Articolo 503 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 503, comma 5, cod. proc. pen., va rigettata l'eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, fondata sul duplice rilievo che il giudice a quo avrebbe omesso, da un lato, di indicare l'incidenza sul quadro probatorio complessivo degli interrogatori acquisiti e, dall'altro, di specificare se per tali atti fosse stato dato l'avviso di cui all'art. 64, comma 3, lett. c ) cod. proc. pen. Il primo rilievo attiene, infatti, al merito della res iudicanda , laddove la questione di costituzionalità investe, invece, il profilo preliminare, di ordine processuale, relativo all'utilizzazione nei confronti dei coimputati degli atti acquisiti secondo le modalità sopra indicate. La circostanza, poi, che le dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato siano state utilizzate per le contestazioni senza alcuna eccezione o rilievo d'ufficio, rende implicito l'avvenuto accertamento, da parte del rimettente, dell'avvenuta formulazione dell'avviso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c ) cod. proc. pen.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 503, comma 6, cod. proc. pen., va rigettata l'eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza, fondata sul duplice rilievo che il giudice a quo avrebbe omesso, da un lato, di indicare l'incidenza sul quadro probatorio complessivo degli interrogatori acquisiti e, dall'altro, di specificare se per tali atti fosse stato dato l'avviso di cui all'art. 64, comma 3, lett. c ) cod. proc. pen. Il primo rilievo attiene, infatti, al merito della res iudicanda , laddove la questione di costituzionalità investe, invece, il profilo preliminare, di ordine processuale, relativo all'utilizzazione nei confronti dei coimputati degli atti acquisiti secondo le modalità sopra indicate. La circostanza, poi, che le dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato siano state utilizzate per le contestazioni senza alcuna eccezione o rilievo d'ufficio, rende implicito l'avvenuto accertamento, da parte del rimettente, dell'avvenuta formulazione dell'avviso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c ) cod. proc. pen.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 5, cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost., in quanto l'interpretazione della disciplina censurata offerta dal giudice a quo si fonda sull'erronea premessa ermeneutica secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi, rese dall'imputato prima del giudizio ed utilizzate per le contestazioni, assumano, una volta acquisite al fascicolo per il dibattimento, piena efficacia probatoria anche nei confronti dei coimputati. Al contrario, una lettura conforme al principio del contraddittorio ed esigenze di coerenza sistematica rispetto alla regolamentazione complessiva della materia racchiusa nel codice di rito (a seguito anche delle modifiche apportate dalla legge n. 63 del 2001 sul giusto processo), impongono di ritenere che il recupero probatorio per effetto delle contestazioni, prefigurato dal comma 5 dell'art. 503 cod. proc. pen., non operi ai fini dell'affermazione della responsabilità di soggetti diversi dal dichiarante. Con la conseguenza che - anche in forza del rinvio operato dal comma 4 all'art. 500, comma 2, cod. proc. pen. - le dichiarazioni rese dall'imputato nelle fasi anteriori al giudizio possono essere utilizzate, per ciò che concerne la responsabilità dei coimputati, ai soli fini di valutare la credibilità del dichiarante, salvo che gli stessi coimputati prestino consenso all'utilizzazione piena ovvero ricorrano le circostanze indicate dall'art. 500, comma 4.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 500, comma 6, cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, quarto comma, Cost., in quanto l'interpretazione della disciplina censurata offerta dal giudice a quo si fonda sull'erronea premessa ermeneutica secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi, rese dall'imputato prima del giudizio ed utilizzate per le contestazioni, assumano, una volta acquisite al fascicolo per il dibattimento, piena efficacia probatoria anche nei confronti dei coimputati. Al contrario, una lettura conforme al principio del contraddittorio ed esigenze di coerenza sistematica rispetto alla regolamentazione complessiva della materia racchiusa nel codice di rito (anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 63 del 2001 sul giusto processo), impongono di ritenere che il recupero probatorio per effetto delle contestazioni, prefigurato dal comma 5 dell'art. 503 cod. proc. pen. (espressamente applicabile anche per le dichiarazioni rese a norma degli artt. 294, 299, comma 3- ter , 391 e 422), non operi ai fini dell'affermazione della responsabilità di soggetti diversi dal dichiarante. Con la conseguenza che - anche in forza del rinvio operato dal comma 4 all'art. 500, comma 2, cod. proc. pen. - le dichiarazioni rese dall'imputato nelle fasi anteriori al giudizio possono essere utilizzate, per ciò che concerne la responsabilità dei coimputati, ai soli fini di valutare la credibilità del dichiarante, salvo che gli stessi coimputati prestino consenso all'utilizzazione piena ovvero ricorrano le circostanze indicate dall'art. 500, comma 4.
