Articolo 384 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 384, primo comma, cod. pen., censurato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., nella parte in cui non contempla tra i soggetti che possono beneficiare della scriminante anche il convivente more uxorio . La convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale (nella Costituzione il secondo è oggetto della specifica previsione di cui all'art. 29 Cost., mentre la prima ha rilevanza nell'ambito della protezione dei diritti inviolabili dell'uomo ex art. 2 Cost.) e tale diversità giustifica che la legge possa riservare trattamenti giuridici non omogenei. Infatti, se è vero che, in relazione ad ipotesi particolari, si possono riscontrare tra i due istituti caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria un'identità di disciplina, che la Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza, nella specie, l'estensione di cause di non punibilità comporta un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti che appartiene primariamente al legislatore. Si tratterebbe, insomma, di mettere a confronto l'esigenza della repressione di delitti contro l'amministrazione della giustizia, da un lato, e la tutela di beni afferenti la vita familiare, dall'altro, ma non è detto che i beni di quest'ultima natura debbano avere necessariamente lo stesso peso, a seconda che si tratti della famiglia di fatto o della famiglia legittima, per la quale sola esiste un'esigenza di tutela non solo delle relazioni affettive, ma anche dell'istituzione familiare come tale, di cui elemento essenziale e caratterizzante è la stabilità. Ciò legittima nel settore dell'ordinamento penale soluzioni legislative differenziate. Inoltre, una dichiarazione di incostituzionalità che assumesse la pretesa identità della posizione spirituale del coniuge e del convivente, oltre a rappresentare la premessa di quella totale equiparazione che non corrisponde alla visione fatta propria dalla Costituzione, determinerebbe ricadute normative consequenziali di portata generale che trascendono l'ambito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. - I precedenti specifici sul tema, citati, sono le sentenze n. 8/1996 e n. 237/1986 e le ordinanze n. 121/2004 e n. 352/1989. - Il diritto sociale all'abitazione è stato ritenuto elemento unificante tra le due situazioni dalle sentenze n. 559/1989 e n. 404/1988, citate. - Sulla discrezionalità legislativa in tema di estensione di cause di non punibilità v., citate, sentenze n. 385, n. 267 e n. 32/1992, n. 1063/1988 e n. 241/1983 e ordinanza n. 475/1987. - V., altresì, citata, sentenza n. 352/2000.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 384, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente collegato - a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. - a quello, realizzato da altri, cui le dichiarazioni si riferiscono. L'art. 384, secondo comma, cod. pen. contempla una causa di non punibilità a favore di chi abbia commesso, tra gli altri, i reati di falsa testimonianza o false informazioni al pubblico ministero, qualora le informazioni o la testimonianza siano state assunte in modo non legittimo o qualora si verta in un caso in cui il soggetto non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o avrebbe dovuto essere avvisato della facoltà di astenersi. La norma non si applica alle false informazioni alla polizia giudiziaria che, pur non rientrando in una specifica fattispecie criminosa, possono concorrere, con gli altri elementi previsti dalla legge, ad integrare il favoreggiamento personale ex art. 378 cod. pen.. Questa diversità di disciplina appare palesemente irragionevole, poiché tra il delitto di false informazioni al pubblico ministero e quello di favoreggiamento dichiarativo, commesso mediante false o reticenti informazioni alla polizia giudiziaria, vi è identità di condotte materiali - mendacio o reticenza - e sostanziale omogeneità del bene protetto, che consiste nella funzionalità di ciascuna fase rispetto agli scopi propri, nei quali le esigenze investigative (agli inizi del procedimento) e quelle della ricerca della verità (nella fase finale del processo) si sommano. Tale diversità di trattamento si palesa ancor più irrazionale considerando l'evoluzione normativa del sistema processuale, che ha condotto ad una sostanziale convergenza di disciplina fra le due ipotesti. - Sulla sostanziale omogeneità fra le due attività di indagine rispettivamente previste dagli artt. 351 e 362 cod. proc. pen. v., citata, sentenza n. 416/1996
L'art. 384, primo comma, del codice penale, censurato nella parte in cui non include il reato di cui all?art. 374-bis dello stesso codice, relativo alle false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all?Autorità giudiziaria, tra quelli ai quali è applicabile la speciale esimente dell?avere agito per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell?onore, è frutto di un giudizio di bilanciamento tra l?interesse alla repressione dei delitti contro l?amministrazione della giustizia e la tutela di beni afferenti alla vita familiare. Posto che il bilanciamento tra tali contrapposti interessi appartiene primariamente al legislatore e non è suscettibile di censura di legittimità costituzionale se non nei casi di manifesta irragionevolezza, nella specie l?eterogeneità della condotta descritta dall?art. 374-bis cod. pen. ? che sostanzialmente integra una forma di falsità ideologica - rispetto a quella degli altri reati inseriti nell?elenco di cui al primo comma dell?art. 384 cod. pen., rende non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di non estendere la causa di non punibilità alla fattispecie in esame. Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale dell?art. 384, primo comma, del codice penale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. ? Sulla possibilità di sottoporre a censura di legittimità costituzionale norme che prevedono delle cause di non punibilità solo nei casi in cui il bilanciamento di interessi ad esse sotteso, spettante al legislatore, sia stato effettuato in modo manifestamente irragionevole, v. le citate sentenze n. 8/1996, n. 101/1999, n. 352 e n. 424/2000.
E? manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 307 e 384 cod. pen., nella parte in cui ?non includono nella nozione di prossimi congiunti anche il convivente ?more uxorio?, oltre il coniuge, finanche separato di fatto o legalmente?, sollevata in riferimento all?art. 3 della Costituzione. Infatti, la Corte, nel dichiarare in parte infondata e in parte inammissibile analoga questione, ha ribadito l?esistenza, nell?ordinamento, di ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell?art. 29 della Costituzione, mentre il rapporto di fatto fruisce della tutela apprestata dall?art. 2 della Costituzione ai diritti inviolabili dell?uomo nelle formazioni sociali, con la conseguenza che ogni intervento diretto a rendere una identità di disciplina rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore. - V. sentenze citate n. 8/1996 e 416/1996.
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 307 e 384 del codice penale, sollevata in riferimento all?art. 2 della Costituzione, in quanto la difforme considerazione costituzionale dei due casi, cioè del rapporto di convivenza e di quello di coniugio, portano ad escludere che si possa configurare come costituzionalmente necessaria una tutela del rapporto di convivenza che conduca ad una identità delle due posizioni. - V. sentenza citata n. 8/1996.
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 249 cod. proc. civ., sollevata con riferimento agli artt. 3 e 29 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare la facolta' di astensione dei testimoni attraverso il rinvio alle norme dettate per il processo penale (artt. 351 e 352 cod. proc. pen., ora da intendere artt. 200, 201 e 202 del nuovo cod. proc. pen.), non richiama anche la facolta' di astensione dei prossimi congiunti, che, nel processo penale, non possono essere obbligati a deporre e devono essere avvertiti della facolta' di astenersi (art. 199 nuovo cod. proc. pen.), in quanto -posto che l'ordinamento, riconoscendo anche in altre particolari situazioni le esigenze di tutela dei diritti della persona, ammette l'esenzione dal dovere di testimoniare quando la deposizione possa incidere su taluni beni costituzionalmente protetti, e considera, nella sua complessiva articolazione, anche la salvaguardia della famiglia, nel rispetto dei doveri di solidarieta' che ne derivano; e che lo stesso ordinamento disciplina, poi, casi, estensione e modalita' dell'esenzione dal testimoniare, bilanciando i diversi interessi in giuoco, in modo da salvaguardare anche il diritto alla prova, quale strumento del diritto di difesa, ed il processo - la stessa prospettazione della predetta questione di legittimita' costituzionale conduce inevitabilmente ad una pronuncia di inammissibilita', in presenza di una pluralita' di scelte e di modelli che il legislatore puo' adottare. - Sent. nn. 248/1974, 35271987, 48/1994, 295/1995, 82 e 175/1996. red.: S. Di Palma
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 384, comma 2, cod. pen., nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilita' per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di astenersi dal renderle, a norma dell'art. 199 cod. proc. pen., in quanto -posto che l'art. 199 cod. proc. pen. riconosce la facolta' di astenersi dal testimoniare a coloro che siano o siano stati legati all'imputato da particolari vincoli di comunanza di vita; che dell'esistenza di tale facolta' questi soggetti devono essere avvertiti, a pena di nullita', dal giudice, il quale li interpella circa la loro volonta' di astenersi; che, in forza dei rinvii operati all'art. 199 dall'art. 362 e, attraverso questo, dall'art. 351, comma 1, seconda proposizione cod. proc. pen., la predetta disciplina prevista per la testimonianza resa al giudice si estende senza differenze alle informazioni rese al p.m. e alle sommarie informazioni assunte dalla p.g.; che a tale identita' di disciplina prevista dal codice di rito penale non corrisponde un'identica rilevanza sul piano penale sostanziale delle false dichiarazioni rese di fronte all'autorita' giudiziaria, al p.m. e alla p.g., in