Pronuncia 119/1994

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 56, 62, 64, 102, 103 e 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689, 660 del codice di procedura penale e 133- bis e ter del codice penale, in relazione agli artt. 660 del codice di procedura penale e 102, 103 e 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1993 dal Magistrato di sorveglianza di Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Bertazzoli Marco, iscritta al n. 711 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara inammissibili le questioni di legittimità degli artt. 56, 62, 64, 102, 103 e 107 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), dell'art. 660 del codice di procedura penale e degli artt. 133- bis e 133- ter del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 25 e 27 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Firenze con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 23 marzo 1994. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: VASSALLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 31 marzo 1994. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

Relatore: Giuliano Vassalli

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: CASAVOLA

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Massime

SENT. 119/94 A. PENA - PENA PECUNIARIA - CONVERSIONE PER INSOLVIBILITA' IN LIBERTA' CONTROLLATA CON RITIRO OBBLIGATORIO DEL PASSAPORTO - NECESSARIA APPLICAZIONE DI TALI MISURE NEI CASI IN CUI LA PENA PECUNIARIA SIA PARTICOLARMENTE ELEVATA - CONSEGUENTE SPROPORZIONE, A SCAPITO DEI NON ABBIENTI, TRA SANZIONE SOSTITUTIVA E PENA PECUNIARIA, CON INCIDENZA, A CARICO DI CHI PER LA PROPRIA ATTIVITA' DEVE RECARSI ALL'ESTERO, SUL DIRITTO AL LAVORO E SULLA FUNZIONE DELLO STESSO AI FINI RIEDUCATIVI - RICHIESTA, DA PARTE DEL GIUDICE RIMETTENTE, NON DI UNA PURA E SEMPLICE CADUCAZIONE DELLE DISPOSIZIONI IMPUGNATE, MA DI UNA MODIFICA, NON CONSENTITA ALLA CORTE COSTITUZIONALE, DELLA NORMATIVA VIGENTE - INAMMISSIBILITA' DELLE QUESTIONI.

Nell'impugnare, in riferimento agli artt. 27, primo comma, 3, primo comma, 3, secondo comma, 4, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., le norme che disciplinano la conversione della pena pecuniaria per insolvibilita' in liberta' controllata contenute negli artt. 56, 62, 64, 102, 103 e 107, legge n. 689 del 1981, e 660 cod. proc. pen., in quanto, dipendendo la conversione dal "dato di fatto della insolvibilita'", anche se incolpevole, la stessa diviene pressocche' inevitabile nelle ipotesi in cui (come nella specie) la pena pecuniaria sia di rilevante entita', e la liberta' controllata finisce quindi con l'imporre un carico afflittivo maggiore rispetto alla pena pecuniaria convertita, specie nella parte in cui prescrive, senza possibilita' di deroga, il ritiro del passaporto, con la conseguenza che l'abbiente e il non abbiente sono sottoposti a differenti sanzioni anche se identica e' la loro responsabilita', e a chi svolge la sua normale attivita' lavorativa anche all'estero (come, nella specie, l'autotrasportatore) si impedisce di lavorare, il giudice 'a quo' - a parte l'ambiguita' con cui le suddette censure vengono cumulativamente formulate - non mira alla caducazione 'sic et simpliciter' dell'intero sistema che regola la conversione delle pene pecuniarie, ma - come nella ordinanza di rinvio esplicitamente si afferma - ad ottenere una pronuncia che gli consenta di modulare le prescrizioni della sanzione sostitutiva in funzione delle esigenze lavorative del condannato, senza peraltro indicare attraverso quale manipolazione normativa ed entro quali confini un siffatto potere di articolazione potrebbe essere additivamente costruito dalla Corte. La pluralita` delle soluzioni possibili, nessuna delle quali costituzionalmente imposta, e la necessita' di prefigurare una coerente disciplina di dettaglio, coinvolgono quindi aspetti che chiaramente rientrano nella sfera esclusiva della discrezionalita' legislativa, dovendosi altresi' rilevare, in particolare, che, se e' vero che, in base ai principi affermati dalla stessa Corte costituzionale anche con riferimento alla conversione della pena pecuniaria, il massimo privilegio deve essere assegnato al lavoro quale ineludibile strumento di emenda, resta il fatto che le peculiarita' insite in una attivita' lavorativa che comporti frequenti spostamenti all'estero, in tanto possono trovare equilibrato soddisfacimento, in quanto le relative modalita' attuative non finiscano per svuotare integralmente di contenuto la sanzione sostitutiva applicata. Onde l'auspicio che la problematica - non certo di secondaria importanza - posta in risalto dall'autorita' rimettente - trovi risposta in una tempestiva revisione in sede legislativa delle norme impugnate. (Inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 27, primo comma, 3, primo comma, 3, secondo comma, e 4, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., degli artt. 56, 62, 64, 102, 103 e 107, legge 24 novembre 1981, n. 689, e 660 cod. proc. pen.). - In precedenza, con analoga decisione di inammissibilita' su questione concernente anch'essa la determinazione delle modalita' esecutive della sanzione sostitutiva della liberta' controllata, O. n. 147/1989. Sulla importanza del lavoro ai fini rieducativi di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., v. S. n. 131/1979. red.: S.P.

