Articolo 678 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Messina in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU - del combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1- bis , cod. proc. pen., secondo cui il giudizio sulle richieste di riabilitazione del condannato e quello di valutazione sull'esito dell'affidamento in prova, anche in casi particolari, si svolgono obbligatoriamente nelle forme del rito camerale c.d. " de plano ", a contraddittorio eventuale e differito. La disciplina censurata - bilanciando l'esercizio del diritto di difesa e il principio della ragionevole durata di processi in cui non sono necessari, di regola, accertamenti complessi - è conforme ai parametri costituzionali e convenzionali in materia di giusto processo. Il procedimento è caratterizzato infatti dal "recupero" delle garanzie difensive e del contraddittorio nella fase eventuale di opposizione al provvedimento pronunciato senza formalità dal giudice, introdotta dalla parte che vi abbia interesse. ( Precedenti: S. 245/2020 - mass. 42678; S. 279/2019 - mass. 42714; S. 97/2015 - mass. 38391; O. 255/2009 - mass. 33876; O. 291/2005 - mass. 29653; O. 352/2003 - 28165; O. 8/2003 - 27504 ).
Sono costituzionalmente illegittimi - per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito dall'art. 6, par. 1, della CEDU, nonché per violazione del principio del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost. - gli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell'udienza pubblica. Non sussistono, nel caso di specie, le particolari ragioni che giustificano la deroga al principio della pubblicità delle udienze, che è garantito dalla CEDU ed è connaturato ad un regime democratico, come, ad esempio, il carattere altamente tecnico del contenzioso, rispetto al quale il controllo del pubblico può apparire non necessario. Il tribunale di sorveglianza, infatti, è dotato della competenza di adottare diversi provvedimenti in tema di esecuzione della pena, che richiedono accertamenti di fatto, quali le verifiche sulla condotta del condannato e sull'attualità e sul grado della sua pericolosità sociale. Occorre considerare, inoltre, che la posta in gioco, in questi casi, è particolarmente elevata, visto che tali provvedimenti incidono, spesso in modo particolarmente rilevante, sulla libertà personale dell'interessato. - Per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni regolative del procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione (art. 4 l. n. 1423/1956 e art. 2-ter l. n. 575/1965) nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento si svolga nelle forme dell'udienza pubblica, quanto ai gradi di merito, v. la citata sentenza n. 93/2010. - Per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni regolative del procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza (artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen.) nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento si svolga nelle forme dell'udienza pubblica, quanto ai gradi di merito, v. la citata sentenza n. 135/2014. - Per l'affermazione che il giudizio di cassazione, in quanto giudizio di impugnazione destinato alla trattazione di questioni di diritto, non richiede necessariamente l'udienza pubblica, v. la citata sentenza n. 80/2011. - Per l'affermazione che il dato normativo è univoco nell'escludere la partecipazione del pubblico al procedimento dinanzi al tribunale di sorveglianza, v. la citata sentenza n. 135/2014. - Per l'affermazione secondo cui l'art. 6, paragrafo 1, CEDU, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla Costituzione italiana ma anzi si pone in sostanziale assonanza con esse, v. le citate sentenze nn. 135/2014 e 93/2010. - Per l'affermazione secondo cui la pubblicità del giudizio è un principio connaturato ad un ordinamento democratico, v. le citate sentenze nn. 373/1992, 69/1991 e 50/1989. - Per l'affermazione che il principio di pubblicità delle udienze non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative obiettive e razionali, e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale, v. le citate sentenze nn. 212/1986 e 12/1971.
Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost., gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell'udienza pubblica. Il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza, che ha ad oggetto l'accertamento della concreta pericolosità sociale della persona da sottoporre alla misura, non dà luogo ad un contenzioso a carattere meramente e altamente «tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull'esercizio dell'attività giurisdizionale - richiesto dall'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo - possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate. Per altro verso, la «posta in gioco» nella procedura in esame si presenta particolarmente elevata giacché, nella generalità dei casi, la verifica della pericolosità sociale è prodromica alla sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali che raggiungono, nel caso delle misure detentive, un tasso di afflittività del tutto analogo a quello delle pene detentive. Ne deriva che le disposizioni censurate, prevedendo che le misure di sicurezza siano applicate in esito ad un procedimento camerale senza la partecipazione del pubblico, violano l'art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto, nonostante il giudice sia chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su un bene primario dell'individuo, costituzionalmente tutelato, quale la libertà personale, non contemplano la possibilità per le persone coinvolte nel procedimento di chiederne lo svolgimento in forma pubblica, così ledendo il principio di pubblicità delle udienze giudiziarie, costituzionalmente rilevante anche in assenza di un esplicito richiamo in Costituzione. - Per l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956 e dell'art. 2- ter della legge n. 575 del 1965, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d'appello, nelle forme dell'udienza pubblica, v. la citata sentenza n. 93/2010. - Nel senso che le norme della CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte EDU, integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., v. ex plurimis , a partire dalle citate sentenze n. 348/2007 e n. 349/2007, le sentenze nn. 30/2014, 264/2012, 236/2011, 113/2011 e 80/2011, anch'esse richiamate. - Per l'affermazione che la norma convenzionale - che si colloca pur sempre a livello sub-costituzionale - è inidonea ad integrare il parametro dell'art. 117, primo comma, Cost. se contrastante con altre norme della Costituzione, v., ex plurimis , le citate sentenze nn. 113/2011, 311/2009, 349/2007 e 348/2007. - Sul principio di pubblicità delle udienze giudiziarie e per l'affermazione che l'art. 6, par. 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla Costituzione, v. la citata sentenza n. 93/2010. - Nel senso che la pubblicità del giudizio, specie di quello penale, costituisce principio connaturato ad un ordinamento democratico, v. le citate sentenze nn. 373/1992, 69/1991 e 50/1989. - Sul carattere non assoluto del principio di pubblicità del giudizio e sulle particolari ragioni giustificative di discipline derogatorie, v. le citate sentenze nn. 212/1986 e 12/1971.
E' manifestamente inammissibile, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., essendo stata prospettata sulla base di un'interpretazione delle norme denunciate diversa da quella gia' seguita dallo stesso giudice rimettente ed applicata nel procedimento principale, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 236, comma 2, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), e degli artt. 30-bis, quarto comma, e 30-ter, settimo comma, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), impugnati nella parte in cui non consentirebbero di applicare nel procedimento di reclamo in materia di permessi premio gli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., i quali, per il procedimento di esecuzione, prevedono che sia dato avviso all'interessato ed al suo difensore dell'udienza in camera di consiglio, con un termine per comparire. (Nella specie il Tribunale di sorveglianza rimettente, avendo disposto che della fissazione dell'udienza in camera di consiglio fosse dato avviso alle parti ed al difensore, ha fatto applicazione di regole, desunte dal sistema, che assicurano, in una delle forme possibili, il diritto di difesa ed il contraddittorio, garantiti anche nel procedimento di reclamo in materia di permessi premio, in conformita' del resto ad una recente pronuncia della Corte di cassazione, la quale ha affermato che in tale materia trovano applicazione le norme relative al procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen.). - Cfr. O. nn. 337/1994 e 237/1996; S. n. 53/1993.