Articolo 448 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Restituzione degli atti al giudice che ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 111, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 448, comma 1, ultimo periodo, del codice di procedura penale, ?nella parte in cui non prevede che, anche all'esito del giudizio abbreviato celebrato a seguito dell'ingiustificato dissenso del pubblico ministero alla applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., il giudice possa valutare la legittimità di tale dissenso al fine di pronunciare sentenza nei termini di cui al comma 1 dell'art. 448?. Il giudice dovrà, infatti, valutare se la disciplina transitoria di cui all'art. 5, comma 1, della legge 12 giugno 2003, n. 134, introdotta successivamente all'ordinanza di rimessione, incida sulla rilevanza della questione proposta. ? Analoga questione di legittimità costituzionale, alla quale il rimettente fa riferimento, è stata dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 225/2003.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell?art. 448 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 111, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice possa ritenere ingiustificato il dissenso del pubblico ministero all?applicazione della pena e pronunciare sentenza a norma dell?art. 444 del codice di procedura penale anche all?esito del giudizio abbreviato richiesto dall?imputato. In relazione alla ipotizzata irragionevole discriminazione dell?imputato che ha chiesto il giudizio abbreviato rispetto a quello che tale richiesta non ha formulato, non è dato, infatti, ravvisare alcuna violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, in quanto la diversità delle situazioni processuali poste a raffronto è conseguenza di strategie difensive rimesse alla libera scelta dell?imputato. E non risultano violati né, da un lato, il principio del buon andamento dei pubblici uffici ? che si riferisce non già all?attività giurisdizionale in senso stretto, bensì all?organizzazione ed al funzionamento dell?amministrazione della giustizia ? né, dall?altro, il principio della ragionevole durata del processo: la denunciata disciplina appare, infatti, frutto di scelte normative non prive di valide giustificazioni in ordine alla configurazione e ai rapporti tra riti alternativi, che consente il sindacato del giudice sul dissenso del pubblico ministero soltanto in esito alla celebrazione del dibattimento. - In riferimento al rito alternativo dell?applicazione della pena, richiamate le ordinanze n. 127/1993 e 488/1994, a conferma di precedente giurisprudenza (sentenza n. 120/1984). In tema, inoltre, dopo le modifiche recate all?art. 448 del codice di procedura penale dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, menzionate le ordinanze n. 100/2003 e n. 426/2001. - In tema di applicabilità all?attività giurisdizionale del principio del buon andamento dei pubblici uffici, citate, 'ex plurimis', le sentenze n. 115/2001 e n. 381/1999.
Manifesta infondatezza - per erroneità del presupposto interpretativo - della questione di legittimità costituzionale dell'art. 448, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione, in quanto, nel consentire all'imputato di rinnovare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, la richiesta di applicazione della pena già rivolta al giudice dell'udienza preliminare e non accolta a causa del dissenso del pubblico ministero, imporrebbe al giudice del dibattimento, valutata la fondatezza della richiesta, di pronunciare immediatamente sentenza di applicazione della pena anche in mancanza del consenso del pubblico ministero. Infatti secondo una interpretazione logico-sistematica compatibile con il tenore letterale della disposizione censurata e conforme alla struttura negoziale e all'essenza dell'istituto, il potere di pronunciare sentenza di applicazione della pena malgrado il dissenso del pubblico ministero può essere esercitato solo dopo la chiusura del dibattimento, quando il giudice è posto in grado di valutare, in esito alle risultanze dell'istruzione dibattimentale, se le ragioni del dissenso del pubblico ministero erano giustificate. - V. anche citata ordinanza n. 426/2001, in relazione ad una questione in cui la disciplina censurata era assunta quale 'tertium comparationis'.
Manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 556, comma 1, e 448, comma 1, del codice di procedura penale, nonché dell?art. 464, in quanto richiamato dall?art. 557, comma 3, dello stesso codice di procedura penale, sollevate, in riferimento all?art. 3 della Costituzione, per introdurre la possibilità - ammessa per altre forme di giudizio - di riproporre, nel giudizio che consegue all?opposizione a decreto penale, la richiesta di patteggiamento preventivamente rigettata o non accolta per dissenso del pubblico ministero. Infatti le questioni sollevate sono formulate in forma alternativa, senza puntualizzare le norme effettivamente attinte dal dubbio di costituzionalità: così devolvendo alla Corte il compito - proprio del giudice rimettente - di individuare la sede normativa all?interno della quale iscrivere la pronuncia additiva che viene sollecitata. - In tema di alternativa ermeneutica che spetta al rimettente risolvere, senza sollecitare un inammissibile avallo interpretativo da parte della Corte, v., fra le varie, ordinanza n. 466/2000, ordinanza n. 7/1998, ordinanza n. 70/1998 e sentenza n. 356/1996.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell?art. 448, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevede, ove il pubblico ministero abbia negato il consenso alla richiesta di patteggiamento avanzata dall?imputato in udienza preliminare, che la valutazione sulla fondatezza della richiesta spetti esclusivamente al giudice del dibattimento, che sarebbe legittimato ad applicare la pena richiesta anche prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sulla base degli stessi atti sottoposti all?esame del giudice dell?udienza preliminare, e non anche a tale giudice. Infatti, è erroneo il presupposto interpretativo assunto come 'tertium comparationis', mentre è conforme all?essenza dell?istituto che il potere di pronunciare sentenza di applicazione della pena malgrado il dissenso del pubblico ministero possa essere esercitato solo dopo la chiusura del dibattimento, quando il giudice è posto in grado di valutare, in esito alle risultanze dell?istruzione dibattimentale, se le ragioni del dissenso del pubblico ministero erano giustificate. - Questione già dichiarata manifestamente infondata durante la vigenza della disciplina antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 479/1999, con ordinanza n. 488/1994. M.F.
Vanno restituiti gli atti al giudice rimettente perche' valuti se, a seguito della intervenuta modifica legislativa dell'art. 448 cod. proc. pen. denunciato, permanga la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale proposta. (Nella specie, la Corte di appello di Venezia ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 448 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il potere del giudice di appello di pronunciare sentenza di applicazione della pena concordata tra le parti nel giudizio di primo grado anche quando in tale giudizio l'imputato sia stato assolto a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.. Successivamente, la norma censurata e' stata modificata dall'art. 34 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, e, nella nuova formulazione, prevede espressamente, al primo comma, che, nel giudizio di impugnazione, il giudice puo' pronunciare sentenza di applicazione della pena anche nel caso di rigetto della richiesta formulata 'ex' art. 444, comma 1, cod. proc. pen.).
Come gia' affermato dalla Corte, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta il controllo del giudice deve essere esercitato sulla congruita' della pena in concreto, quale indicata nella richiesta consensuale delle parti e non su quella astrattamente irrogabile in assenza della riduzione ("fino ad un terzo") prevista dal primo comma dell'art. 444. Tale controllo, evidentemente, non puo' non estendersi anche all'osservanza del principio di proporzione tra entita' della pena e gravita' dell'offesa, comprendendo quindi anche una valutazione sull'effettivo valore rieducativo della pena in relazione alla sua pregnante finalita'. - V. massime B e C.; v. S. n. 313/1990. red.: G. Conti
Questioni gia' dichiarate infondate. - V. massime A e C.; v. S. nn. 313/1990 e 116/1992. red.: G. Conti
Manifesta inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza in quanto risulta che nel giudizio "a quo" la richiesta di patteggiamento non e' stata presentata durante le indagini preliminari, bensi' "in limine" al dibattimento. - V. massime A e B. red.: G. Conti
Questione gia' dichiarata infondata per erroneita' del presupposto interpretativo. - S. n. 439/1993. red.: G. Conti