Articolo 391 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 280, comma 1, e 391, comma 5, cod. proc. pen., che prevedono la facoltà, per il giudice chiamato a convalidare l'arresto, di applicare nei confronti del prevenuto misure cautelari in deroga agli ordinari limiti edittali. Nel caso di specie, la questione di legittimità costituzionale delle norme censurate assume, in conformità all'art. 23 della legge n. 87 del 1953, un'evidente portata pregiudiziale rispetto alla decisione del giudice della convalida sulle misure cautelari. Il giudice a quo , con la convalida dell'arresto, da un lato ha dunque soddisfatto un presupposto necessario per pronunciarsi in materia cautelare e, dall'altro, disponendo la liberazione dell'arrestato e sollevando l'incidente di costituzionalità, non ha omesso di condizionare l'esito del procedimento cautelare alla definizione del giudizio costituzionale. In tal modo, egli non ha esaurito la propria potestas iudicandi , potendo ancora adottare la misura cautelare in deroga agli ordinari limiti edittali. A ragionare diversamente, il giudice della convalida si troverebbe infatti sistematicamente nell'impossibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale sulle norme che disciplinano i presupposti delle misure cautelari, con conseguente creazione di una vera e propria "zona franca" dal giudizio di costituzionalità. ( Precedenti citati: sentenze n. 10 del 2018 e n. 84 del 2016 ). Il giudice, nel rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale, ben può limitare il provvedimento di sospensione del giudizio a quo al singolo momento o segmento processuale in cui il giudizio si svolge, restando sempre in capo alla Corte costituzionale il controllo dell'effettiva possibilità di circoscrivere la rilevanza della questione, che rimane pur sempre incidentale e che, come tale, è pregiudiziale rispetto ad una decisione del rimettente. ( Precedente citato: sentenza n. 180 del 2018 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per lesione della discrezionalità del legislatore, formulata nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 280, comma 1, e 391, comma 5, cod. proc. pen.. L'eccezione è relativa ad un profilo che attiene al merito delle questioni, anziché alla loro ammissibilità, poiché implica un esame della ratio e dei presupposti applicativi delle norme censurate.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost. - dell'art. 391, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381, comma 2, cod. proc. pen. l'applicazione della misura cautelare personale è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274, comma 1, lett. c ), e 280 cod. proc. pen., nonché dell'art. 280, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui, nel prevedere i requisiti di applicazione delle misure coercitive, fa salvo il disposto dell'art. 391 cod. proc. pen. Mediante le norme censurate il legislatore ha ritenuto, non impropriamente, che possa essere esclusa la liberazione dell'arrestato ove specifiche esigenze cautelari impongano il mantenimento della restrizione della libertà personale, senza che, a tale esito, possano essere di impedimento soglie edittali più basse rispetto a quelle ordinarie, laddove i relativi delitti, come quelli tassativamente elencati dall'art. 381, comma 2, cod. proc. pen., siano dal legislatore apprezzati come di particolare allarme sociale. Né sussiste disparità di trattamento rispetto ai soggetti accusati di uno dei delitti di cui all'art. 381, comma 1, cod. proc. pen., poiché le fattispecie poste a raffronto sono inconferenti e inidonee a essere commisurate rispetto a quella sub iudice . Nondimeno, la deroga censurata presenta profili problematici che, pur senza dare luogo ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale, rende auspicabile un intervento del legislatore volto a ricondurre il rapporto tra misure precautelari e misure cautelari coercitive all'originario coordinamento quanto ai presupposti per la loro adozione. ( Precedenti citati: sentenze n. 31 del 2017, n. 20 del 2017, n. 216 del 2016, n. 45 del 2014, n. 223 del 2004, n. 188 del 1996, n. 4 del 1992 e n. 89 del 1970; ordinanze n. 187 del 2001, n. 412 del 1999 e n. 148 del 1998). La determinazione delle ipotesi tassative, di per sé eccezionali, nelle quali è consentito adottare misure custodiali spetta al legislatore, ai sensi dell'art. 13 Cost., nel rispetto degli altri principi costituzionali e nei limiti della non manifesta irragionevolezza . (Precedenti citati: ordinanze n. 137 del 2003 e n. 40 del 2002). La configurazione delle fattispecie criminose e la determinazione della pena per ciascuna di esse costituiscono materia affidata alla discrezionalità del legislatore, involvendo apprezzamenti tipicamente politici. Le scelte legislative sono pertanto censurabili, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio . (Precedenti citati: sentenze n. 35 del 2018, n. 179 del 2017, n. 236 del 2016 e n. 148 del 2016). Secondo la giurisprudenza costituzionale, anche in presenza di norme manifestamente arbitrarie o irragionevoli, solo l'indicazione di un tertium comparationis idoneo, o comunque di specifici cogenti punti di riferimento, può legittimare l'intervento della Corte costituzionale in materia penale, poiché non spetta ad essa assumere autonome determinazioni in sostituzione delle valutazioni riservate al legislatore. Se così non fosse, l'intervento, essendo creativo, interferirebbe indebitamente nella sfera delle scelte di politica sanzionatoria rimesse a quest'ultimo. (Precedenti citati: sentenze n. 207 del 2017, n. 236 del 2016 e n. 148 del 2016).
