Articolo 133 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Manifesta infondatezza, in quanto identica questione, sollevata dallo stesso giudice rimettente sulla base di eguali considerazioni, e' stata dichiarata manifestamente infondata, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in relazione agli artt. 218, commi primo, secondo e quinto dello stesso decreto legislativo, 133 del codice penale, 444 e 445 del codice di procedura penale, denunziati, in riferimento agli artt. 101, 112 e 24 della Costituzione, sotto il profilo che imporrebbero al giudice l'applicazione d'ufficio della sanzione amministrativa accessoria, anche con la sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, senza che il punto possa formare oggetto dell'accordo delle parti. - V. ordinanze nn. 264/1999 e 25/1999.
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 101, 111 e 24 Cost., dell'art. 222 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), in relazione all'art. 218, commi 1, 2 e 5, dello stesso decreto legislativo, all'art. 133 cod. pen., e agli artt. 444 e 445 cod. proc. pen., nella parte in cui prevedono che la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida debba essere applicata dal giudice anche con la sentenza di applicazione della pena emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., senza che il punto possa formare oggetto dell'accordo delle parti. Contrariamente a quanto ha ritenuto il giudice 'a quo', infatti, la sospensione della patente prevista dall'art. 222 cod. strada - la cui durata, secondo il diritto vivente, va fissata, in base ai parametri di cui all'art. 218 stesso codice, tra il minimo e il massimo di legge - non presuppone, logicamente o normativamente - come la Corte ha gia' affermato - la declaratoria di responsabilita' penale attraverso una sentenza di condanna in senso proprio, bastando invece l'accertamento del mero fatto lesivo dell'interesse pubblico: accertamento sicuramente compatibile con la pronuncia di cui all'art. 444 cod. proc. pen.. E d'altra parte la liberta' nella scelta del procedimento di cui all'art. 444 citato e la discrezionalita' nella valutazione prognostica degli effetti conseguenti a tale scelta escludono che la mancata impugnabilita' per vizi di merito della determinazione giudiziale della durata della sospensione della patente di guida costituisca lesione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost.. - V. O. n. 25/1999.
Restituzione degli atti al giudice 'a quo', per il riesame sulla rilevanza della questione, alla luce dell' intervenuto d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito in l. 24 marzo 1993, n. 75, il cui art. 5, comma sesto bis, ha depenalizzato la fattispecie in ordine alla quale, nella specie, e' stata pronunciata la condanna e del successivo d. l. 30 agosto 1993, n.331 (conv. in l. n. 427 del 1993), che di tale articolo ha stabilito (art. 12, comma terzo) l'applicabilita', in deroga all'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, anche relativamente alle violazioni antecedenti la data di entrata in vigore della predetta legge di conversione n. 75 del 1993, a norma dell'art. 2, secondo e terzo comma, cod. pen.. red.: A.M.M. rev.: S.P.
Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 25, secondo e terzo comma, 27, primo comma, e 3 Cost., nei confronti degli artt. 102, 103 e 107 della legge n. 689 del 1981, e degli artt. 133-bis e 133-ter del codice penale, in relazione all'art. 660 del codice di rito, in quanto la disciplina dettata dai primi in ordine alla conversione della pena pecuniaria, dato il limite massimo posto all'applicazione della misura della liberta' controllata - da cui il condannato potrebbe essere indotto, per beneficiarne, a "far sparire i suoi beni" - e la pratica impossibilita' di usufruire della rateizzazione quando le somme da pagare siano particolarmente elevate, non risulterebbe satisfattiva del principio della inderogabilita' della pena, ed in quanto - per cio' che attiene agli artt. 133-bis e 133-ter - tali disposizioni articolerebbero con tecniche non ottimali il metodo di adeguamento delle pene pecuniarie alle condizioni economiche del reo, non possono essere decise nel merito. Infatti - a parte la genericita' dei quesiti e la vaghezza dei "casi" prospettati - esse si imperniano sulla richiesta di una pronuncia della Corte costituzionale che, limitatamente alle ipotesi di pene pecuniarie di ingente misura, "riadegui" l'intero sistema delle pene pecuniarie, il che presuppone delle scelte discrezionali che solo il legislatore e' abilitato a compiere. Atteso che lo stesso metodo dei "tassi giornalieri di reddito" - nella ordinanza di rimessione particolarmente auspicato - non puo' ritenersi ne' l'unico teoricamente utilizzabile, ne', 'a fortiori' - come anche il giudice 'a quo' mostra del resto di avere avvertito - un meccanismo che la Corte potrebbe iscrivere nel sistema senza sconvolgerlo. (Inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 25, secondo e terzo comma, 27, primo comma, e 3 Cost., degli artt. 102, 103 e 107, legge 24 novembre 1981, n. 689, e degli artt. 133-bis e 133-ter cod. pen., in relazione all'art. 660 cod. proc. pen.). - Sui "tassi giornalieri di reddito", v. S. n. 131/1979. red.: S.P.
Ove vi sia un notevole divario fra il limite minimo ed un limite massimo della pena edittale, e' consentito al legislatore di includere nello stesso modello di genere una pluralita' di fattispecie diverse per struttura e disvalore, atteso che in tali casi sia possibile per il giudice - a norma degli artt. 132 e 133 cod.pen. - far emergere la differenza fra le varie sottospecie in ordine al loro diverso disvalore e graduare, su questa base, nell'ambito dei minimi edittali, la pena da irrogare in concreto. Tale rilievo, espresso dalla Corte riguardo ai raffronti tra le varie sottofattispecie ricomprese nell'art. 5, sesto comma, della legge n. 110 del 1975, e tra queste ed altre disposizioni in materia di armi, pur dovendo essere ribadito, va anche correttamente inteso. Non se ne puo' arguire, infatti, anzitutto, che il giudice, quando ne sia il caso, non possa applicare i minimi edittali alla (o alle) sottofattispecie piu' gravi. Inoltre, esso non puo' essere dilatato fino al punto da tradursi in sovvertimento del rapporto (ved. massima A) tra il principio della riserva alla legge del trattamento sanzionatorio e quello dell'individualizzazione della pena. - S. n. 176/1986.
Le caratteristiche della funzione emendatrice della pena, emergenti dall'interpretazione sistematica dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione (delineata sub B), escludono l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con tale norma, dell'art. 133, secondo comma, n. 1, cod. pen., nella parte in cui fa riferimento, ai fini della graduazione della pena, al solo carattere e non anche all'intera personalita' dell'imputato. Infatti l'attribuzione di una maggiore o minore rilevanza agli elementi soggettivi nella graduazione della pena rientra conseguenzialmente nel giudizio di discrezionalita' politica rimesso al legislatore ordinario.