Articolo 625 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Firenze, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - dell'art. 625, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce per il reato di furto la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1.549 euro, limitatamente alle parole «ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61» cod. pen., o, in subordine, nella parte in cui prevede che la pena della reclusione minima sia pari a tre anni anziché a due anni ed un giorno. L'identico trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione censurata per le fattispecie di concorso di due o più circostanze speciali del furto o di una circostanza speciale con una circostanza comune è frutto della scelta legislativa - operata già nella formulazione originaria dell'art. 625 e reiterata in occasione degli interventi che hanno riguardato il furto in abitazione, il furto con strappo e la rapina - di considerare in maniera unitaria la condotta incriminata, nella quale la circostanza aggravante comune diviene elemento essenziale di un distinto reato aggravato tipico. A tale opzione, di per sé non manifestamente irragionevole, finirebbe per sovrapporsi l'auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale, dando luogo ad un parziale nuovo quadro sanzionatorio del furto pluriaggravato e surrogandosi in maniera comunque assai limitata alla ben più ampia riforma di sistema della disciplina sanzionatoria che l'art. 625 cod. pen. e, in generale, i reati contro il patrimonio attendono ormai da decenni. ( Precedenti: S. 117/2021; S. 190/2020; S. 136/2020; S. 268/1986; S. 18/1973; S. 22/1971 ).
Sono ammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 625, primo comma, cod. pen., dal momento che il rimettente ha dato conto dei motivi per cui deve fare applicazione della cornice edittale di cui alla disposizione censurata e ha richiamato, in linea con la giurisprudenza di legittimità, la regola del cumulo giuridico di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen.
Sono ammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 625, primo comma, cod. pen., dal momento che l'intervento sostitutivo sollecitato dal rimettente - consistente nel chiedere di ripristinare la pena pecuniaria nell'ammontare minimo previsto dalla disposizione censurata prima della modifica da parte della legge n. 103 del 2017 - è aspetto che attiene al possibile contenuto dell'invocata pronuncia additiva e, pertanto, non ridonda in un profilo di inammissibilità, avendo il giudice a quo assolto all'onere di indicare il tertium comparationis , su cui fonda la censura di arbitrarietà e irragionevolezza della norma in esame. ( Precedenti citati: sentenze n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014 ).
Sono dichiarate inammissibili, per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Siracusa in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. - dell'art. 625, primo comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce il minimo edittale della multa per il furto monoaggravato in misura superiore (927 euro) rispetto alla fattispecie pluriaggravata, di cui al secondo comma (206 euro). La previsione censurata, stante l'ampia discrezionalità del legislatore, può ridondare nella violazione del principio di uguaglianza e di proporzionalità della pena soltanto se detta asimmetria venga esaminata nel contesto del complessivo trattamento sanzionatorio; al contrario, il rimettente non ha tenuto conto del divario del minimo della pena detentiva prevista per le due ipotesi (pari a un anno di reclusione in più per l'ipotesi più grave). In tal modo ha omesso di considerare se il citato divario sia idoneo o meno a ridimensionare l'asimmetria denunciata, relegandola nell'ambito di meri difetti di tecnica normativa, che la Corte costituzionale ? soprattutto nella materia penale quanto alla dosimetria della pena ? non è chiamata per ciò solo a correggere, ove non ridondino in un trattamento sanzionatorio manifestamente irragionevole e sproporzionato. È comunque auspicabile che il legislatore corregga lo squilibrio denunciato dal rimettente. Dall'insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale consegue l'inammissibilità delle stesse. ( Precedenti citati: sentenze n. 24 del 2019, n. 231 del 2018 e n. 134 del 2018 ). La ragionevolezza della pena deve essere giudicata secondo una valutazione complessiva della pena pecuniaria e della pena detentiva, dando rilievo all'unitarietà del trattamento sanzionatorio complessivamente predisposto dal legislatore; in tal modo si consente al giudice, attraverso la graduabilità della pena detentiva comminata congiuntamente a quella pecuniaria, un consistente margine di adeguamento del trattamento sanzionatorio alle particolarità del caso concreto. ( Precedenti citati: sentenze n. 15 del 2020 n. 233 del 2018 e n. 142 del 2017; ordinanze n. 91 del 2008 e n. 475 del 2002 ). Il legislatore gode di un'ampia discrezionalità nella determinazione del trattamento sanzionatorio delle fattispecie criminose, sindacabile solo ove venga superato il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà oppure del manifesto difetto di proporzionalità, avendo, peraltro, la giurisprudenza costituzionale gradatamente affrancato il sindacato di conformità al principio di proporzione della pena edittale dalle strettoie segnate dalla necessità di individuare un preciso tertium comparationis da cui mutuare la cornice sanzionatoria destinata a sostituirsi a quella dichiarata incostituzionale, privilegiando un modello di sindacato sulla proporzionalità "intrinseca" della pena. ( Precedenti citati: sentenze n. 284 del 2019, n. 73 del 2020, n. 40 del 2019, n. 233 del 2018, n. 222 del 2018, n. 179 del 2017 e n. 148 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 161 del 2009 e n. 343 del 1993 ).
