Articolo 280 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 280, comma 1, e 391, comma 5, cod. proc. pen., che prevedono la facoltà, per il giudice chiamato a convalidare l'arresto, di applicare nei confronti del prevenuto misure cautelari in deroga agli ordinari limiti edittali. Nel caso di specie, la questione di legittimità costituzionale delle norme censurate assume, in conformità all'art. 23 della legge n. 87 del 1953, un'evidente portata pregiudiziale rispetto alla decisione del giudice della convalida sulle misure cautelari. Il giudice a quo , con la convalida dell'arresto, da un lato ha dunque soddisfatto un presupposto necessario per pronunciarsi in materia cautelare e, dall'altro, disponendo la liberazione dell'arrestato e sollevando l'incidente di costituzionalità, non ha omesso di condizionare l'esito del procedimento cautelare alla definizione del giudizio costituzionale. In tal modo, egli non ha esaurito la propria potestas iudicandi , potendo ancora adottare la misura cautelare in deroga agli ordinari limiti edittali. A ragionare diversamente, il giudice della convalida si troverebbe infatti sistematicamente nell'impossibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale sulle norme che disciplinano i presupposti delle misure cautelari, con conseguente creazione di una vera e propria "zona franca" dal giudizio di costituzionalità. ( Precedenti citati: sentenze n. 10 del 2018 e n. 84 del 2016 ). Il giudice, nel rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale, ben può limitare il provvedimento di sospensione del giudizio a quo al singolo momento o segmento processuale in cui il giudizio si svolge, restando sempre in capo alla Corte costituzionale il controllo dell'effettiva possibilità di circoscrivere la rilevanza della questione, che rimane pur sempre incidentale e che, come tale, è pregiudiziale rispetto ad una decisione del rimettente. ( Precedente citato: sentenza n. 180 del 2018 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per lesione della discrezionalità del legislatore, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 280, comma 1, e 391, comma 5, cod. proc. pen.. L'eccezione è relativa ad un profilo che attiene al merito delle questioni, anziché alla loro ammissibilità, poiché implica un esame della ratio e dei presupposti applicativi delle norme censurate.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost. - dell'art. 391, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381, comma 2, cod. proc. pen. l'applicazione della misura cautelare personale è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274, comma 1, lett. c ), e 280 cod. proc. pen., nonché dell'art. 280, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui, nel prevedere i requisiti di applicazione delle misure coercitive, fa salvo il disposto dell'art. 391 cod. proc. pen. Mediante le norme censurate il legislatore ha ritenuto, non impropriamente, che possa essere esclusa la liberazione dell'arrestato ove specifiche esigenze cautelari impongano il mantenimento della restrizione della libertà personale, senza che, a tale esito, possano essere di impedimento soglie edittali più basse rispetto a quelle ordinarie, laddove i relativi delitti, come quelli tassativamente elencati dall'art. 381, comma 2, cod. proc. pen., siano dal legislatore apprezzati come di particolare allarme sociale. Né sussiste disparità di trattamento rispetto ai soggetti accusati di uno dei delitti di cui all'art. 381, comma 1, cod. proc. pen., poiché le fattispecie poste a raffronto sono inconferenti e inidonee a essere commisurate rispetto a quella sub iudice . Nondimeno, la deroga censurata presenta profili problematici che, pur senza dare luogo ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale, rende auspicabile un intervento del legislatore volto a ricondurre il rapporto tra misure precautelari e misure cautelari coercitive all'originario coordinamento quanto ai presupposti per la loro adozione. ( Precedenti citati: sentenze n. 31 del 2017, n. 20 del 2017, n. 216 del 2016, n. 45 del 2014, n. 223 del 2004, n. 188 del 1996, n. 4 del 1992 e n. 89 del 1970; ordinanze n. 187 del 2001, n. 412 del 1999 e n. 148 del 1998). La determinazione delle ipotesi tassative, di per sé eccezionali, nelle quali è consentito adottare misure custodiali spetta al legislatore, ai sensi dell'art. 13 Cost., nel rispetto degli altri principi costituzionali e nei limiti della non manifesta irragionevolezza . (Precedenti citati: ordinanze n. 137 del 2003 e n. 40 del 2002). La configurazione delle fattispecie criminose e la determinazione della pena per ciascuna di esse costituiscono materia affidata alla discrezionalità del legislatore, involvendo apprezzamenti tipicamente politici. Le scelte legislative sono pertanto censurabili, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio . (Precedenti citati: sentenze n. 35 del 2018, n. 179 del 2017, n. 236 del 2016 e n. 148 del 2016). Secondo la giurisprudenza costituzionale, anche in presenza di norme manifestamente arbitrarie o irragionevoli, solo l'indicazione di un tertium comparationis idoneo, o comunque di specifici cogenti punti di riferimento, può legittimare l'intervento della Corte costituzionale in materia penale, poiché non spetta ad essa assumere autonome determinazioni in sostituzione delle valutazioni riservate al legislatore. Se così non fosse, l'intervento, essendo creativo, interferirebbe indebitamente nella sfera delle scelte di politica sanzionatoria rimesse a quest'ultimo. (Precedenti citati: sentenze n. 207 del 2017, n. 236 del 2016 e n. 148 del 2016).
Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 280 e 287 cod. proc. pen. sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui tali norme non consentirebbero l'applicazione di misure cautelari coercitive e di misure interdittive, per i reati militari puniti con la reclusione militare, alle stesse condizioni che le rendono applicabili ai reati puniti con la reclusione comune, trattandosi di questioni basate su un presupposto interpretativo errato, poiche', essendo la reclusione comune e la reclusione militare due 'species' dell'unico 'genus' reclusione, ossia due pene autonome quanto a modalita' di esecuzione ma identiche per natura ed intercambiabilita' a parita' di durata, l'unica ragionevole lettura del sistema normativo impone di applicare le norme del codice di procedura penale che fanno riferimento a determinati limiti di pena edittale per identificare i reati per i quali possono trovare applicazione le misure coercitive o interdittive, anche nei casi in cui i reati per i quali si procede sono reati militari punibili con la reclusione militare. red.: F. Mangano