Norme citate

SENT. 119/94 B. PENA - PENA PECUNIARIA - CONVERSIONE PER INSOLVIBILITA' DEL CONDANNATO - ADEGUAMENTO ALLE CONDIZIONI ECONOMICHE DEL REO - NORME VIGENTI - APPLICAZIONE DELLE STESSE NEI CASI DI PENE PECUNIARIE DI IMPORTO PARTICOLARMENTE ELEVATO - NON RISPONDENZA AL PRINCIPIO DI INDEROGABILITA' DELLA PENA - FONDAMENTO DELLA CONVERSIONE SUL "DATO OGGETTIVO DELLA INCOLPEVOLE INSOLVENZA" - CONSEGUENTE DISPARITA' DI TRATTAMENTO SECONDO CHE IL CONDANNATO SIA O MENO PERSONA ABBIENTE - RICHIESTA, IN BASE ALLA DENUNCIATA NECESSITA' DI OPPORTUNE MODIFICHE DEL SISTEMA, DI NON CONSENTITA PRONUNCIA ADDITIVA - INAMMISSIBILITA' DELLE QUESTIONI.

Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 25, secondo e terzo comma, 27, primo comma, e 3 Cost., nei confronti degli artt. 102, 103 e 107 della legge n. 689 del 1981, e degli artt. 133-bis e 133-ter del codice penale, in relazione all'art. 660 del codice di rito, in quanto la disciplina dettata dai primi in ordine alla conversione della pena pecuniaria, dato il limite massimo posto all'applicazione della misura della liberta' controllata - da cui il condannato potrebbe essere indotto, per beneficiarne, a "far sparire i suoi beni" - e la pratica impossibilita' di usufruire della rateizzazione quando le somme da pagare siano particolarmente elevate, non risulterebbe satisfattiva del principio della inderogabilita' della pena, ed in quanto - per cio' che attiene agli artt. 133-bis e 133-ter - tali disposizioni articolerebbero con tecniche non ottimali il metodo di adeguamento delle pene pecuniarie alle condizioni economiche del reo, non possono essere decise nel merito. Infatti - a parte la genericita' dei quesiti e la vaghezza dei "casi" prospettati - esse si imperniano sulla richiesta di una pronuncia della Corte costituzionale che, limitatamente alle ipotesi di pene pecuniarie di ingente misura, "riadegui" l'intero sistema delle pene pecuniarie, il che presuppone delle scelte discrezionali che solo il legislatore e' abilitato a compiere. Atteso che lo stesso metodo dei "tassi giornalieri di reddito" - nella ordinanza di rimessione particolarmente auspicato - non puo' ritenersi ne' l'unico teoricamente utilizzabile, ne', 'a fortiori' - come anche il giudice 'a quo' mostra del resto di avere avvertito - un meccanismo che la Corte potrebbe iscrivere nel sistema senza sconvolgerlo. (Inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 25, secondo e terzo comma, 27, primo comma, e 3 Cost., degli artt. 102, 103 e 107, legge 24 novembre 1981, n. 689, e degli artt. 133-bis e 133-ter cod. pen., in relazione all'art. 660 cod. proc. pen.). - Sui "tassi giornalieri di reddito", v. S. n. 131/1979. red.: S.P.