indirizzo della giurisprudenza di legittimità ? affermatosi negli ultimi anni e che appare allo stato prevalente ? in forza del quale la norma impugnata già riconoscerebbe al giudice dell'esecuzione il potere di cui si discute. Per costante affermazione di questa Corte, peraltro, il giudice ? quanto meno in assenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato ? ha il dovere di seguire l'interpretazione da lui ritenuta più adeguata ai principî costituzionali, configurandosi, altrimenti, la questione di costituzionalità quale improprio strumento volto ad ottenere l'avallo della Corte a favore di una determinata interpretazione della norma. - Cfr., 'ex plurimis', ordinanze n. 89/2002, n. 367/2001, n. 7/1998.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli articoli 2, terzo comma, del codice penale e 673 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentirebbe la modifica del giudicato, in sede di procedimento di esecuzione, nel caso di successione di leggi penali nel tempo, perlomeno nelle ipotesi in cui l'intervento legislativo si limita a incidere sul regime di procedibilità del reato (a querela anziché di ufficio), ovvero sul 'quantum' o sulla 'species' della pena (pecuniaria, sia pure in via alternativa, anziché esclusivamente detentiva). Infatti la vicenda legislativa (abrogazione dell'art. 341 cod. pen. che puniva il reato di oltraggio a pubblico ufficiale), sulla quale si innesta la questione di legittimità costituzionale, non integra un caso di successione nel tempo di leggi penali incriminatrici - come erroneamente ritenuto dal rimettente - bensì una vera e propria 'abolitio criminis', disciplinata dall'art. 2, secondo comma, del codice penale. - Con riferimento a tematiche connesse alla successione di leggi penali e al reato di oltraggio, v. citata ordinanza n. 175/2001. - Sulla revoca della sentenza da parte del giudice dell'esecuzione, conseguente ad 'abolitio criminis', v. citata ordinanza n. 57/2001. - Sul vincolo all'interpretazione costituzionalmente conforme in relazione all'art. 76 Cost., v. citata sentenza n. 292/2000.
Manifesta inammissibilità, per carenza di motivazione sulla rilevanza e perché sollevata contraddittoriamente, sulla premessa di una interpretazione non condivisa dal rimettente, della questione di legittimità costituzionale dell?art. 673 cod. proc. pen., denunciato, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consente al giudice dell?esecuzione, che ne sia stato richiesto, di concedere la sospensione condizionale della pena, allorché, per effetto di 'abolitio criminis', la pena residua da scontare rientri nei limiti previsti dall?art. 163 cod. pen. A.M.M.
Manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 341 del codice penale, e del combinato disposto degli articoli 2, terzo comma, del codice penale e 673 del codice di procedura penale, in quanto il giudice 'a quo' ha prospettato quesiti plurimi, di portata affatto differente, ponendo i quesiti stessi in un legame irrisolto di alternatività, senza un collegamento di subordinazione logica che consentirebbe la delibazione della questione subordinata in caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità di quella che la precede. - Sulla inammissibilità delle questioni ancipiti o alternative, si vedano le ordinanze n. 78/2000, n. 286/1999, n. 449/1998, n. 384/1998, n. 146/1998. M.R.
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 673 del codice di procedura penale, nella parte in cui non contempla espressamente la revoca delle sentenze di condanna per abrogazione o per dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice nell'ipotesi in cui l''abolitio criminis' non riguardi tutti i fatti per i quali e' stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione delle pene a richiesta delle parti, anche quando questi siano uniti dal vincolo della continuazione. Il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice 'a quo' e', infatti, erroneo, in quanto l'art. 673 del codice di procedura penale riguarda anche tali ipotesi. red.: M. Siclari