Articolo 513 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E? manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 111, terzo e quarto comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell?art. 513 del codice di procedura penale, «nel testo anteriore alle modifiche apportate con la legge» n. 63 del 2001, «così come integrato dalla sentenza 361/98 della Corte Costituzionale», dell?art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, e dell?art. 26, comma 4, della legge 1° marzo 2001, n. 63, nella parte in cui prevedono che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o nella udienza preliminare da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all?esame dell?imputato o del suo difensore, se acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000, sono valutate solo se la loro attendibilità è confermata da altri elementi di prova assunti o formati con diverse modalità. Identiche questioni sono già state dichiarate manifestamente infondate e non vengono addotti argomenti nuovi o diversi da quelli già esaminati. - Sulla disciplina transitoria di cui all?art. 26, comma 4, legge 1 marzo 2001, n. 63, v. la citata ordinanza n. 64/2003. - Sull?applicazione della disciplina del giusto processo ai procedimenti penali in corso, v. la citata sentenza n. 381/2001 e la citata ordinanza 311/2002.
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111, quarto comma, della Costituzione, dell?art. 513, commi 2 e 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui, (nella ipotesi rappresentata dalla circostanza che il procedimento, dapprima cumulativo a carico di due minorenni coimputati, aveva visto uno dei due rendere dichiarazioni auto ed etero-accusatorie nel corso della comune udienza preliminare, e poi, a seguito di separazione, avvalersi della facoltà di non rispondere), non prevede, nell?ipotesi testé rappresentata, la lettura e, quindi, la utilizzazione processuale delle dichiarazioni precedentemente rese nel corso della udienza preliminare. Il giudice ?a quo?, infatti, opera una parziale ricostruzione del quadro normativo, poiché non ha considerato che l?art. 514, comma 1, del codice di rito, nello stabilire il principio generale del divieto di letture, quale veicolo di utilizzazione processuale degli atti, salvo le ipotesi espressamente previste, ha inserito, nelle deroghe, proprio il caso delle dichiarazioni rese nella udienza preliminare ?nelle forme previste dagli artt. 498 e 499 cod. proc. pen.? Inoltre, compie una erronea comparazione di istituti (utilizzazione mediante lettura tra le dichiarazioni rese nel corso della udienza preliminare con forme diverse da quelle dibattimentali e le dichiarazioni acquisite nel corso dell?incidente probatorio) fra loro non omologabili sotto il profilo strutturale e funzionale. Infatti, alla diversità delle forme di assunzione si coniuga la differente prospettiva in cui esse si collocano nella dinamica processuale: mentre, invero, l?incidente probatorio è istituto che si proietta verso l?utilizzazione dibattimentale, l?interrogatorio, assunto con le forme ordinarie nel corso dell?udienza preliminare è, per sua natura, destinato a produrre i suoi effetti all?interno di quella fase. Ove, invece, l?interrogatorio sia stato assunto con forme tipiche del dibattimento (e, quindi, a tale fase idealmente e formalmente coeso) è comprensibile il diverso regime di utilizzazione mediante lettura.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 500, comma 4, 513 e 210, comma 5, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 111, quinto comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l?acquisizione e l?utilizzabilità dei verbali delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nei casi in cui risulti provato che il testimone ha reso in dibattimento dichiarazioni false o reticenti. E? stato, infatti, già escluso, in precedente scrutinio di analoga questione, che l?art. 500, comma 4, del codice di procedura penale contrasti con i parametri costituzionali evocati ? chiarendosi, in particolare, che l?art. 111, quinto comma, della Costituzione, nel prefigurare una deroga al principio della formazione della prova in contraddittorio ?per effetto di provata condotta illecita?, abbia inteso riferirsi alle sole ?condotte illecite? poste in essere ?sul? dichiarante e non anche a quelle realizzate ?dal? dichiarante medesimo in occasione dell?esame in contraddittorio; e rilevandosi, altresì, come l?eterogeneità delle situazioni poste a confronto renda palese l?insussistenza della violazione dell?art. 3 della Costituzione ?; né il giudice 'a quo' prospetta argomenti ulteriori e diversi rispetto a quelli già esaminati. ? In termini, citata l?ordinanza n. 453/2002.
Manifesta inammissibilità, per prospettazione ancipite delle censure da parte del giudice 'a quo', della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35), denunziato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella sua totalità, ovvero «nella sola parte» in cui limita la valutazione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato e del suo difensore, a quelle già acquisite al fascicolo del dibattimento, «ovvero», ancora, dell'art. 513 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 111 Cost. - V., per identica questione, l'ordinanza citata n. 88/2002; cfr., 'ex plurimis', ordinanze citate n. 420/2001, n. 78 e n. 418/2000 nonché n. 378/1998.
