Articolo 51 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
L'art. 28 della Costituzione riconduce il concetto di responsabilita' dei funzionari e dei dipendenti dello Stato a quanto dispongono le leggi penali, civili ed amministrative, anche in considerazione di regole particolari che, in deroga alle regole comuni, determinino il contenuto ed i limiti di detta responsabilita', e la disciplina dei limiti puo' essere variamente individuata anche per categorie di soggetti o per speciali situazioni. Tale e' appunto la categoria e la situazione di quegli organi che, come l'Arma dei Carabinieri, fanno parte direttamente, o per equiparazione, dell'Amministrazione militare dello Stato. Pertanto, l'art. 51, ultimo comma C.P., secondo cui non e' punibile chi commette un fatto costituente reato in esecuzione di un ordine, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimita' dell'ordine stesso, non solo non contrasta con l'art. 28 della Costituzione, ma vi si adegua, in quanto entrambi gli articoli contengono un richiamo alla legge come regolatrice di determinati rapporti e non come espressione di un principio uniforme e livellatore.
L'esenzione da pena accordata dall'art. 51 C.P. agli esecutori di ordini illegittimi non discrimina il fatto in se' perche', mentre, da un lato, il pubblico ufficiale che ha avuto l'ordine risponde sempre del reato, dall'altro lato la responsabilita' dell'esecutore e' affermata in via di principio salvo esclusione per errore di fatto dell'agente o per situazione speciale prevista dalla legge (ultimo comma). Pertanto e' infondato il dubbio secondo cui il riconoscimento della legittimita' di tale ultima disposizione condurrebbe alla lesione dei diritti di liberta' garantiti dagli artt. 13, 14, 15, 16 e 17 della Costituzione.
La disposizione di cui all'art. 51, ultimo comma C.P., secondo cui non e' punibile chi commette un fatto costituente reato in esecuzione di un ordine, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimita' dell'ordine stesso, non produce sperequazioni nell'ambito di un gruppo di pubblici dipendenti chiamati a svolgere lo stesso compito in quanto, come si sostiene, consentirebbe ad alcuni di essi, sottoposti alla disciplina militare, di non rispondere dei reati commessi in esecuzione di ordini, mentre gli altri, civili, ne sarebbero invece ritenuti responsabili. La denunciata disparita' di trattamento invero non sussiste, in difetto di quei criteri di omogeneita' di situazioni che caratterizzano l'ambito di applicazione dell'art. 3 della Costituzione.
L'art. 596, primo comma, del codice penale, che non ammette il colpevole del delitto di diffamazione a provare a propria discolpa la verita' o notorieta' del fatto attribuito alla persona offesa, non puo' trovare applicazione allorche' il colpevole stesso e' in grado di invocare l'esimente, prevista dall'art. 51 dello stesso codice, che esclude la punibilita' in quanto il fatto imputato costituisca esercizio di un diritto, come nel caso del giornalista il quale, nell'esplicazione del compito di informazione ad esso garantito dall'art. 21 della Costituzione, divulghi col mezzo della stampa notizie, fatti o circostanze che siano ritenute lesive dell'onore o della reputazione altrui, sempreche' la divulgazione rimanga contenuta nel rispetto dei limiti che circoscrivono l'esplicazione dell'attivita' informativa derivabili dalla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti. Ove si adotti questa interpretazione, risulta infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 596, primo comma, codice penale, in riferimento all'art. 21 della Costituzione, nonche' l'altra relativa all'art. 5, lett. d, legge 21 maggio 1970, n. 282, per il quale il delitto di diffamazione commesso col mezzo della stampa e mediante attribuzione di un fatto determinato e' escluso dall'amnistia quando il querelante abbia proposto, prima del decreto stesso, formale domanda di prova della verita' del fatto diffamatorio, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione (restando cosi' assimilate le imputazioni riferibili alla cronaca a quelle per cui l'amnistia e' applicabile).
Gli artt. 330, 504, 505 C.P., pur presentando aspetti di incostituzionalita', non possono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, in quanto le norme consacrate in tali articoli, data la genericita' della loro formulazione, racchiudono ipotesi di abbandono del lavoro allo scopo di turbarne la continuita' e regolarita', le quali, non rivestendo i caratteri propri dello sciopero economico, non sono sufficienti a sottrarre gli scioperanti alle sanzioni penali nelle norme stesse previste. Sicche' compete al giudice di merito disapplicare tali norme in tutti quei casi rispetto ai quali l'accertamento degli elementi di fatto conduca a far ritenere che lo sciopero costituisca valido esercizio del diritto garantito dall'art. 40, ed a rendere in conseguenza possibile l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 51 Codice penale.