Articolo 563 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Manifesta inammissibilita' della questione per essere l'ordinanza di rimessione priva dell'esposizione del fatto, dell'indicazione delle norme costituzionali da porre come parametro e dell'esame sulla rilevanza.
L'istituto dell'applicazione della pena su richiesta, anziche' comportare un accertamento pieno di responsabilita', basato sul contraddittorio tra le parti, trova il suo fondamento primario nell'accordo tra pubblico ministero ed imputato sul merito dell'imputazione, dal momento che chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi della facolta' di contestare l'accusa. Tale caratteristica di "negozialita'" spiega il fatto che l'indagine del giudice in ordine alla responsabilita' dell'imputato possa essere limitata a profili determinati, senza investire quell'accertamento pieno e incondizionato sui fatti e sulle prove che rappresenta, nel rito ordinario, la premessa necessaria per l'applicazione della sanzione penale ed attenua quell'esigenza a favore della persona perseguita da un'accusa penale cui risulta collegato, nell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, il requisito della pubblicita' dei processi e che proprio l'assenza della pubblicita' puo' talvolta rappresentare uno degli elementi incentivanti e premiali, atti a favorire tale la scelta dell'applicazione della pena non vengono collegati alcuni degli effetti tipici della condanna, quali il pagamento delle spese processuali o l'applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza. (Non fondatezza delle questione di legittimita' costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 76 Cost. in relazione all'art. 2, primo comma, parte prima, e n. 45 legge 16 febbraio 1986, n. 81 e legge 4 agosto 1955, n. 848, degli artt. 447, 448 e 563 cod. proc. pen.). - V., in relazione al fondamento sull'accordo tra P.M. e imputato, la sent. n. 66/1990 e sulla rinuncia della facolta' a contestare l'accusa, la sent. n. 313/1991. - V., sul pagamento delle spese processuali della parte civile, la sent. n. 443/1990.
Il fatto che una stessa pena per uno stesso reato possa scaturire da processi dove l'elemento della pubblicita' risulti diversamente regolato rappresenta una mera eventualita' connessa alla diversificazione dei riti, ma in nessun caso puo' configurare una disparita' di trattamento imputabile agli enunciati della legge e suscettibile di riflettersi significativamente all'interno di una stessa categoria di giudicabili.
La direttiva n. 103 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 lascia al legislatore delegato un ampio spazio di discrezionalita' in ordine alla disciplina delle concrete modalita' di funzionamento del processo pretorile e, nel caso di specie, tale discrezionalita' non e' stata certamente adoperata in modo irragionevole, in quanto l'aver lasciato inalterata, rispetto al procedimento innanzi al tribunale, la facolta' per l'imputato di formulare la richiesta di applicazione di una pena fino al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento costituisce evidente espressione del favor per i riti differenziati, alternativi al dibattimento, la cui incentivazione mira a perseguire proprio quella finalita' di massima semplificazione invocata dal remittente. Peraltro, e' anche da escludere la violazione del principio del giudice naturale, in quanto il fatto che l'imputato sia abilitato ad avanzare la richiesta di applicazione della pena nell'una o nell'altra fase del giudizio non implica lesione del suddetto principio, giacche' e' pur sempre la legge che precostituisce il giudice competente ad applicare la pena nelle varie fasi del giudizio durante la pendenza del termine. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 563, quarto comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione). - In merito al principio di precostituzione del giudice: O. n. 353/1990.
Al giudice remittente non e' consentito di prospettare la questione estendendola, in forma meramente ipotetica, sia pure in via subordinata, a disposizioni diverse (nella specie artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo e quarto comma, cod. proc. pen.) dall'unica norma (nella specie art. 563, quarto comma, stesso codice) che egli ritenga, nel caso, di dovere applicare. (Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 446, primo comma, 549 e 563, primo e quarto comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione).
Manifesta inammissibilita' della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza della stessa.
L'applicazione della pena su richiesta dell'imputato con il consenso del P.M. non viola il principio di riserva di giurisdizione, perche' detta riserva non puo' riguardare il pubblico ministero in quanto sotto la vigenza dell'attuale codice a questi e' stato chiaramente attribuito solo il ruolo e la qualita' di parte; ne', peraltro, detto procedimento viola il principio del giudice naturale, poiche' se l'imputato e' abilitato ad avanzare la richiesta della pena in ogni fase del procedimento fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, e' pur sempre la legge che precostituisce il giudice competente ad applicare la sanzione richiesta nelle varie fasi del giudizio durante la pendenza del termine.
Questione gia' dichiarata non fondata. - S. n. 313/1990.
Questione concernente norma gia' dichiarata costituzionalmente illegittima. - S. n. 313/1990.
Questione gia' dichiarata non fondata. - S. n. 313/1990.