Articolo 216 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non puo' riconoscersi alcuna influenza nel giudizio di costituzionalita' a situazioni di fatto derivanti da incompleta attuazione della legge: va pertanto dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale concernente l'intera disciplina sostanziale relativa alla misura di sicurezza dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro ( e precisamente gli artt. 215, secondo comma, n. 1; ed ultimo comma, da "a meno che" alla fine; 216, 217, 218, 223, secondo comma, da "salvo che" alla fine; 226, primo comma, secondo periodo; 231, secondo comma, (esclusa la previsione del ricovero di un minore in un riformatorio giudiziario), cod. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 111, 27, terzo comma, e 25, ultimo comma, della Costituzione, in base all'assunto che - in fatto - la misura dell'assegnazione ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola sarebbe praticamente applicata con modalita' identiche a quelle previste per l'espiazione della pena della reclusione e dell'arresto.
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 216 del codice penale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, 38 della Costituzione, gia' dichiarata non fondata con le sentenze n. 167 del 1972 e n. 148 del 1973.
E' senz'altro da escludere che l'art. 25 della Costituzione possa interpretarsi nel senso che consenta l'applicazione delle misure di sicurezza solo in via alternativa alla pena e che percio', se correlate a fatti costituenti reato, per i quali vi e' gia' previsione di pena, tali misure debbano considerarsi illegittime. E' pertanto infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in base a tale assunto (che oltretutto comporterebbe l'incostituzionalita' dell'intero sistema delle misure di sicurezza quale risulta dal codice penale) riguardo alla irrogazione di misure di sicurezza per effetto della dichiarazione di abitualita' e professionalita' nel reato, prevista dagli artt. 102, 103, 105, 109, 204, 216, nn. 1 e 2, e 217 codice penale.
L'art. 27 della Costituzione si riferisce soltanto alla pena e non considera le misure di sicurezza, proprio perche' queste ex se tendono ad un risultato che eguaglia quella rieducazione cui deve mirare la pena. Pertanto non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 27 Cost., riguardo all'automatica irrogazione della misura di sicurezza (colonia agricola o casa di lavoro) per effetto della dichiarazione di professionalita' od abitualita' nel reato, prevista in combinato disposto dagli artt. 102, 103, 105, 109, 204, primo e secondo comma, 216, nn. 1 e 2, e 217 cod. pen., in base all'assunto che le misure di sicurezza, se ed in quanto correlate a fatti-reati, sarebbero in contraddizione con le "finalita' educative". Cfr.: sent. nn. 168 del 1972 e 68 del 1967.
Col prevedere negli artt. 102, 103, 105, 109, 204, 216, nn. 1 e 2, e 217 codice penale (combinato disposto), l'irrogazione automatica della misura di sicurezza per effetto della dichiarazione di abitualita' e professionalita' nel reato, il legislatore, nell'ambito della discrezionalita' consentitagli, ha ritenuto di attribuire generalizzata significazione, al fine della prevenzione criminale, agli elementi dei precedenti penali e dell'indole del nuovo reato. E' pertanto infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata in proposito, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, atteso che tale uniforme significazione di pericolosita' giustifica l'adottata identica regola di giudizio: non certo in contrasto con il principio di eguaglianza, bensi' al fine di farne applicazione.
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 216 c.p., nella parte in cui impone, o rende facoltativa, l'applicazione della misura di sicurezza della casa di lavoro senza alcuna limitazione attinente alle condizioni di invalidita' al lavoro del soggetto alla stessa sottoposto, sollevata in riferimento all'art. 38 della Costituzione, e gia' decisa con la sentenza della Corte costituzionale n. 167 del 1972.
E' non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 216 c.p., sollevata in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione. L'art. 216 c.p., non viola il principio di eguaglianza ne' sotto il profilo generico, ne' sotto il profilo specifico. L'assoggettamento degli invalidi al lavoro alla disciplina giuridica dell'art. 216 c.p. non e' in antitesi con la tutela costituzionale prevista per i lavoratori invalidi e in quanto tali. Il concetto di eguaglianza non puo' essere generalizzato oltre i limiti costituzionali che ad esso sono propri. Nell'invalido al lavoro destinatario della norma impugnata, e' presente una situazione soggettiva, tipica e assorbente: la condizione di socialmente pericoloso a causa e per effetto della sua condotta antigiuridica. Da cio' consegue che non sussiste una identita' di situazione giuridica, per effetto di una comune condizione fisica, tra l'invalido al lavoro socialmente pericoloso e l'invalido che tale non e'. Non viola il principio di eguaglianza sottoporre allo stesso trattamento - casa di lavoro - tanto soggetti validi, quanto soggetti invalidi. Presupposto della misura di sicurezza e' la pericolosita' sociale del soggetto, pericolosita' che puo' in concreto sussistere nonostante lo stato di invalidita'.
E' non fondata la questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 27, comma terzo, e 38 della Cost., dell'art. 216 del cod. pen., per avere il legislatore omesso di distinguere tra soggetti abili e soggetti inabili al lavoro, quando dispone che tutti coloro che si trovano nelle condizioni previste nei nn. 1, 2, 3, debbono essere assegnati ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro. Il presupposto delle misure di sicurezza, nella loro diversa articolazione, poggia sulla pericolosita' sociale del soggetto al quale vengono applicate. Soggetti nella fisica impossibilita' di agire, ben possono svolgere attivita' promotrice e direttiva nel complesso quadro delle manifestazioni penalmente illecite. La pericolosita' sociale di tali soggetti non puo' non essere prevenuta. Se il lavoro e' il mezzo piu' idoneo per conseguire il riadattamento sociale del soggetto, tuttavia l'impossibilita' fisica di questi a potervi attendere, non puo' far venir meno il fondamento giuridico su cui poggia la misura di sicurezza detentiva. Rientra nel quadro delle attribuzioni della direzione generale degli istituti di prevenzione e pena porre a disposizione del soggetto aspetti diversi ed articolati di attivita' e di trattamento, proprie di una comunita' di lavoro autonomamente organizzata. L'inabile al lavoro, colpito da una delle due misure di sicurezza, non perde i diritti previsti dall'art. 38, riconosciuti a qualsiasi cittadino, ove ne ricorrano i presupposti.