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 111 Cost., degli artt. 391- octies e 442, comma 1- bis , del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono, nell'ipotesi di deposito del fascicolo delle investigazioni difensive e richiesta di giudizio abbreviato, un termine processuale per il deposito del predetto fascicolo con la facoltà del pubblico ministero di esercitare il diritto alla controprova, con asserita violazione del contraddittorio nella formazione della prova e della «parità delle armi» da assicurare per esso. L'ordinanza di rimessione omette infatti di fornire taluni dati indispensabili per la verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione proposta. Per un verso, essa non riferisce se il pubblico ministero - a seguito della presentazione "a sorpresa" del fascicolo delle investigazioni difensive, della acquisizione di esso da parte del giudice e della immediata richiesta di giudizio abbreviato da parte del difensore munito di procura - abbia in effetti richiesto, senza poterlo ottenere, un termine per ricercare e dedurre prova di segno contrario, sicché il dubbio di costituzionalità è formulato in maniera del tutto astratta e senza peraltro allegare che delle norme impugnate si dovrebbe fare applicazione nella specie per disattendere una richiesta della parte pubblica. Per altro verso, l'ordinanza di rimessione nulla adduce circa i provvedimenti che, nella situazione descritta, sarebbe stato necessario distintamente e consecutivamente adottare: difetto di informazione e di motivazione, questo, incidente non solo sulla rilevanza, ma anche sulla asserita non manifesta infondatezza della questione. Infine, altri profili di inammissibilità attengono all'oggetto della domanda del rimettente, il quale - nel richiedere addizioni alle norme impugnate, con la previsione, da una parte, di un termine per il difensore ai fini della «presentazione degli elementi di prova a favore del proprio assistito nel caso di proposizione [di richiesta] di giudizio abbreviato» e, dall'altra, della facoltà del pubblico ministero «di richiedere l'ammissione di prova contraria» - non specifica né la natura né la durata del termine che si vorrebbe vedere introdotto, né precisa in che punto della sequenza procedimentale esso si dovrebbe collocare, così avanzando un petitum obiettivamente incerto ed incompleto.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 391-bis, 391-ter, 391-octies e 391-decies del codice di procedura penale - sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 111 della Costituzione - nella parte in cui tali norme prevedono la possibilità per il difensore di assumere dichiarazioni alle quali è attribuito il medesimo valore di quelle raccolte dal pubblico ministero, ma non prescrivono i medesimi «obblighi di garanzia a tutela della genuinità della prova». La questione difetta, infatti, di rilevanza, in quanto il giudice 'a quo', nel momento in cui ha emesso l'ordinanza di rimessione della questione, aveva già definito la procedura ex art. 299 cod. proc. pen. nel respingere la richiesta di revoca della custodia cautelare, così esaurendo il proprio potere decisorio.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 390, comma 3-bis, e 391 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevedono che il giudice possa acquisire e utilizzare ai fini della convalida dell?arresto soltanto gli elementi su cui si fonda la richiesta del pubblico ministero e quelli derivanti dall?interrogatorio dell?arrestato. Infatti, tenuto conto della struttura e della funzione dell?udienza di convalida, volta esclusivamente a verificare le condizioni di legittimità dell?arresto, non contrasta con il principio di ragionevolezza che al giudice non sia consentito procedere all?assunzione di ulteriori elementi ai fini della decisione, quali l?esame di testimoni; né la garanzia del giusto processo impone di modellare ogni procedimento incidentale 'de libertate' sullo schema del processo di merito. - V. precedente ordinanza n. 412/1999. - In tema di attuazione del principio del giusto processo, v. ordinanza n. 321/2001. M.F.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 390, comma 3-bis, e 391 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevedono la facoltà del pubblico ministero di non comparire nell?udienza di convalida. Infatti, da un lato il carattere facoltativo della partecipazione del pubblico ministero trova una non irragionevole giustificazione nelle esigenze di semplificazione e di snellimento dell?udienza di convalida, fermo restando che è comunque garantita, pur in assenza del pubblico ministero, sia una forma di contraddittorio ?cartolare?, sia la possibilità di acquisire i documenti prodotti dalla difesa; dall?altro la garanzia costituzionale del giusto processo è estranea al ruolo e alla funzione del giudice della convalida delineati dalle norme processuali. M.F.
