Articolo 679 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per carente descrizione della fattispecie con conseguente mancanza di rilevanza, formulata nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art 231, secondo comma, cod. pen. e degli artt. 676, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen. Il rimettente ha individuato e descritto la fattispecie e ha motivato la rilevanza delle questioni in modo plausibile, contestando la legittimità delle disposizioni censurate con diffuse argomentazioni, sì da offrire una sufficiente motivazione anche del dubbio di costituzionalità.
È dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Napoli in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 676, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., in quanto il primo attribuisce al giudice dell'esecuzione la competenza ad adottare la misura di sicurezza della confisca che il secondo esclude per il magistrato di sorveglianza. L'intervento richiesto dal rimettente, teso a riconoscere la competenza a disporre la confisca anche in capo al magistrato di sorveglianza, sia pure ai fini dell'aggravamento della libertà vigilata, assumerebbe il carattere di una "novità di sistema", e risulterebbe collocato al di fuori dell'area del sindacato di legittimità costituzionale, rimesso alla scelta discrezionale affidata al legislatore, che è ampia nella materia processuale e che, nella fattispecie, è stata esercitata in modo del tutto coerente e immune da difetti di ragionevolezza. ( Precedenti citati: sentenze n. 65 del 2014, n. 216 del 2013, n. 252 del 2012 e n. 274 del 2011; ordinanze n. 48 del 2014, n. 190 del 2013 e n. 145 del 2007 ).
Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell'udienza pubblica. Il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza, che ha ad oggetto l'accertamento della concreta pericolosità sociale della persona da sottoporre alla misura, non dà luogo ad un contenzioso a carattere meramente e altamente «tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull'esercizio dell'attività giurisdizionale - richiesto dall'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo - possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate. Per altro verso, la «posta in gioco» nella procedura in esame si presenta particolarmente elevata giacché, nella generalità dei casi, la verifica della pericolosità sociale è prodromica alla sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali che raggiungono, nel caso delle misure detentive, un tasso di afflittività del tutto analogo a quello delle pene detentive. Ne deriva che le disposizioni censurate, prevedendo che le misure di sicurezza siano applicate in esito ad un procedimento camerale senza la partecipazione del pubblico, violano l'art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto, nonostante il giudice sia chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su un bene primario dell'individuo, costituzionalmente tutelato, quale la libertà personale, non contemplano la possibilità per le persone coinvolte nel procedimento di chiederne lo svolgimento in forma pubblica, così ledendo il principio di pubblicità delle udienze giudiziarie, costituzionalmente rilevante anche in assenza di un esplicito richiamo in Costituzione. - Per l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956 e dell'art. 2- ter della legge n. 575 del 1965, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d'appello, nelle forme dell'udienza pubblica, v. la citata sentenza n. 93/2010. - Nel senso che le norme della CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte EDU, integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., v. ex plurimis , a partire dalle citate sentenze n. 348/2007 e n. 349/2007, le sentenze nn. 30/2014, 264/2012, 236/2011, 113/2011 e 80/2011, anch'esse richiamate. - Per l'affermazione che la norma convenzionale - che si colloca pur sempre a livello sub-costituzionale - è inidonea ad integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost. se contrastante con altre norme della Costituzione, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 113/2011, 311/2009, 349/2007 e 348/2007. - Sul principio di pubblicità delle udienze giudiziarie e per l'affermazione che l'art. 6, par. 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla Costituzione, v. la citata sentenza n. 93/2010. - Nel senso che la pubblicità del giudizio, specie di quello penale, costituisce principio connaturato ad un ordinamento democratico, v. le citate sentenze nn. 373/1992, 69/1991 e 50/1989. - Sul carattere non assoluto del principio di pubblicità del giudizio e sulle particolari ragioni giustificative di discipline derogatorie, v. le citate sentenze nn. 212/1986 e 12/1971.