Articolo 372 - CODICE PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, perché formulate in modo ancipite, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Verona in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost. - dell'art. 372 cod. pen., nella parte in cui non contiene una disposizione identica a quella dettata dal secondo comma dell'art. 371-bis cod. pen. o, in alternativa, dell'art. 371-bis, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non si applica anche ai reati di cui all'art. 372. Nel censurare la mancanza, per il reato di falsa testimonianza, di una previsione omologa alla sospensione del procedimento penale fino alla definizione del procedimento in cui sono state rese le false dichiarazioni al pubblico ministero, il rimettente espressamente formula nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione due soluzioni in rapporto di alternatività irrisolta, anziché in rapporto di subordinazione, devolvendo alla Corte costituzionale, con tale modalità di formulazione del petitum, l'impropria competenza di scegliere tra esse. ( Precedenti citati: sentenze n. 22 del 2016, n. 248 del 2014 e n. 198 del 2014; ordinanze n. 18 del 2016 e n. 4 del 2016).
Non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 372 cod. pen. in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, laddove la disposizione denunciata commina il minimo edittale in anni due di reclusione, anziché in altra pena, di eguale specie, ma nella misura più bassa. In relazione all'art. 3 Cost., deve escludersi che la determinazione del minimo edittale per il delitto de quo violi il principio di ragionevolezza o di proporzionalità, in quanto l'inasprimento della pena risulta giustificato dalle esigenze di tutela del corretto svolgimento delle indagini preliminari e per salvaguardare la genuinità della prova. Inoltre l'illecito in questione presenta un disvalore intrinseco che gli attribuisce carattere di gravità, anche se la circostanza oggetto di mendacio o di reticenza non desta particolare allarme sociale. Infatti, la falsa testimonianza turba comunque il normale svolgimento del processo, ne compromette lo scopo che è quello di pervenire a sentenze giuste, costituisce ostacolo all'accertamento giudiziale. La scelta discrezionale del legislatore circa la modulazione del trattamento sanzionatorio, in considerazione del dilagare di un fenomeno criminoso che si intende reprimere, non costituisce, dunque, il frutto di una scelta arbitraria o ingiustificata, anche in riferimento ad altre ipotesi di reato (collocabili nella categoria dei delitti contro l'attività giudiziaria), assimilabili al delitto di falsa testimonianza, quali la frode processuale, il favoreggiamento personale, anche con riferimento alla previsione dettata dal capoverso dell'art. 378 cod. pen., e la simulazione di reato, nonché, con riguardo a fattispecie connotate da maggiore gravità, il delitto di calunnia. Anche la censura mossa con riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost. non è fondata. La disposizione impugnata, prevedendo un significativo divario tra il minimo ed il massimo edittale della pena, consente al giudice di graduare quest'ultima in relazione alla gravità del fatto e, quindi, di adeguare il trattamento punitivo al diverso disvalore delle singole violazioni rientranti nella previsione della norma, così realizzando la finalità rieducativa cui la pena stessa deve tendere. E nella stessa prospettiva, non va trascurato il potere affidato al giudice di riconoscere le circostanze attenuanti e, segnatamente, le attenuanti generiche, così ulteriormente adeguando la misura della pena alla personalità del reo e alla gravità del fatto. Sulle scelte del legislatore in tema di trattamento sanzionatorio, v. citate sentenze n. 161/2009, n. 22/2007, n. 394, n. 229, n. 170, n. 45/2006, n. 325/2005; ordinanze n. 41/2009, n. 52/2008 e n. 438/2001.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 376, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede la ritrattazione come causa di non punibilità per chi, richiesto di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria che agisca di propria iniziativa, abbia reso dichiarazioni false o reticenti. Infatti - posto che non esiste un diritto costituzionale alla ritrattazione delle false dichiarazioni rese nel processo penale, sicché deve riconoscersi in materia un'ampia discrezionalità del legislatore - la sentenza n. 424 del 2000, pronunciandosi su questione analoga, ha già escluso irrazionali contraddizioni tra la disciplina censurata e la disciplina delle dichiarazioni false o reticenti rese al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria che agisca su delega di questi, per le quali, invece, la causa di non punibilità, in caso di ritrattazione, è prevista. - V. citata sentenza n. 101/1999 con la quale è stata estesa la causa di non punibilità della ritrattazione alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria che agisca su delega del p.m.
Occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinche' verifichino se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti. Invero, per effetto della predetta pronuncia della Corte, successiva alla emissione delle ordinanze di rinvio - la quale ha inciso sul quadro normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto 1997, n. 267 con la dichiarazione della illegittimita' costituzionale 'in parte qua', tra l'altro, degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo, e 210 cod. proc. pen. -, qualora il coimputato, che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilita' di altri, in dibattimento rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su tali fatti, si applica la disciplina degli artt. 210 e 513, comma 2, cod. proc. pen., nonche', in mancanza dell'accordo delle parti, il meccanismo delle contestazioni previsto dall'art. 500, commi 2-'bis' e 4, cod. proc. pen..
E' manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost. in relazione agli artt. 371-bis e 372 cod. pen., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60, comma primo, l. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui non consente di applicare le sanzioni sostitutive previste dalla medesima legge al reato di cui all'art. 372 cod. pen. nella sua originaria formulazione, in quanto sono assunti come termini di raffronto fattispecie non omogenee sul piano sanzionatorio (falsa testimonianza e false informazioni al pubblico ministero). - S. nn. 249/1993, 254/1994. red.: S. Di Palma
Mentre nella falsa testimonianza il legislatore da` rilievo di esimente alla ritrattazione, nell'intento di conseguire la giusta definizione del procedimento principale, analogo rilievo non viene ragionevolmente conferito alla ritrattazione nel favoreggiamento personale, in cui le false dichiarazioni del favoreggiatore, nonostante la successiva ritrattazione, hanno gia` costituito intralcio all'indagine. Ne` all'identificazione del fine evidenziato e` di ostacolo la circostanza che la giurisprudenza ravvisi il reato di falsa testimonianza in luogo di quello di favoreggiamento, nel caso di mendaci dichiarazioni fiancheggiatrici rese all'autorita` giudiziaria, poiche` non compete alla Corte stabilire se in tale ipotesi ricorra il concorso formale di reati o quello apparente di norme incriminatrici. Conseguentemente non e` fondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimita` costituzionale dell'art. 376 c.p. nella parte in cui prevede l'esimente della ritrattazione per il solo reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) e non anche per quello di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).
Pur dovendosi riconoscere il rilievo costituzionale della librta` di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della liberta` di informazione quale risvolto privo della manifestazione del pensiero, nonche` il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle liberta`, l'interesse protetto dall'art. 21 Costituzione non puo` dirsi in astratto superiore a quello parimenti fondamentale della giustizia e quindi nel conflitto tra tali due valori deve essere il legislatore, nella sua discrezionalita`, a realizzare la ragionevole ed equilibrata composizione degli opposti interessi. (Infondatezza della questione di legittimita` costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, l. 3 febbraio 1963 n. 69, 348, secondo comma e 351 c.p.p., nella parte in cui esclude il giornalista dall'esenzione di testimoniare e dell'art. 372 c.p. nella parte in cui punisce chi avendo diffuso notizie attraverso la stampa e altri mezzi di comunicazione si rifiuta di deporre sulla fonte di quelle notizie, in riferimento all'art. 21 della Costituzione).
Dalla subordinazione della disciplina della costituzione di parte civile a quella propria del giudizio penale, ai cui fini e' preordinato l'obbligo dell'offeso dal reato (anche se agisca in tale sede per il perseguimento della pretesa riparatoria) di rendere la testimonianza, nei casi di legge anche sotto vincolo di giuramento, quando sia informato dei fatti per i quali si procede, discende il dovere imposto al soggetto stesso, sanzionato penalmente nell'art. 372 del codice penale, di dire la verita' e null'altro che la verita'. Cio' eventualmente anche in merito a circostanze di fatto che possano influire in senso sfavorevole sulla decisione circa la pretesa riparatoria. E, considerandosi che il soggetto costituitosi parte civile e' indicato talvolta come il principale e finanche come l'unico testimone per la ricostruzione storica dei fatti dedotti nell'imputazione, non e' da ritenere che i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3) e di difesa (art. 24, secondo comma Cost.), possano giustificare il diniego da parte di lui di cooperare all'accertamento dei fatti predetti, ponendosi su piano diverso da quello di altri soggetti sui quali grava il dovere della testimonianza, secondo le norme dettate al riguardo dal codice di procedura penale.