Articolo 676 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per inadeguata motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce, in funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. - dell'art. 676 cod. proc. pen., nella parte in cui, "secondo la comune e dominante interpretazione giurisprudenziale", prevede che la declaratoria di estinzione del reato ivi prevista è sempre irrevocabile, anche nelle ipotesi fondate sul mancato rilievo della commissione di reati in un dato periodo (quali quelle indicate negli artt. 167 cod. pen. e 445, comma 2, cod. proc. pen.) in cui, successivamente alla declaratoria predetta, sopravvenga il positivo accertamento dell'avvenuta commissione di reati nel periodo da parte dell'interessato. Le questioni risultano formulate in maniera ipotetica, confusa ed oscura, avendo il rimettente omesso sia di indicare se l'istanza di declaratoria di estinzione del reato ex art. 167 cod. pen. sia confortata da adeguata certificazione, sia di confrontarsi con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, secondo cui, al fine dell'accoglimento di detta istanza, non possono considerarsi ostative le pendenze giudiziarie non definitive, rilevando a tal fine unicamente la mancata commissione di un nuovo reato nel termine di cinque anni, commissione che deve essere accertata con sentenza irrevocabile, in ragione della presunzione di non colpevolezza, di cui all'art. 27, secondo comma, Cost. Le questioni sollevate sono vieppiù oscure nella loro formulazione dal momento che la disposizione censurata si limita ad attribuire al giudice dell'esecuzione la competenza a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna, mentre l'estinzione del reato predicata nell'ordinanza di rimessione discende dall'art. 167 cod. pen. ( Precedenti citati: sentenza n. 135 del 1972; ordinanze n. 65 del 2018, n. 54 del 2018, n. 227 del 2016, n. 84 del 2016, n. 269 del 2015, n. 434 del 1998 e n. 107 del 1998 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per carente descrizione della fattispecie con conseguente mancanza di rilevanza, formulata nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell'art 231, secondo comma, cod. pen. e degli artt. 676, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen. Il rimettente ha individuato e descritto la fattispecie e ha motivato la rilevanza delle questioni in modo plausibile, contestando la legittimità delle disposizioni censurate con diffuse argomentazioni, sì da offrire una sufficiente motivazione anche del dubbio di costituzionalità.
È dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Napoli in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 676, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., in quanto il primo attribuisce al giudice dell'esecuzione la competenza ad adottare la misura di sicurezza della confisca che il secondo esclude per il magistrato di sorveglianza. L'intervento richiesto dal rimettente, teso a riconoscere la competenza a disporre la confisca anche in capo al magistrato di sorveglianza, sia pure ai fini dell'aggravamento della libertà vigilata, assumerebbe il carattere di una "novità di sistema", e risulterebbe collocato al di fuori dell'area del sindacato di legittimità costituzionale, rimesso alla scelta discrezionale affidata al legislatore, che è ampia nella materia processuale e che, nella fattispecie, è stata esercitata in modo del tutto coerente e immune da difetti di ragionevolezza. ( Precedenti citati: sentenze n. 65 del 2014, n. 216 del 2013, n. 252 del 2012 e n. 274 del 2011; ordinanze n. 48 del 2014, n. 190 del 2013 e n. 145 del 2007 ).
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art. 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, gli artt. 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell'esecuzione, nelle forme dell'udienza pubblica. La pubblicità del giudizio - specie di quello penale - rappresenta, infatti, un principio connaturato ad un ordinamento democratico, la cui limitazione può avvenire solo in presenza di particolari ragioni giustificative, purché obiettive e razionali, e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale. In particolare, nel procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di applicazione della confisca, non sono ravvisabili ragioni atte a giustificare una deroga generalizzata e assoluta al principio di pubblicità delle udienze, atteso che il procedimento medesimo è finalizzato all'applicazione di una misura distinta ed ulteriore rispetto a quelle adottate in sede cognitiva: misura che incide su un diritto, ossia quello di proprietà, munito di garanzia convenzionale ai sensi dell'art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU. - Sull'illegittimità costituzionale - per contrasto, nel primo caso, con l'art. 117, primo comma, Cost. e, negli altri due, con gli artt. 111, primo comma, e 117 della Costituzione - delle disposizioni regolative, rispettivamente, del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, del procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza, e del procedimento davanti al tribunale di sorveglianza, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, le procedure stesse si svolgano nelle forme dell'udienza pubblica, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 97/2015, 135/2014 e 93/2010. - Sulla pubblicità del giudizio penale, nonché degli eventuali limiti, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 373/1992, 69/1991, 50/1989, 212/1986 e 12/1971. - Sull'assenza di necessità della forma dell'udienza pubblica del giudizio penale, relativamente al ricorso per Cassazione, v., ex plurimis , la citata sentenza n. 80/2011.
E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 676 cod. proc. pen., nella parte ci cui non consente al giudice dell'esecuzione di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima del giudicato, in quanto la disposizione impugnata, stabilendo che la competenza del giudice dell'esecuzione in tema di estinzione dei reato e' limitata alle cause estintive intervenute dopo la condanna, detta una disciplina conforme al principio dell'intangibilita' del giudicato, che trova fondamento nell'insopprimibile esigenza di certezza e di stabilita' dei rapporti giuridici definiti da una sentenza irrevocabile salve le ipotesi del giudizio di revisione e quelle nelle quali la competenza del giudice dell'esecuzione ad incidere su una sentenza irrevocabile si fonda su situazioni in cui la causa estintiva si ricollega all'intervento di fattori successivi al passaggio in giudicato ed estranei alla struttura della fattispecie incriminatrice. - S. nn. 381/1999 e 53/1998. red.: S. Di Palma