Articolo 500 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È infondata l'eccezione, formulata dalla difesa erariale, di inammissibilità per difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 2, cod. proc. pen., impugnato, in riferimento all'art. 111, quinto comma, Cost., in quanto consente al giudice di valutare le dichiarazioni lette per la contestazione solo ai fini del giudizio sulla credibilità del testimone, e non anche ai fini della prova della sua intimidazione o corruzione affinché non deponga o deponga il falso, prova che, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 500 cod. proc. pen., legittima l'acquisizione al fascicolo del dibattimento e la conseguente utilizzazione ai fini della decisione delle dichiarazioni precedentemente rese. Infatti, la questione ha come termine di riferimento una previsione normativa unitaria, sicché la circostanza che, nel giudizio a quo , venga in considerazione solo una delle fattispecie alternative da essa assoggettate al medesimo regime - quella della sottoposizione del teste a violenza o minaccia, e non anche l'altra, dell'offerta o della promessa di denaro o di altra utilità - non comporta che l'eventuale pronuncia di accoglimento debba essere "ritagliata", per ragioni di rilevanza, sul solo caso concreto oggetto del giudizio principale.
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 2, cod. proc. pen., impugnato, in riferimento all'art. 111, quinto comma, Cost., in quanto consente al giudice di valutare le dichiarazioni lette per la contestazione solo ai fini del giudizio sulla credibilità del testimone, e non anche ai fini della prova della sua intimidazione o corruzione affinché non deponga o deponga il falso, prova che, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 500 cod. proc. pen., legittima l'acquisizione al fascicolo del dibattimento e la conseguente utilizzazione ai fini della decisione delle dichiarazioni precedentemente rese. Il rimettente, omettendo di ponderare adeguatamente il quadro normativo di riferimento, individua erroneamente nel comma 2 dell'art. 500 cod.proc.pen. la disposizione oggetto di censura, anziché nelle previsioni dei commi 4 e 5 dello stesso articolo. Infatti, la regola dettata dal comma 2 - che consente di valutare le dichiarazioni lette per la contestazione solo ai fini della credibilità del teste - attiene al processo principale, che concerne l'accertamento della responsabilità dell'imputato; di contro, il problema di costituzionalità sollevato concerne la regola probatoria applicabile nel procedimento incidentale finalizzato all'accertamento della condotta di intimidazione o subornazione del teste, quale presupposto per l'acquisizione delle sue dichiarazioni predibattimentali. La disciplina di tale subprocedimento, che inerisce alla prova di un fatto da cui dipende l'applicazione di norme processuali, è specificamente dettata dai commi 4 e 5 dell'art. 500 cod.proc. pen., dato normativo con cui il rimettente - che si duole delle regole di esclusione probatoria valevoli nel processo principale onde garantire l'impermeabilità del dibattimento rispetto ad atti unilateralmente raccolti nel corso delle indagini preliminari - avrebbe dovuto invece, in ipotesi, misurarsi.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111, quinto comma, della Costituzione, dell?art. 500, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che possano essere acquisite al fascicolo per il dibattimento le dichiarazioni rese dal testimone nel corso delle indagini preliminari, contenute nel fascicolo del pubblico ministero, quando il testimone medesimo, esaminato in dibattimento, abbia reso per sua scelta dichiarazioni palesemente false o reticenti. Invero, la questione è stata già scrutinata dalla Corte in rapporto a tutti i parametri evocati, né il giudice 'a quo' prospetta argomenti ulteriori o diversi da quelli già esaminati. - Cfr. ordinanze citate nn. 453 e 518/2002.
E? manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., degli artt. 511, comma 2, 525 e 526 cod. proc. pen., per la lamentata irragionevole diversità del regime della ripetizione delle prove orali già assunte nell'ipotesi di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale rispetto alla disciplina dei casi previsti dall'art. 190-bis cod. proc. pen., nonché per contrasto con il principio di ragionevole durata del processo, in quanto l?ordinanza di rimessione è del tutto priva della descrizione della fattispecie oggetto del giudizio 'a quo' e non contiene alcuna motivazione in ordine alla rilevanza.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione, dell?art. 500 cod. proc. pen. nella parte in cui consente di utilizzare i verbali usati per le contestazioni solo al fine di valutare la credibilità del teste. Successivamente all'ordinanza di rimessione, infatti, questioni identiche sollevate dal medesimo rimettente sono state dichiarate manifestamente infondate, e non risultano profili nuovi rispetto a quelli già valutati con le precedenti pronunce. - V., citata, ordinanza di manifesta infondatezza (con riferimento all?art. 500, commi 2 e 7, cod. proc. pen.) n. 36/2002. - Per ulteriori analoghe questioni aventi ad oggetto le norme impugnate è fatto rinvio alle ordinanze di manifesta infondatezza n. 489/2002 e n. 325/2002 nonché alle ordinanze n. 473/2002, n. 431/2002 e n. 365/2002.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 500, comma 4, 513 e 210, comma 5, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 111, quinto comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l?acquisizione e l?utilizzabilità dei verbali delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nei casi in cui risulti provato che il testimone ha reso in dibattimento dichiarazioni false o reticenti. E? stato, infatti, già escluso, in precedente scrutinio di analoga questione, che l?art. 500, comma 4, del codice di procedura penale contrasti con i parametri costituzionali evocati ? chiarendosi, in particolare, che l?art. 111, quinto comma, della Costituzione, nel prefigurare una deroga al principio della formazione della prova in contraddittorio ?per effetto di provata condotta illecita?, abbia inteso riferirsi alle sole ?condotte illecite? poste in essere ?sul? dichiarante e non anche a quelle realizzate ?dal? dichiarante medesimo in occasione dell?esame in contraddittorio; e rilevandosi, altresì, come l?eterogeneità delle situazioni poste a confronto renda palese l?insussistenza della violazione dell?art. 3 della Costituzione ?; né il giudice 'a quo' prospetta argomenti ulteriori e diversi rispetto a quelli già esaminati. ? In termini, citata l?ordinanza n. 453/2002.
Manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale concernenti i commi 2 e 4 dell'art. 500, del codice di procedura penale, censurati - in riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione - rispettivamente, nella parte in cui non prevedono che le dichiarazioni lette al dibattimento al teste per le contestazioni, valutabili ai fini della credibilità del teste stesso, possano essere acquisite e valutate anche ai fini della prova dei fatti in esse affermati e nella parte in cui non prevedono che le dichiarazioni rese dai testimoni nella fase delle indagini preliminari, e successivamente utilizzate per le contestazioni, possano essere acquisite al fascicolo per il dibattimento e valutate quali fonti di prova. Trattasi infatti di questioni già dichiarate manifestamente infondate, in ordine alle quali i remittenti non prospettano argomenti nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte. - V. le ordinanze n. 36 e n. 365/2002, quali precedenti richiamati.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 2, del codice di procedura penale, censurato, in relazione agli artt. 2, 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone ed utilizzate per la contestazione possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento ed utilizzate dal giudice quale prova dei fatti. La questione è già stata scrutinata, in rapporto a tutti i parametri evocati, in base a considerazioni che assorbono anche gli ulteriori profili di illegittimità adombrati dal rimettente, tramite il riferimento - peraltro del tutto generico - ad una supposta violazione «dei diritti inviolabili», dei principî «della giurisdizione penale e della legalità». - Cfr. l'ordinanza n. 36/2002, citata quale precedente.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 4, del codice di procedura penale, denunziato, in riferimento agli artt. 3 e 111, quinto comma, della Costituzione, in quanto la norma consente di avvalersi in modo pieno delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone, ed utilizzate per la contestazione, solo nei casi di subornazione o di violenza o minaccia esercitate sul teste e non anche quando si ravvisino, nella deposizione dibattimentale del testimone stesso, gli estremi del delitto di falsa testimonianza. La norma rappresenta diretta attuazione dell'art. 111, quinto comma, Cost., il quale prefigura una deroga al principio della formazione della prova in contraddittorio «per effetto di provata condotta illecita», formula nella quale è da escludere che rientri oltre alle condotte illecite poste in essere «sul» dichiarante (quali la violenza, la minaccia o la subornazione), anche quelle realizzate «dal» dichiarante stesso (quale, 'in primis', la falsa testimonianza, anche nella forma della reticenza), poiché la «la condotta illecita» reca impedimento all'esplicazione del contraddittorio, inteso come metodo di formazione della prova, mentre l'autonoma scelta del teste di dichiarare il falso in dibattimento (come pure di tacere) non incide, di per sé, sulla lineare esplicazione di esso. Inoltre, l'eterogeneità delle situazioni poste a confronto, trattandosi, da un lato, di intimadazione o subornazione che coarta od orienta 'ab externo' l'atteggiamento dibattimentale del testimone, e, dall'altro, di libera scelta del teste di rendere dichiarazioni non veritiere o di tacere in dibattimento, rende palese l'insussistenza della dedotta violazione dell'art. 3 Cost.
Manifesta inammissibilità - per totale difetto di motivazione in punto di non manifesta infondatezza, avendo il giudice 'a quo' rinviato integralmente ad altra ordinanza, non trasmessa con l'atto di rimessione - della questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 2, del codice di procedura penale, censurato, in riferimento agli artt. 3, 111, primo e quarto comma, 112 e 24, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni lette per le contestazioni possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate come prova dei fatti in esse affermati.