Articolo 64 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 14, par. 3, lett. g ), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), nella parte in cui non prevede che gli avvisi nei confronti delle persone sottoposte alle indagini, ivi indicati, debbano essere rivolti alla persona cui sia contestato l'illecito amministrativo di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti, o che sia già raggiunta da elementi indizianti di tale illecito, allorché la stessa sia sentita in relazione ad un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b ) cod. proc. pen. Le sanzioni previste dall'art. 75 t.u. stupefacenti - a carico di chi acquisti sostanze stupefacenti per farne uso esclusivamente personale, momento saliente di emersione della strategia volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore e del trafficante - non hanno natura sostanzialmente punitiva secondo i criteri Engel, per cui non attraggono l'intera gamma delle garanzie, sostanziali e processuali, previste dalla Costituzione e dalle carte europee ed internazionali dei diritti per la materia penale, tra cui il "diritto al silenzio". Né l'elevata carica di afflittività delle misure in esame esclude la loro finalità preventiva, o depone univocamente nel senso di una loro natura "punitiva". Peraltro, la natura preventiva di tali "sanzioni" segna anche il limite dei poteri dell'autorità amministrativa nell'esercizio della propria discrezionalità rispetto alla loro irrogazione nel caso concreto. Nell'esercitare, dunque, la propria discrezionalità, il prefetto non potrà non orientarsi alla logica preventiva che sorregge la scelta legislativa. In tali valutazioni dovrà invece restare a priori esclusa ogni impropria logica punitiva, la quale chiamerebbe necessariamente in causa lo statuto costituzionale della responsabilità penale, incluso lo stesso "diritto al silenzio", fatta salva la possibilità di puntuali verifiche relative alla legittimità costituzionale di singoli aspetti della disciplina di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti. ( Precedenti: S. 24/2019 - mass. 42491; S. 109/2016 - mass. 38865 ).
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 3-bis, del codice di procedura penale e 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24, 102 e 111, quinto comma, della Costituzione nella parte in cui, nella fase del giudizio di merito, in mancanza dell'avvertimento previsto dall'art. 64, comma 3, lettera c), del codice di rito (introdotto dalla stessa legge, attuativa della riforma costituzionale sul "giusto processo") non consente l'utilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, rese nel corso delle indagini preliminari, da parte di chi non si sia mai volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore e che, alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 63 del 2001, non siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento, anche quando la prova orale non possa essere espletata in dibattimento per cause obiettive sopravvenute ed imprevedibili, nella specie rappresentate dalla sopravvenuta inidoneità fisica e mentale del dichiarante. Risulta, infatti, senz'altro possibile una diversa interpretazione del quadro normativo attinto dal dubbio di costituzionalità, formulato in una prospettiva interpretativa che, non sostenuta da effettivi argomenti testuali, risulterebbe addirittura paradossale negli effetti (in quanto si verrebbe a delineare non già una disciplina intertemporale, ma un singolare meccanismo che divergerebbe tanto dal precedente sistema, quanto da quello "a regime", con un sistema spurio anche rispetto alla stessa norma transitoria); senza che, d'altra parte, il giudice rimettente, censurando la norma in riferimento all'art. 111 della Costituzione, si sia fatto carico di perscrutare una ? peraltro agevole ? lettura adeguatrice del sistema.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi prescritti debbano essere dati all'imputato anche in sede di esame dibattimentale. Risultano, infatti, possibili letture del sistema diverse da quella posta a base della prospettata questione, e tali da vanificare la premessa su cui essa si radica, potendosi legittimamente far leva, al di là di elementi di carattere formale, su di una interpretazione che consente di rendere applicabile la disciplina degli avvisi anche all'istituto dell'esame, sul presupposto dell'esistenza di una consistente serie di dati sostanziali che depongono per l'appartenenza dei due atti processuali ? l'interrogatorio, da un lato, e l'esame, dall'altro ? ad un medesimo 'genus'.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 210, comma 6, e 197-bis, comma 2, del codice di procedura penale (in relazione agli artt. 197, comma 1, lettera b, e 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.), censurato, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che chi ha in precedenza reso dichiarazioni sulla responsabilità dell'imputato in qualità di persona informata sui fatti, e solo successivamente ha assunto la qualità di imputato di un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., possa essere sentito come testimone in dibattimento, a prescindere dall'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. La normativa, non implausibilmente interpretata dal rimettente, nel senso che sussista l'obbligo di dare l'avvertimento circa la facoltà di non rispondere all'imputato di tale tipo di reato, non viola né il principio di eguaglianza, non rilevando la circostanza che il soggetto abbia in precedenza reso dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui nella diversa qualità di persona informata sui fatti, né l'art. 111, comma quarto, Cost., perché la regola della formazione della prova in contraddittorio non può vanificare l'esercizio del diritto al silenzio, che è espressione del principio 'nemo tenetur se detegere'. Né, infine non sussiste alcuna violazione dell'art. 112 Cost., posto che le norme che assicurano il diritto al silenzio dell'imputato di reato collegato o in procedimento connesso, che non si sia determinato per consapevole e libera scelta a rendere dichiarazioni 'erga alios', non incidono in alcun modo sull'esercizio dell'azione penale, tanto più nel caso in cui il pubblico ministero abbia già formulato la richiesta di rinvio a giudizio e il procedimento si trovi nella fase dibattimentale. - V. l'ordinanza n. 291/2002, citata a proposito del principio 'nemo tenetur se detegere', inteso come «corollario essenziale del diritto di difesa».
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 64, 503 e 513 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio del coimputato anche rispetto a posizioni altrui e non consente la sua sostanziale equiparazione al testimone, legittimando l'introduzione della contestazione a fini probatori. Infatti successivamente all'ordinanza di rimessione, la legge 1° marzo 2001, n. 63 ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare con riferimento alle ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l'ufficio di testimone, sicché il giudice rimettente deve verificare se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio 'a quo'.
Nel vigente codice di procedura penale sono nettamente distinti l'interrogatorio e l'esame dell'imputato. Il primo, regolato dagli artt. 64, 65, 66, 294, 363, 375 e 376, e' reso nella fase delle indagini preliminari ed e' considerato uno strumento di difesa che mira a garantire all'imputato l'esercizio effettivo del relativo diritto. L'esame dell'imputato, previsto nel dibattimento e regolato a sua volta, per i procedimenti innanzi al tribunale e per quelli innanzi al pretore, dagli artt. 567, 208, 503 e 506 cod. proc. pen., e' considerato un mezzo di prova e, per questa sua natura, e' subordinato alla richiesta o al consenso dello stesso imputato perche' possa valutare la convenienza della sua scelta e le conseguenze che ne derivano. Una volta effettuata la richiesta o prestato il consenso, inoltre, l'imputato ha la facolta' di non rispondere a singole domande, ma della mancata risposta si fa menzione nel verbale per l'eventuale apprezzamento da parte del giudice. Secondo la logica del sistema accusatorio, l'iniziativa della prova spetta alle parti: il giudice ha solo un ruolo di controllo e di sussidiarieta', con la facolta' di indicare i temi nuovi e le lacune da colmare.