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 64, 503 e 513 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio del coimputato anche rispetto a posizioni altrui e non consente la sua sostanziale equiparazione al testimone, legittimando l'introduzione della contestazione a fini probatori. Infatti successivamente all'ordinanza di rimessione, la legge 1° marzo 2001, n. 63 ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare con riferimento alle ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l'ufficio di testimone, sicché il giudice rimettente deve verificare se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio 'a quo'.
Deve ordinarsi la restituzione ai giudici 'a quibus' degli atti relativi alle questioni di legittimita' costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111, primo comma, e 112 Cost., nei confronti degli artt. 513, comma 1, 490 e 503, comma 1, cod. proc. pen., per la inutilizzabilita' ai fini della decisione - in essi sancita - in mancanza del consenso degli altri imputati, delle dichiarazioni rese sul fatto altrui dal coimputato contumace, assente, o che rifiuti di sottoporsi all'esame, nonche', in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo comma, Cost., nei confronti della disposizione transitoria dell'art. 6, comma 2, della legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui esclude che le dichiarazioni rese dal coimputato sul fatto altrui possano essere utilizzate, alle condizioni previste dal comma 5 dello stesso art. 6, nel caso in cui, nel giudizio di primo grado, al momento dell'entrata in vigore della legge non ne sia stata disposta la lettura. Le modifiche operate sul quadro normativo, sotto molteplici aspetti, per effetto della sentenza n. 361 del 1998, rendono infatti necessario un riesame, alla luce dello 'ius superveniens', della rilevanza delle questioni nei processi di provenienza. - V. S. n. 361/1998 (gia' citata nel testo).
Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 431, lett. a) e b), 500, 503 e 512 del codice di procedura penale, impugnati, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101 e 112 della Costituzione, nella parte in cui non consentirebbero l'utilizzazione, ai fini dell'accertamento dei fatti in essi affermati, del verbale contenente la denuncia-querela, in caso di decesso del querelante, in quanto basate su un erroneo presupposto interpretativo, poiche', secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, qualora, per fatti o circostanze imprevedibili, risulti l'impossibilita' di ripetizione del contenuto dell'atto di querela, va applicato l'art. 512 del codice di procedura penale, ritenendo ricompresi, nell'ambito degli atti "assunti" dalla polizia giudiziaria, anche quelli semplicemente "ricevuti" dalla stessa, come nel caso della querela. red.: F. Mangano
Manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale prospettata in via del tutto ipotetica, in quanto priva di attualita' e rilevanza nel giudizio a quo. (Nella specie, la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 112 della Costituzione, degli artt. 350, commi 2, 3 e 7, 514, comma 1, e 503, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui escludono l'acquisizione e l'utilizzabilita' delle dichiarazioni rese spontaneamente dall'indagato o assunte alla presenza del difensore dalla P.G., salvo che in sede di esame e contestazioni, viene prospettata in termini di mera eventualita' trattandosi di un caso - quale quello del giudizio 'a quo' - in cui l'istruzione probatoria non e' neanche iniziata. red.: F. Mangano
Restituzione degli atti al giudice a quo perche' riesamini la rilevanza della prospettata questione alla luce della nuova disciplina introdotta, nel senso auspicato dal provvedimento di rimessione, dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 1992, n. 356.
Questione gia' dichiarata non fondata. - S. n. 221/1991.