Articolo 445 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 445, comma 1- bis , e 653, comma 1- bis , cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 3, comma secondo, 24, comma secondo, e 111, comma secondo, Cost., nella parte in cui, equiparata la sentenza di cui all'art. 444 dello stesso codice ad una sentenza di condanna, prevedono che essa abbia efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Non é irragionevole la scelta legislativa di perequare, agli effetti del giudizio disciplinare, l'efficacia probatoria della pronuncia di condanna a seguito di dibattimento e della pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti. Invero, la più recente giurisprudenza di legittimità e l'evoluzione normativa del patteggiamento avvalorano un principio di tendenziale equiparazione delle dette pronunce. La legge n. 97 del 2001, prevedendo l'efficacia nel giudizio disciplinare sia della sentenza penale irrevocabile di condanna sia della sentenza di applicazione della pena su richiesta, ha inteso assicurare non solo una sostanziale coerenza tra sentenza penale ed esito del procedimento amministrativo, ma, soprattutto, una linea di maggiore rigore per garantire il corretto svolgimento dell'azione amministrativa. Nel perseguire i riferiti obiettivi, la disciplina impugnata, da un lato, ha parificato tutti i giudicati penali derivanti da qualsiasi tipo di sentenza (sia essa pronunciata a seguito di patteggiamento, o di giudizio abbreviato, ovvero di dibattimento); dall'altro, ha accomunato, agli stessi fini, i vari giudicati, vuoi di condanna, vuoi di assoluzione. Parimenti, non è irragionevole l'opzione legislativa di assegnare alla sentenza di patteggiamento efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, escludendola, invece, per il giudizio civile o amministrativo di danno, poiché quest'ultimo è un giudizio contenzioso tra parti pariteticamente contrapposte, per le quali gli effetti extrapenali del giudicato di condanna devono tenere conto della possibilità che entrambe le parti abbiano avuto di misurarsi in contraddittorio in sede penale. La stessa esigenza non rileva nei rapporti tra patteggiamento e giudizio disciplinare, avuto riguardo alla natura di tale giudizio ed all'identità soggettiva della parte chiamata a partecipare ai rispettivi procedimenti: nell'uno quale imputato e nell'altro quale incolpato in sede disciplinare. Non sussiste, inoltre, la dedotta violazione degli artt. 24, comma secondo, e 111, comma secondo, Cost. Infatti, premesso che la scelta del patteggiamento é un diritto dell'imputato, cui si accompagna l'accettazione di tutti gli effetti, favorevoli e sfavorevoli, tassativamente tracciati dal legislatore come elementi coessenziali allo stesso istituto; e che tra questi effetti non irragionevolmente é annoverato anche il valore di giudicato ai fini del giudizio disciplinare; la circostanza che l'imputato accetti una determinata condanna penale sta univocamente a significare che ha ritenuto, a quei fini, di non contestare il fatto e la propria responsabilità, con la conseguenza di rendere per ciò stesso coerente, rispetto agli evocati parametri, la possibilità che, intervenuto il giudicato su quel fatto e sulla relativa attribuibilità allo stesso imputato, simili componenti del giudizio si cristallizzino anche agli effetti del giudizio disciplinare. Sulla ratio della legge n. 97 del 2001, v. la citata sentenza n. 186/2004. Nel senso che la scelta del patteggiamento rappresenta un diritto per l'imputato, espressivo, esso stesso, del più generale diritto di difesa, v. la citata ordinanza n. 309/2005.
E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, l'articolo 10, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui dispone l'applicabilità degli articoli 1 e 2 della stessa legge (concernenti gli effetti della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nel giudizio disciplinare) ai patteggiamenti perfezionatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. Infatti la componente negoziale propria dell'istituto del patteggiamento, postula certezza e stabilità del quadro normativo che fa da sfondo alla scelta compiuta dall'imputato e preclude che successive modificazioni legislative vengano ad alterare 'in pejus' effetti salienti dell'accordo suggellato con la sentenza di patteggiamento. Ed effetto saliente dell'accordo era indubbiamente la garanzia (integrità del diritto di difesa in tutti i successivi giudizi civili, amministrativi e disciplinari nei quali il medesimo fatto avesse avuto rilievo) retroattivamente incisa dalla norma denunciata. - Sull'istituto del patteggiamento v. citate sentenze n. 251/1991, n. 313/1990 e n. 66/1990.
