Articolo 200 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Pronuncia 205/1997Depositata il 27/06/1997
E' inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 249 cod. proc. civ., sollevata con riferimento agli artt. 3 e 29 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare la facolta' di astensione dei testimoni attraverso il rinvio alle norme dettate per il processo penale (artt. 351 e 352 cod. proc. pen., ora da intendere artt. 200, 201 e 202 del nuovo cod. proc. pen.), non richiama anche la facolta' di astensione dei prossimi congiunti, che, nel processo penale, non possono essere obbligati a deporre e devono essere avvertiti della facolta' di astenersi (art. 199 nuovo cod. proc. pen.), in quanto -posto che l'ordinamento, riconoscendo anche in altre particolari situazioni le esigenze di tutela dei diritti della persona, ammette l'esenzione dal dovere di testimoniare quando la deposizione possa incidere su taluni beni costituzionalmente protetti, e considera, nella sua complessiva articolazione, anche la salvaguardia della famiglia, nel rispetto dei doveri di solidarieta' che ne derivano; e che lo stesso ordinamento disciplina, poi, casi, estensione e modalita' dell'esenzione dal testimoniare, bilanciando i diversi interessi in giuoco, in modo da salvaguardare anche il diritto alla prova, quale strumento del diritto di difesa, ed il processo - la stessa prospettazione della predetta questione di legittimita' costituzionale conduce inevitabilmente ad una pronuncia di inammissibilita', in presenza di una pluralita' di scelte e di modelli che il legislatore puo' adottare. - Sent. nn. 248/1974, 35271987, 48/1994, 295/1995, 82 e 175/1996. red.: S. Di Palma
Norme citate
Parametri costituzionali
Pronuncia 87/1997Depositata il 08/04/1997
Non e' fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 249 cod. proc. civ., in relazione all'art. 200 cod. proc. pen., e dell'art. 13 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost., in quanto - premesso che, con riguardo alle professioni forensi, la complessiva disciplina del segreto e della correlativa facolta' di astenersi dal deporre in giudizio su quanto conosciuto in ragione dell'esercizio professionale non e' diretta ad assicurare una condizione di privilegio personale a chi esercita una determinata professione, ma e' invece destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa - la protezione del segreto, riferita a quanto conosciuto in ragione dell'attivita' forense svolta da chi sia legittimato a compiere atti propri di tale professione, assume carattere oggettivo, e, dunque, non puo' che estendersi anche a chi, essendo iscritto nei registri dei praticanti a seguito di delibera del Consiglio dell'ordine degli avvocati, adempie agli obblighi della pratica forense presso lo studio del professionista con il quale collabora. Peraltro, tale interpretazione delle disposizioni denunciate, coerente con le finalita' che caratterizzano l'esclusione dell'obbligo di deporre, corrisponde ai criteri di bilanciamento, operato dal legislatore, tra dovere di testimoniare in giudizio e dovere di rispetto del segreto professionale da parte di chi adempie al ministero forense. - Sul principio, piu' volte enunciato dalla Corte, secondo il quale deve essere preferita l'interpretazione compatibile con la Costituzione, v., da ultimo, S. n. 421/1996. red.: G. Leo
Norme citate
- codice di procedura civile-Art. 249
- codice di procedura penale-Art. 200
- regio decreto legge-Art. 13
Parametri costituzionali
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.