Articolo 210 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 210 cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non consente al giudice del dibattimento di decidere le forme in cui assumere il dichiarante, se, cioè, nelle forme dell'esame di persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato anziché come testimone. Il rimettente afferma che, dovendo sentire come testi persone raggiunte da indizi di reità ma non formalmente indagate, sarebbe poi, costretto, in sede di decisione, a dichiarare inutilizzabili le loro dichiarazioni, poiché, da un lato, la sanzione di inutilizzabilità di cui all'art. 63, comma 2, cod. proc. pen. prescinde dall'adempimento postumo dell'iscrizione del dichiarante nel registro delle notizie di reato, e, dall'altro, l'art. 210 cod. proc. pen. può applicarsi solo se la persona da esaminare ha formalmente assunto la qualità di indagato. Così facendo, però, il rimettente non tiene conto del collegamento sistematico tra l'art. 63, comma 2, e gli artt. 197, comma 1, lettere a) e b), e 210 del codice di rito: il primo attua una tutela anticipata delle incompatibilità con l'ufficio di testimone previste dall'art. 197 suddetto nei confronti dell'imputato in procedimento connesso o di reato collegato, incompatibilità che, a loro volta, impongono che l'esame del soggetto avvenga nelle forme di cui all'art. 210 cod. proc. pen. Perciò delle due l'una: o si ritiene che l'inutilizzabilità ex art. 63, comma 2, cod. proc. pen. colpisca anche le dichiarazioni rese da chi non è mai stato formalmente indagato, ma allora il giudice ha il potere-dovere di sentire tale soggetto nelle forme dell'art. 210 cod. proc. pen., oppure si nega al giudice tale potere-dovere, ma allora bisogna ritenere che anche la inutilizzabilità non può prescindere dalla formale assunzione della qualità di indagato, il che farebbe cadere uno dei presupposti delle censure sollevate. La combinazione dei due assunti rende contraddittorie le premesse interpretative. >-Sulla manifesta inammissibilità per contraddittorietà delle premesse interpretative v., citate, ex plurimis , ordinanza n. 127/2009, n. 427 e n. 218/2008.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 61, 197, comma 1, lettera a), e 210 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione nella parte in cui prevedono l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, e la conseguente facoltà di non rispondere, delle persone già indagate per il medesimo fatto, ma non in concorso con l'imputato, la cui posizione sia stata successivamente archiviata perché ritenute estranee al fatto. Valgono, infatti, anche nella specie ? nell'ipotesi, cioè, di un provvedimento di archiviazione pronunciato a norma dell'art. 408 del codice di procedura penale, nella grande varietà di situazioni che possono in concreto costituirne il presupposto ? le medesime considerazioni già svolte ? nell'ordinanza n. 76 del 2003, di manifesta inammissibilità ? a proposito di una questione avente ad oggetto la disciplina dell'incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone di un soggetto nei cui confronti sia stato pronunciato provvedimento di archiviazione a norma dell'art. 411 del codice di procedura penale in relazione ad un reato connesso o collegato a quello per cui si procede, tra le tante situazioni non omogenee a cui questa disposizione si riferisce e che potrebbero richiedere discipline differenziate: attesa la natura sostanzialmente unitaria dell'istituto dell'archiviazione previsto dagli articoli 408 e 411 del codice di procedura penale, la soluzione di una relativa questione di legittimità costituzionale comporterebbe la definizione di una disciplina non circoscritta a situazioni specifiche, ma correlata agli altri casi di archiviazione presenti nell'ordinamento processuale, attraverso una complessa ed analitica ricostruzione che implicherebbe lo svolgimento di funzioni e l'adozione di scelte discrezionali che rientrano nelle attribuzioni del legislatore.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 500, comma 4, 513 e 210, comma 5, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 111, quinto comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l?acquisizione e l?utilizzabilità dei verbali delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nei casi in cui risulti provato che il testimone ha reso in dibattimento dichiarazioni false o reticenti. E? stato, infatti, già escluso, in precedente scrutinio di analoga questione, che l?art. 500, comma 4, del codice di procedura penale contrasti con i parametri costituzionali evocati ? chiarendosi, in particolare, che l?art. 111, quinto comma, della Costituzione, nel prefigurare una deroga al principio della formazione della prova in contraddittorio ?per effetto di provata condotta illecita?, abbia inteso riferirsi alle sole ?condotte illecite? poste in essere ?sul? dichiarante e non anche a quelle realizzate ?dal? dichiarante medesimo in occasione dell?esame in contraddittorio; e rilevandosi, altresì, come l?eterogeneità delle situazioni poste a confronto renda palese l?insussistenza della violazione dell?art. 3 della Costituzione ?; né il giudice 'a quo' prospetta argomenti ulteriori e diversi rispetto a quelli già esaminati. ? In termini, citata l?ordinanza n. 453/2002.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 197, 197-bis e 210 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui garantiscono il diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso, separatamente giudicato per lo stesso fatto con sentenza non ancora irrevocabile, che abbia in precedenza reso dichiarazioni 'erga alios', e però non prevedono che il rifiuto di sottoporsi all'esame sia penalmente sanzionato al pari del rifiuto di rispondere opposto dal testimone. La disciplina censurata è, infatti, frutto delle scelte discrezionali, non irragionevolmente esercitate, con cui il legislatore ha individuato, in ossequio al principio 'nemo tenetur se detegere', situazioni nelle quali il diritto al silenzio, inteso nella sua dimensione di "corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa", va garantito malgrado dal suo esercizio possa conseguire l'impossibilità di formazione della prova testimoniale. ? In tema di precedente questione di legittimità costituzionale dell'art. 210 del codice di procedura penale citata l'ordinanza n. 261/2001, di restituzione degli atti. ? In termini, citate le ordinanze n. 291 e 451/2002.