Manifesta infondatezza, in quanto identica questione, sollevata dallo stesso giudice rimettente sulla base di eguali considerazioni, e' stata dichiarata manifestamente infondata, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in relazione agli artt. 218, commi primo, secondo e quinto dello stesso decreto legislativo, 133 del codice penale, 444 e 445 del codice di procedura penale, denunziati, in riferimento agli artt. 101, 112 e 24 della Costituzione, sotto il profilo che imporrebbero al giudice l'applicazione d'ufficio della sanzione amministrativa accessoria, anche con la sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, senza che il punto possa formare oggetto dell'accordo delle parti. - V. ordinanze nn. 264/1999 e 25/1999.
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 101, 111 e 24 Cost., dell'art. 222 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in relazione all'art. 218, commi 1, 2 e 5, dello stesso decreto legislativo, all'art. 133 cod. pen., e agli artt. 444 e 445 cod. proc. pen., nella parte in cui prevedono che la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida debba essere applicata dal giudice anche con la sentenza di applicazione della pena emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., senza che il punto possa formare oggetto dell'accordo delle parti. Contrariamente a quanto ha ritenuto il giudice 'a quo', infatti, la sospensione della patente prevista dall'art. 222 cod. strada - la cui durata, secondo il diritto vivente, va fissata, in base ai parametri di cui all'art. 218 stesso codice, tra il minimo e il massimo di legge - non presuppone, logicamente o normativamente - come la Corte ha gia' affermato - la declaratoria di responsabilita' penale attraverso una sentenza di condanna in senso proprio, bastando invece l'accertamento del mero fatto lesivo dell'interesse pubblico: accertamento sicuramente compatibile con la pronuncia di cui all'art. 444 cod. proc. pen.. E d'altra parte la liberta' nella scelta del procedimento di cui all'art. 444 citato e la discrezionalita' nella valutazione prognostica degli effetti conseguenti a tale scelta escludono che la mancata impugnabilita' per vizi di merito della determinazione giudiziale della durata della sospensione della patente di guida costituisca lesione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost.. - V. O. n. 25/1999.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, comma primo, 24, comma secondo, 25, comma secondo, 27, commi primo, secondo e terzo, 101, comma secondo, 102, comma secondo, e 111, comma primo, Cost., nei confronti degli artt. 445 cod. proc. pen. e 168 cod. pen. e in subordine anche dell'art. 444 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono, nell'ambito delle rispettive sfere di applicazione, secondo alcune pronunce della Corte di cassazione, che la sentenza di applicazione della pena su richiesta sia titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena accordata in altro giudizio. Con le ordinanze di rimessione, infatti, si mira ad ottenere una integrazione delle cause di revoca di diritto del beneficio in questione, tassativamente indicate nell'art. 168, comma primo, cod. pen., attraverso un intervento additivo in materia riservata alla discrezionalita' del legislatore e destinato a risolversi in un trattamento deteriore per il condannato, e che quindi - come gia' si e' rilevato in precedenti decisioni su analoghe questioni, e senza che, pur essendo evocati ulteriori parametri costituzionali, rispetto agli argomenti allora esaminati ne vengano dedotti dei nuovi - nel giudizio di costituzionalita' deve ritenersi precluso. - Nello stesso senso, O. nn. 297/1997, 172/1998 e 399/1997. red.: S. Pomodoro
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 3 Cost., nei confronti delle disposizioni degli artt. 445, comma 1, cod. proc. pen. e 240, comma 1, cod. pen., e dell'art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1992, n. 356), introdotto dall'art. 2 del d.l. 20 giugno 1994, n. 399, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1994, n. 501) - in relazione all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 - che in caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta, escludono la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, e, rispettivamente, riguardo ai giudizi sui reati di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti, ricorrendo l'attenuante del "fatto di lieve entita'", la confisca del denaro, beni o altra utilita' di cui l'imputato non possa giustificare la provenienza. Le evidenti peculiarita' che contraddistinguono i presupposti, la struttura e la funzione della ipotesi di confisca obbligatoria disciplinata dall'art. 12-'sexies' del d.l. n. 306 del 1992 valgono infatti a configurarla come istituto profondamente diverso - per taluni anche per la sua natura giuridica - dalla confisca facoltativa prevista come misura di sicurezza patrimoniale dall'art. 240, primo comma, cod. pen., sicche' la questione, investendo entrambe le suddette norme, in via alternativa, senza che il giudice 'a quo' concentri sull'una o sull'altra la formulata richiesta di sentenza additiva, risulta prospettata in modo ancipite. - Per la manifesta inammissibilita' di questione proposta in termini analoghi ma nei soli confronti degli artt. 445 cod. proc. pen. e 240 cod. pen.. O. n. 334/1994. Sulla inammissibilita' in generale di questioni di legittimita' costituzionale sollevate con la prospettazione, da parte dell'autorita' rimettente, di soluzioni alternative, v., fra le altre, S. n. 129/1993. red.: S. Pomodoro
E' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 24 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui impone al richiedente la dichiarazione di estinzione del reato di provare di non aver commesso alcun delitto della stessa indole nel termine di cinque anni, in quanto sono palesemente erronei i due presupposti interpretativi su cui si basa la questione medesima: il primo -secondo cui l'elemento ostativo alla dichiarazione di estinzione del reato consisterebbe nella mera commissione di un reato e, quindi, nella semplice esistenza di un procedimento penale pendente a carico del condannato - perche', anche alla luce del principio di cui all'art. 27, comma 2, Cost., l'effetto preclusivo all'estinzione del reato non consegue al mero fatto di aver commesso un delitto entro il termine di cinque anni, ma all'accertamento della responsabilita' contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna; il secondo - giusta il quale l'onere di provare l'inesistenza della commissione di un delitto della stessa indole sarebbe posto, nel procedimento di esecuzione, a carico del condannato - perche', al contrario, l'art. 666, comma 5, cod. proc. pen., attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di chiedere alle autorita' competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno (sicche', al fine di provvedere sulla richiesta di cui all'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., il giudice puo' limitarsi ad acquisire il certificato del casellario giudiziale). red.: S. Di Palma
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445, secondo comma, del cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che l'esecuzione della sentenza di applicazione della pena rimanga sospesa durante il decorso dei termini per l'estinzione del reato previsto dalla medesima disposizione, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., in quanto il presupposto da cui muove il giudice rimettente dell'analogia della causa di estinzione del reato 'de qua' rispetto alla estinzione conseguente alla sospensione condizionale della pena e' palesemente erroneo, basandosi tale ultimo istituto, sulla presunzione che il colpevole si asterra' dal commettere ulteriori reati e sull'assenza di precedenti condanne a pena detentiva, disciplina del tutto estranea all'effetto estintivo del reato, che puo' prodursi a seguito dell'applicazione della pena su richiesta e presuppone, salvo il caso di sospensione condizionale, che la pena venga effettivamente eseguita, non verificandosi ex art. 136 disp. att. cod. proc. pen. l'effetto estintivo in caso di sottrazione volontaria all'esecuzione della pena. red.: N. Oliva
E' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, in caso di accoglimento della domanda di "patteggiamento", sia preclusa l'applicazione della misura afflittiva della sospensione della patente di guida, in quanto -posto che il nuovo codice della strada ha espressamente qualificato la sospensione della patente di guida come sanzione amministrativa accessoria, prevedendo che sia disposta dal giudice in caso di accertamento di taluni reati; e che la caratterizzazione legislativa della sospensione della patente di guida come sanzione amministrativa non e' arbitraria o manifestamente irrazionale, trattandosi di misura afflittiva che incide su di un atto amministrativo di abilitazione a seguito della violazione di regole di comportamento inerenti alla sicurezza della circolazione stradale- tale configurazione della sospensione della patente di guida vale a giustificare la diversita' di disciplina dettata dalla norma denunciata che, per quanto attiene agli effetti dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, esclude l'irrogazione delle sanzioni penali accessorie ma non delle sanzioni amministrative accessorie, tenuto anche conto che la regola dell'art. 445 cod. proc. pen. non e' cosi' assoluta da non consentire, in casi particolari specificamente previsti dal legislatore, l'irrogazione di sanzioni penali accessorie anche quando sia applicata la pena su richiesta delle parti. red.: S. Di Palma
Manifesta inammissibilita' in quanto, come gia' affermato dalla Corte in precedente decisione su identica questione, spetta solo al legislatore adottare interventi additivi in tema di misure di sicurezza applicabili con la sentenza di patteggiamento. - O. n. 282/1995. V. anche O. n. 334/1994. red.: G.C. rev.: S.P.