E' manifestamente inammissibile, in quanto meramente ripropositiva di identica questione gia' dichiarata manifestamente inammissibile, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 30, comma terzo, primo periodo, l. 11 febbraio 1992 n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevata con riferimento agli artt. 3 e 9 Cost.. - O. nn. 146/1993, 215/1994, 25/1995. red.: S. Di Palma
Secondo i principi gia' affermati in ordine ad analoghe questioni, rimane preclusa alla Corte, in forza del principio sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., una pronunzia dalla quale possa derivare, cosi' come, nel caso, mira ad ottenere il giudice 'a quo', la creazione di una nuova fattispecie penale e, del resto, la caccia rappresenta un settore dell'ordinamento, regolato organicamente da una disciplina speciale, nel cui ambito l'identificazione delle fattispecie da sanzionare, del tipo di sanzione da applicare e della graduazione delle sanzioni stesse, spetta alla discrezionalita' del legislatore. (Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 30 e 31, l. 11 febbraio 1992, n. 157, sollevata in riferimento agli artt. 3, 9 e 42, Cost.). - O. nn. 146/1993 e 215/1994. red.: A.M.M. rev.: S.P.
Manifesta inammissibilita' delle questioni in quanto: a) e' preclusa alla Corte costituzionale, in forza del principio sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., una pronuncia dalla quale possa derivare la creazione - esclusivamente riservata al legislatore - di una nuova fattispecie penale; b) l'eventuale pronuncia di accoglimento della questione risulterebbe in ogni caso irrilevante nel giudizio ' a quo' in virtu' del principio di applicazione dela legge penale piu' favorevole. - S. nn. 108/1981 e 42/1977.
La fattispecie di furto (consumato o tentato) aggravato dalla violenza sulle cose, ma attenuato dall'esiguita' del danno, non puo' ricondursi alla caratterizzazione dei casi rispetto ai quali il legislatore delegato nel formulare l'art. 380, secondo comma, cod. proc. pen. ha ritenuto sussistenti le speciali esigenze per la tutela della collettivita' per le quali il legislatore delegante ammette la previsione dell'arresto obbligatorio (v. massima D); tali esigenze sono state individuate nella salvaguardia dell'ordine costituzionale (lett. a, i ed l), della sicurezza ed incolumita' pubblica (lett. b, g, h ed e, prima ipotesi) o della liberta', incolumita' e sicurezza individuale, se attentate con mezzi di violenza personale (lett. d e f), o in caso di forme di criminalita' organizzata (lett. l) o di delitti concernenti associazioni di tipo mafioso (lett. m). Allo stato, invece, la gravita' del delitto 'de quo' e' rilevabile solo dall'astratta previsione della pena in quanto, nella realta', la concreta comminazione si e' attenuata essendo possibile il bilanciamento tra aggravanti ed attenuanti o anche la prevalenza delle generiche sulle aggravanti del furto, in secondo luogo l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 cod. pen. rientra tra i fattori dei quali si deve tener conto per la determinazione della pena sia per l'applicazione delle misure cautelari sia della sottoposizione delle fattispecie delittuose al regime dell'arresto obbligatorio o facoltativo, in terzo luogo l'applicazione di tale diminuente e' stata ampliata con la l. n. 19/1990 (art. 2), infine non va nemmeno sottovalutata l'eccezionalita', nell'ottica del legislatore delegante, dell'istituto dell'arresto obbligatorio. Tutti questi fattori (attenuazione della gravita' del delitto di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen., maggior rilevanza delle attenuanti del danno lieve e l'eccezionalita' dell'arresto obbligatorio in flagranza) convergono dunque a far escludere che, nell'intenzione del legislatore delegante, la misura dell'arresto obbligatorio in flagranza possa essere prevista per la fattispecie in esame. Conseguentemente l'art. 380, secondo comma, lett. c), cod. proc. pen. deve essere dichiarato incostituzionale, per violazione dell'art. 76 Cost., nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 2, prima ipotesi del codice penale ma, concorre la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4 dello stesso codice. ____________ N.B.: Massima redatta con riferimento al testo della decisione cosi' come modificato dalla ordinanza di correzione n. 301/1993.
Vanno restituiti ai giudici remittenti gli atti relativi alle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 624 e 625, n. 4, cod. pen., sollevate: in riferimento agli artt. 3, 13 e 27, comma terzo, Cost., "nella parte in cui tali norme sanciscono la punizione del colpevole con le pene in esse stabilite, anche quando il fatto-reato sia consistito nell'impossessamento, senza alcuna violenza, di una somma di denaro o di un oggetto di valore manifestamente irrisorio"; nonche' con riguardo agli artt. 4, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., in quanto la pena comminata in astratto, sia pure nel minimo di giorni quindici di reclusione, senza alcuna discriminazione in ordine ai furti di lieve entita', si risolve di fatto, quando sia inscritta nel certificato penale, in un grave ostacolo al conseguimento di un posto di lavoro, che non troverebbe giustificazione rispetto alle analoghe conseguenze che giustamente incombono su chi si e' macchiato di piu' gravi delitti, senza che, d'altra parte, la pena detentiva possa servire in siffatti modestissimi casi-limite, ai fini rieducativi di cui al citato art. 27, comma terzo, Cost.. La legge 24 novembre 1981, n. 689, recante "modifiche al sistema penale", frattanto sopravvenuta, ha infatti profondamente modificato l'applicazione delle sanzioni detentive per l'ipotesi di pene brevi (art. 53), consentendone persino la sostituzione con pena pecuniaria di specie corrispondente, allorquando si tratti di determinarla entro il limite di un mese, ed ha quindi creato una situazione del tutto nuova che sembra corrispondere a quella auspicata dai giudici a quibus, per cui la dedotta illegittimita' deve essere ora valutata alla stregua della sopravvenuta normativa.
Cfr.: sent. n. 22 del 1971 e ord. n. 64 del 1971.