Articolo 596 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità degli articoli 11 e 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e 596 bis del codice penale, in quanto erroneamente interpretati nel senso "della loro applicabilità nei confronti del direttore ed editore del giornale, anche nei casi in cui l'autore delle opinioni sia ammesso alla garanzia dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione", sollevata in riferimento a tale disposizione - contenente l'esonero dalla responsabilità del parlamentare per le opinioni espresse, anche a mezzo della stampa - che si vorrebbe estendere al direttore del giornale e all'editore; il rimettente ha infatti sottoposto alla Corte una questione di interpretazione dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, che egli stesso potrebbe adottare superando i dubbi di costituzionalità, e non già una questione concernente il contrasto tra il significato da attribuire alle norme ordinarie da applicare nel giudizio 'a quo' e il parametro costituzionale evocato. A.G.
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 596, comma terzo del codice penale in riferimento agli artt. 3, comma primo, 21, comma primo, e 24 della Costituzione: tale questione, infatti e' stata gia' risolta dalla Corte con le pronunce nn.ri 175 e 188/71 e 103/1973.
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3, comma primo, 21, comma primo e 24 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 596 comma primo del codice penale. L'art. 596, comma primo cod. pen. non incide ingiustificatamente sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e non nega ne' limita o ostacola l'esercizio del diritto di difesa e di conseguenza non viola il principio di eguaglianza.
L'art. 596, comma secondo, del codice penale, nella parte in cui subordina l'ammissibilita' della prova liberatoria all'accordo tra la persona offesa e l'offensore, e comma terzo, n. 3, nella parte in cui l'operativita' della causa estintiva ivi prevista e' rimessa all'assoluta discrezionalita' della persona offesa dal reato di ingiuria o di diffamazione, non contrasta con l'art. 24 della Costituzione. La negazione della exceptio veritatis, infatti, e' la diretta conseguenza del principio dell'esclusione della prova liberatoria posto dal primo comma del detto articolo, rispetto al quale il secondo comma non introduce una deroga. D'altra parte la disciplina contenuta nel comma terzo, n. 3, non limita la garanzia di difesa: che', al contrario, entro i limiti della concreta fattispecie ipotizzata ne amplia il contenuto e la sfera di applicazione.
La limitazione della prova liberatoria nel reato di ingiuria e di diffamazione di cui all'art. 596 c.p., all'ipotesi in cui la parte offesa abbia chiesto formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verita' o falsita' del fatto ad essa attribuito, non viola il principio di eguaglianza. Le situazioni messe a raffronto, infatti, non son eguali perche' in un caso la persona offesa ritiene sufficiente la tutela dell'onore formale, nell'altro caso, invece, intende che la tutela sia estesa anche all'onore sostanziale.
La norma contenuta nell'art. 596, comma terzo, n. 1, del codice penale, secondo cui quando la persona offesa sia un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni e' sempre ammessa la prova liberatoria, non contrasta con l'art. 3 della Costituzione nel senso che la fattispecie penale si qualifica diversamente a seconda della condizione soggettiva della persona offesa. Infatti, tale disciplina riflette l'esigenza di carattere generale a che il pubblico ufficiale non si trinceri dietro lo scudo della tutela esteriore, nonche' l'esigenza che i cittadini possano esercitare un controllo, sia pure indiretto, sulla pubblica amministrazione.
Nel giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale le questioni gia' decise con sentenza di rigetto devono essere dichiarate manifestamente infondate con ordinanza se non sussistono ragioni che inducano a modificare la precedente decisione (fattispecie relativa alla questione di legittimita' costituzionale degli artt. 596, primo comma, cod. proc. penale, 5, primo comma, lett. d), legge 21 maggio 1970, n. 282, e 5, primo comma, lett. d) e penultimo comma, d.p.r. 22 maggio 1970, n. 283, in tema di amnistia, per violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione, gia' dichiarata infondata con la sentenza n. 175 del 5 luglio 1971). Cfr.: 24/56 D.
E' ammissibile, sotto il profilo della rilevanza rispetto al giudizio a quo, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 596, codice procedura penale, e dell'art. 5, decreto presidenziale 22 maggio 1970, n. 283, sulla prova della verita' del fatto diffamatorio attribuito alla persona offesa e sull'applicabilita' dell'amnistia ai reati di diffamazione, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, sollevata in considerazione della violazione del diritto di cronaca che da questa disciplina deriverebbe, dal momento che alcuni almeno degli imputati, cui si addebita la paternita' delle pubblicazioni incriminate, rivestono la qualita' di giornalista ed hanno commesso il fatto nell'esercizio della loro attivita' professionale.
L'art. 596, primo comma, del codice penale, che non ammette il colpevole del delitto di diffamazione a provare a propria discolpa la verita' o notorieta' del fatto attribuito alla persona offesa, non puo' trovare applicazione allorche' il colpevole stesso e' in grado di invocare l'esimente, prevista dall'art. 51 dello stesso codice, che esclude la punibilita' in quanto il fatto imputato costituisca esercizio di un diritto, come nel caso del giornalista il quale, nell'esplicazione del compito di informazione ad esso garantito dall'art. 21 della Costituzione, divulghi col mezzo della stampa notizie, fatti o circostanze che siano ritenute lesive dell'onore o della reputazione altrui, sempreche' la divulgazione rimanga contenuta nel rispetto dei limiti che circoscrivono l'esplicazione dell'attivita' informativa derivabili dalla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti. Ove si adotti questa interpretazione, risulta infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 596, primo comma, codice penale, in riferimento all'art. 21 della Costituzione, nonche' l'altra relativa all'art. 5, lett. d, legge 21 maggio 1970, n. 282, per il quale il delitto di diffamazione commesso col mezzo della stampa e mediante attribuzione di un fatto determinato e' escluso dall'amnistia quando il querelante abbia proposto, prima del decreto stesso, formale domanda di prova della verita' del fatto diffamatorio, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione (restando cosi' assimilate le imputazioni riferibili alla cronaca a quelle per cui l'amnistia e' applicabile).