Articolo 446 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Restituzione degli atti al giudice 'a quo' per la valutazione della persistente rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, come richiamato dall'art. 446, comma 1, dello stesso codice, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non prevede che anche il termine per chiedere l'applicazione della pena decorra dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato. Successivamente all'ordinanza di rimessione, infatti, la legge 12 giugno 2003, n. 134 ha introdotto numerose modifiche all'istituto dell'applicazione della pena, prevedendo, all'art. 5, comma 1, anche una specifica disciplina transitoria.
E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, l'articolo 10, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui dispone l'applicabilità degli articoli 1 e 2 della stessa legge (concernenti gli effetti della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti nel giudizio disciplinare) ai patteggiamenti perfezionatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. Infatti la componente negoziale propria dell'istituto del patteggiamento, postula certezza e stabilità del quadro normativo che fa da sfondo alla scelta compiuta dall'imputato e preclude che successive modificazioni legislative vengano ad alterare 'in pejus' effetti salienti dell'accordo suggellato con la sentenza di patteggiamento. Ed effetto saliente dell'accordo era indubbiamente la garanzia (integrità del diritto di difesa in tutti i successivi giudizi civili, amministrativi e disciplinari nei quali il medesimo fatto avesse avuto rilievo) retroattivamente incisa dalla norma denunciata. - Sull'istituto del patteggiamento v. citate sentenze n. 251/1991, n. 313/1990 e n. 66/1990.
Manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non fa salva nei giudizi in corso, nei quali il rinvio a giudizio è stato disposto prima dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 (2 gennaio 2000), la facoltà dell'imputato di chiedere l'applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Infatti, anche in mancanza di norme transitorie, i nuovi termini di decadenza introdotti da quest'ultima legge non possono riguardare procedimenti nei quali tali termini sarebbero oramai scaduti, perchè altrimenti l'imputato verrebbe privato della possibilità di compiere un atto, prima che fosse scaduto il termine concessogli a tal fine dalla disciplina previgente. - Nello stesso senso, v. ordinanze n. 127/2001, n. 560/2001. M. R.
Manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt.: (a) 33, comma 1, lettera a), della legge 16 dicembre 1999, n. 479, nella parte in cui modifica l'art. 446, comma 1, del codice di procedura penale; (b) 446, comma 1, del codice di procedura penale; (c) 555, comma 2, del codice di procedura penale; (d) 464, comma 3, del codice di procedura penale, tutti nella parte in cui non prevedono che i soggetti rinviati a giudizio in processi transitati per l'udienza preliminare nel periodo compreso fra il 2 giugno 1999 ed il 2 gennaio 2000 possano avvalersi della facoltà di patteggiare la pena sino all'apertura del dibattimento. I giudici 'a quo' fondano infatti le loro censure su un errato presupposto interpretativo, in quanto le innovazioni apportate dalla legge n. 479 del 1999 alla disciplina delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del giudizio ed ai rapporti tra tali fasi processuali hanno determinato la trasformazione del sistema dei termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena e la loro anticipazione a momenti precedenti il dibattimento. Pertanto, anche in mancanza di qualsiasi norma transitoria, si deve escludere che i nuovi termini di decadenza possano riguardare procedimenti nei quali tali termini sarebbero oramai scaduti, essendo già stato disposto il rinvio a giudizio al momento dell'entrata in vigore della legge n. 479 del 1999. - Nello stesso senso, v. ordinanza n. 560/2000. M.R.
Manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale degli articoli 446, comma 1, 446, comma 3, e 557, comma 2, del codice di procedura penale, relative al nuovo sistema dei termini di presentazione della richiesta di applicazione della pena, introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, con riferimento alle ipotesi di rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare e di decreto di giudizio immediato (art. 446), nonche' di citazione a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna (artt. 464 e 557, relativi, rispettivamente, al procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale e monocratica), sollevate, rispettivamente, in riferimento agli articoli 3, 24 e 25, secondo comma, nonche', infine, 3, 24 e 97 della Costituzione, sulla base di un erroneo presupposto interpretativo, perche': determinerebbero una ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati, a seconda che il dibattimento sia stato fissato prima o dopo il 12 gennaio 2000, data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999; precluderebbero una scelta difensiva comportante, tra l'altro, una consistente riduzione di pena; determinerebbero la perdita di un diritto incidente sulla quantita' della stessa e sulla natura e gli effetti penali della condanna; farebbero ricadere sull'imputato le conseguenze del ritardo della celebrazione dei processi penali. Infatti, si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione una disciplina che escludesse retroattivamente l'imputato dall'esercizio di un diritto il cui termine, scaduto in base alla nuova legge (che, nell'ottica di un diverso bilanciamento tra incentivazione dei riti alternativi ed esigenze di piu' economica e razionale utilizzazione delle risorse processuali, ha comportato una radicale trasformazione anche del sistema dei termini di decadenza per la formulazione della richiesta di applicazione della pena, anticipati a momenti precedenti il dibattimento), e' ancora in corso secondo le norme in vigore al momento in cui e' stato disposto il rinvio a giudizio, e sacrificasse cosi' il diritto di difesa, privando l'imputato dei vantaggi processuali e sostanziali connessi all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta. A.G.
E' manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 446, primo comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la possibilita' di formulare richiesta di applicazione della pena anche nel giudizio di appello, quando in esso si proceda alla rinnovazione del dibattimento a norma dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., in quanto, nella specie, l'omessa presentazione della richiesta di applicazione della pena entro il termine di cui all'art. 446, primo comma, cod. proc. pen. e' dipesa dalla scelta difensiva, liberamente esercitata, di sollecitare in via esclusiva la richiesta di proscioglimento anticipato per un supposto vizio dell'atto di querela (mentre, ove l'imputato, se presente al dibattimento di primo grado, o il suo difensore, se munito di procura speciale, avesse esercitato, subordinatamente alla richiesta di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., la facolta' di presentare tempestivamente richiesta di applicazione della pena, il giudice di appello avrebbe potuto, in applicazione dell'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., pronunciare sentenza di patteggiamento in riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado). - S. n. 101/1993.
Come gia' affermato dalla Corte, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta il controllo del giudice deve essere esercitato sulla congruita' della pena in concreto, quale indicata nella richiesta consensuale delle parti e non su quella astrattamente irrogabile in assenza della riduzione ("fino ad un terzo") prevista dal primo comma dell'art. 444. Tale controllo, evidentemente, non puo' non estendersi anche all'osservanza del principio di proporzione tra entita' della pena e gravita' dell'offesa, comprendendo quindi anche una valutazione sull'effettivo valore rieducativo della pena in relazione alla sua pregnante finalita'. - V. massime B e C.; v. S. n. 313/1990. red.: G. Conti
Questioni gia' dichiarate infondate. - V. massime A e C.; v. S. nn. 313/1990 e 116/1992. red.: G. Conti
Manifesta inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza in quanto risulta che nel giudizio "a quo" la richiesta di patteggiamento non e' stata presentata durante le indagini preliminari, bensi' "in limine" al dibattimento. - V. massime A e B. red.: G. Conti
Questione gia' dichiarata infondata per erroneita' del presupposto interpretativo. - S. n. 439/1993. red.: G. Conti