considerazione del fatto che, mentre nelle prime due ipotesi il mendacio e la reticenza configurano, rispettivamente, i reati di falsa testimonianza e di false informazioni al p.m. (artt. 372 e 371-bis cod. pen.), nella terza, pur mancando una specifica figura di reato, non puo' escludersi in linea di principio, l'ipotizzabilita' del delitto di favoreggiamento personale (art. 378 cod. pen.); e che, stante l'espressa limitazione stabilita nel secondo comma dell'art. 384 cod. pen. ai casi previsti dagli artt. 371-bis e 372, la non punibilita' delle dichiarazioni mendaci, nella prevista ipotesi di facolta' d'astensione, non si estende al caso in cui esse siano rese alla polizia giudiziaria - la diversita' di disciplina, che puo' riguardare comportamenti materiali identici, oltre a non trovare alcuna ragione giustificatrice in ordine ai presupposti processuali, che il legislatore ha voluto uguali in ogni caso, non si giustifica ne' rispetto alle conseguenze ne' rispetto alla gravita' dei comportamenti valutata dal legislatore medesimo. red.: S. Di Palma
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 384, comma primo, 378 e 307, comma quarto, cod. pen. - nella parte in cui non estende al convivente di fatto, imputato di favoreggiamento personale, la causa di non punibilita' prevista per chi ha commesso il fatto, costretto dalla necessita' di salvare il coniuge da un grave e inevitabile nocumento nella liberta' o nell'onore - sollevata con riferimento all'art. 3, comma primo, Cost.: sia perche' (con riferimento al principio di ragionevolezza) la questione stessa, mirando ad una decisione additiva, implica l'esercizio di potesta' discrezionali riservate al legislatore; sia perche' - sotto il profilo della denunziata irrazionalita' della disposizione in relazione all'art. 199 cod. proc. pen. (che estende la facolta' di astensione dalla testimonianza, "limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale", dai prossimi congiunti a chi "pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso": comma 3, lett. b) - la questione medesima, relativa alla causa di non punibilita' prevista dal primo comma dell'art. 384 cod. pen., se riferita alla fattispecie prefigurata dall'art. 199, comma 3, lett. b), cod. proc. pen., assume distinti contenuto ad oggetto, idonei a fondare una diversa questione di legittimita' costituzionale, peraltro non proposta. - S. nn. 179/1976, 241/1983, 237/1986, 404/1988, 1063/1988, 559/1989, 32/1992, 267/1992 e 385/1992; O. n. 475/1987. red.: S. Di Palma
Non e' fondata, con riferimento all'art. 29 Cost., la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 384, comma primo, 378 e 307, comma quarto, cod. pen. - nella parte in cui non estende al convivente di fatto, imputato di favoreggiamento personale, la causa di non punibilita' prevista per chi ha commesso il fatto, costretto dalla necessita' di salvare il coniuge da un grave e inevitabile nocumento nella liberta' o nell'onore - in quanto la valutazione, differenziatrice del rapporto di convivenza di fatto rispetto al vincolo coniugale, operata dall'art. 29, in quanto punto di vista di principio assunto dalla Costituzione, costituisce criterio vincolante di comprensione e classificazione, e quindi di assimilazione o differenziazione, dei relativi fatti sociali giuridicamente rilevanti. - S. nn. 45/1980, 237/1986, 404/1988, 423/1988, 310/1989. red.: S. Di Palma
L'art. 29 - come del resto fu pressoche' univocamente palesato in sede di Assemblea Costituente - riguarda la famiglia fondata sul matrimonio, cosicche' rimane estraneo al contenuto delle garanzie ivi offerte, ogni altro aggregato pur socialmente apprezzabile, divergente tuttavia dal modello che si radica nel rapporto coniugale. (Infondatezza - in relazione all'art. 29 Cost. - della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 307, comma quarto, e 384 del codice penale, concernenti casi di non punibilita' per il reato di favoreggiamento, nella parte in cui non si prevede che la scriminante di cui allo stesso art. 384 possa estendersi al convivente more uxorio). - S. n. 30/1983.