E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 391 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede "la necessaria presenza di un rappresentante della Polizia giudiziaria che ha partecipato alle operazioni di arresto e con diretta cognizione dei fatti o, comunque, non consente al Giudice per le indagini preliminari procedente di chiedere l'intervento del predetto, anche a chiarimento dei fatti". Quanto all'art. 3 Cost. perche' - posto che nel sistema del codice di procedura penale l'udienza di convalida dell'arresto, disciplinata dall'art. 391, e' costruita come un momento di necessaria garanzia sullo 'status libertatis', volto esclusivamente a verificare, allo stato degli atti e nei tempi brevissimi imposti dall'art. 13, comma terzo, Cost., le condizioni di legittimita' dell'arresto sulla base del relativo verbale, trasmesso dal p.m. a norma dell'art. 122 disp. attuaz. cod. proc. pen. unitamente alla richiesta di convalida - gli incombenti, che si pretendono illegittimamente omessi dal legislatore, si porrebbero in radicale contrasto con le strutture e le finalita' dell'udienza di convalida dell'arresto. Quanto all'art. 24 Cost. perche' il diritto di difesa risulta sufficientemente garantito dalla presenza necessaria del difensore e dall'interrogatorio dell'arrestato, per cui, in caso di effettiva lacunosita' o contraddittorieta' degli elementi sottoposti alla sua valutazione, il giudice, in omaggio al principio del 'favor libertatis', dovra' disattendere la richiesta del p.m., non convalidando l'arresto. Quanto, infine, all'art. 97 Cost. perche' il principio del buon andamento dei pubblici uffici non si riferisce all'attivita' giurisdizionale in senso stretto, bensi' all'organizzazione o al funzionamento dell'amministrazione della giustizia. - S. nn. 381/1999 e 53/1998. red.: S. Di Palma
Riguardo alla questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 380, secondo comma. lett. e) cod.proc.pen. nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio nella flagranza del delitto di furto aggravato da violenza sulle cose, pure nella ipotesi in cui questa abbia cagionato un danno esiguo, va respinta l'eccezione di inammissibilita' per irrilevanza formulata dall'Avvocatura di Stato per avere i giudici 'a quibus' in entrambi i procedimenti in cui l'incidente e' sorto, disposto, contestualmente alla promozione di questo, ai sensi dell'art. 391, settimo comma, ultima parte, cod.proc.pen. (nel testo sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 12 del 1991) la immediata liberazione dell'arrestata per la impossibilita' di pronunciare, entro le quarantotto ore dall'arresto, la richiesta ordinanza di convalida. Il procedimento di convalida, sospeso con le ordinanze di rimessione, non puo' infatti ritenersi con il provvedimento di liberazione esaurito, ne' di esso i giudici si sono spogliati; e la sua persistenza nonostante la intervenuta liberazione trova ragione nell'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur sempre determinato una privazione di liberta'.
L'art. 391, terzo comma, cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 25 d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, prevedendo la partecipazione facoltativa del pubblico ministero alla udienza di convalida delle misure cautelari, non interferisce in alcun modo con la definizione dei giudizi di impugnazione - quali i procedimenti a quibus - relativi a provvedimenti riguardanti l'applicazione di tali misure. La norma, pertanto, ha esaurito la propria sfera di applicazione, cessando conseguentemente di rilevare agli effetti di possibili censure di costituzionalita', con la decisione del giudice che ha definito il procedimento incidentale sulla convalida. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 391, terzo comma, del codice di procedura penale, nel testo sostituito dall'art. 25 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, sollevata in riferimento agli artt. 24 e 76 Cost.).