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, del codice di procedura penale (in relazione agli artt. 197, comma 1, lettera b, e 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.), censurato, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che chi ha in precedenza reso dichiarazioni sulla responsabilità dell'imputato in qualità di persona informata sui fatti, e solo successivamente ha assunto la qualità di imputato di un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., possa essere sentito come testimone in dibattimento, a prescindere dall'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. La normativa, non implausibilmente interpretata dal rimettente, nel senso che sussista l'obbligo di dare l'avvertimento circa la facoltà di non rispondere all'imputato di tale tipo di reato, non viola né il principio di eguaglianza, non rilevando la circostanza che il soggetto abbia in precedenza reso dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui nella diversa qualità di persona informata sui fatti, né l'art. 111, comma quarto, Cost., perché la regola della formazione della prova in contraddittorio non può vanificare l'esercizio del diritto al silenzio, che è espressione del principio 'nemo tenetur se detegere'. Né, infine non sussiste alcuna violazione dell'art. 112 Cost., posto che le norme che assicurano il diritto al silenzio dell'imputato di reato collegato o in procedimento connesso, che non si sia determinato per consapevole e libera scelta a rendere dichiarazioni 'erga alios', non incidono in alcun modo sull'esercizio dell'azione penale, tanto più nel caso in cui il pubblico ministero abbia già formulato la richiesta di rinvio a giudizio e il procedimento si trovi nella fase dibattimentale. - V. l'ordinanza n. 291/2002, citata a proposito del principio 'nemo tenetur se detegere', inteso come «corollario essenziale del diritto di difesa».
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 210, comma 6, del codice di procedura penale, censurato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 111, commi primo, terzo, quarto, prima parte e sesto della Costituzione, nella parte in cui prevede che, nel caso di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, in unità di tempo e di luogo, il soggetto che abbia assunto la qualità di testimone "assistito", non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si è proceduto nei suoi confronti. Nella fattispecie, l'estensione al testimone "assistito" del doppio livello di garanzie previsto per il testimone ordinario dagli artt. 198, comma 2, e 63 cod. proc. pen., è coerente con la scelta del legislatore, il quale, nel dare attuazione alla riforma dell'art. 111 Cost., con la legge n. 63 del 2001, ha ridotto la sfera del diritto al silenzio dell'imputato chiamato a rendere dichiarazioni sul fatto altrui, istituendo tale nuova figura di testimone. Del resto il principio 'nemo tenetur se detegere' è un corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa, destinato a prevalere anche ove dovesse in concreto comportare l'impossibilità di acquisire una prova nella peculiare situazione di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre.
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 64, 503 e 513 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio del coimputato anche rispetto a posizioni altrui e non consente la sua sostanziale equiparazione al testimone, legittimando l'introduzione della contestazione a fini probatori. Infatti successivamente all'ordinanza di rimessione, la legge 1° marzo 2001, n. 63 ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare con riferimento alle ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l'ufficio di testimone, sicché il giudice rimettente deve verificare se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio 'a quo'.
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale del combintato disposto degli artt. 1, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, e 210, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 111 e 112, della Costituzione, nella parte in cui, da un lato, continua a prevedere la facoltà di non rispondere in capo a chi viene esaminato ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., quantomeno sui fatti relativi alla responsabilità altrui, e, dall'altro, impedisce, all'esito dell'esercizio di tale facoltà, l'acquisizione ed utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese dallo stesso. Infatti successivamente all'ordinanza di rimessione, è entrata in vigore la legge 1° marzo 2001, n. 63, la quale ha profondamente innovato la disciplina sia della formazione della prova in dibattimento, sia del diritto al silenzio, incidendo direttamente, tra l'altro, sul campo di applicazione dell'art. 210 cod. proc. pen., sicché spetta al giudice 'a quo' verificare la perdurante rilevanza della questione.
Restituzione ai giudici rimettenti, affinché valutino la perdurante rilevanza, degli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera a), 210, e 513 del codice di procedura penale, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101, 111 e 112 della Costituzione, concernenti il diritto al silenzio riconosciuto alle persone imputate o giudicate in un procedimento connesso che abbiano in precedenza reso dichiarazioni accusatorie, in relazione al regime di acquisizione e utilizzazione in dibattimento delle precedenti dichiarazioni. Infatti, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63, che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, da un lato modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l?art. 197-bis cod. proc. pen. - che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l?ufficio di testimone - dall?altro intervenendo sugli artt. 500, 513 e 526 cod. proc. pen.. M.F.
Restituzione ai giudici rimettenti, affinché valutino la perdurante rilevanza, degli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettere a) e b), e 210, comma 4, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 111 e 112 della Costituzione, nella parte in cui escludono la possibilità di assumere come testimoni, riconoscendo agli stessi la facoltà di astenersi dal rispondere, i coimputati e gli imputati di reati connessi o collegati su fatti concernenti la responsabilità di altri sui quali essi abbiano in precedenza liberamente risposto. Infatti, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63, che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l?art. 197-bis cod. proc. pen., che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l?ufficio di testimone. M.F.