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 64, 503 e 513 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio del coimputato anche rispetto a posizioni altrui e non consente la sua sostanziale equiparazione al testimone, legittimando l'introduzione della contestazione a fini probatori. Infatti successivamente all'ordinanza di rimessione, la legge 1° marzo 2001, n. 63 ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare con riferimento alle ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l'ufficio di testimone, sicché il giudice rimettente deve verificare se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio 'a quo'.
Manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35) e dell'art. 513 cod. proc. pen., sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, con riguardo alla disciplina (in via transitoria, contenuta nella prima delle due norme) della utilizzabilità delle dichiarazioni precedentemente rese da imputati in procedimenti connessi che rifiutino di sottoporsi all'esame dibattimentale, in quanto limitata alle sole dichiarazioni già acquisite al fascicolo del dibattimento (alla data di entrata in vigore della legge n. 35 del 2000). Si oppone, infatti, allo scrutinio del merito, la prospettazione in modo ancipite delle questioni, che si presentano in evidente rapporto di reciproca alternatività, avuto riguardo agli effetti conseguenti agli interventi richiesti: da un parte, l'espunzione, dal regime transitorio, di qualsiasi possibilità di utilizzare le dichiarazioni acquisite e, dall'altra, all'opposto l'estensione dell'operatività del regime transitorio. - Per la prospettazione di questioni in modo ancipite, v. anche ordinanze n. 420/2001, n. 78 e n. 418/2000, n. 378/1998 (qui richiamate).
Restituzione ai giudici rimettenti, affinché valutino la perdurante rilevanza, degli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera a), 210, e 513 del codice di procedura penale, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101, 111 e 112 della Costituzione, concernenti il diritto al silenzio riconosciuto alle persone imputate o giudicate in un procedimento connesso che abbiano in precedenza reso dichiarazioni accusatorie, in relazione al regime di acquisizione e utilizzazione in dibattimento delle precedenti dichiarazioni. Infatti, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63, che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, da un lato modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l?art. 197-bis cod. proc. pen. - che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l?ufficio di testimone - dall?altro intervenendo sugli artt. 500, 513 e 526 cod. proc. pen.. M.F.
Restituzione degli atti al giudice rimettente per il riesame della rilevanza, in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 210, comma 4, e 513 cod. proc. pen., denunziati, in riferimento agli artt. 3, 101 e 112 della Costituzione, nella parte in cui consentono all?imputato - che rivesta anche la qualità di persona offesa, nell?ambito dello stesso procedimento, in relazione ad un distinto capo di imputazione - di non rispondere alle domande sulle circostanze relative al reato di cui è persona offesa. Infatti, successivamente all?ordinanza di rimessione è intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63, la quale ha profondamente innovato la disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, incidendo, tra l?altro, sul campo di applicazione delle disposizioni oggetto dell?impugnativa. A.M.M.
Restituzione degli atti ai giudici rimettenti in relazione alle questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 513, commi 1 e 2, del codice di procedura penale (come interpretato o integrato dalla sentenza n. 361/1998; b) dell'art. 1, comma 1 e comma 2, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2; c) dell'art. 210, comma 4, del codice di procedura penale. Infatti, a seguito sia della sopravvenuta legge 1 marzo 2001, n. 63, la quale ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, con la modifica, tra l'altro, delle norme codicistiche censurate, sia delle significative innovazioni apportate, con la legge di conversione (legge 25 febbraio 2000, n. 35), anche al testo della disposizione del decreto-legge oggetto dell'attuale dubbio di costituzionalità, occorre che si verifichi la perdurante rilevanza nei giudizi di provenienza delle stesse questioni.
Restituzione degli atti al giudice rimettente in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera a), 210, comma 4, e 513, comma 2, del codice di procedura penale, censurati nella parte in cui sanciscono l'incompatibilità con l'ufficio di testimone del coimputato nel medesimo reato e dell'imputato in procedimento connesso, prevedono per gli stessi soggetti la facoltà di non rispondere e, nel caso in cui si avvalgano di tale facoltà, non consentono al giudice di dare lettura delle dichiarazioni precedentemente rese in assenza dell'accordo delle parti. Infatti la sopravvenuta legge 1 marzo 2001, n. 63, comportando, tra l'altro, la modifica delle disposizioni oggetto della censura, impone la verifica sulla persistente rilevanza della questione nel giudizio 'a quo'.