Articolo 429 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 424, 429 e 521, comma 1, cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui prevedono che il GUP possa disporre il rinvio a giudizio dell'imputato in relazione ad un fatto qualificato, di ufficio, giuridicamente in maniera diversa, senza consentire il previo ed effettivo sviluppo del contraddittorio sul punto, chiedendo al P.M. di modificare la qualificazione giuridica del fatto e, in caso di inerzia dell'organo dell'accusa, disponendo la trasmissione degli atti al medesimo P.M. Premesso che il principio di necessaria correlazione tra imputazione contestata e sentenza - espressamente codificato dall'art. 521 cod. proc. pen. per la fase del giudizio, ma applicabile analogicamente anche all'udienza preliminare - è diretto a garantire il contraddittorio e il diritto di difesa dell'imputato nonché il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell'azione penale; e che il medesimo principio, se da un lato consente al giudice di attribuire al fatto una definizione giuridica diversa, dall'altro gli impone di trasmettere gli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da quello descritto nell'imputazione; l'omessa precisazione delle ragioni per le quali, nella fattispecie oggetto del giudizio principale, il fatto debba ritenersi diversamente qualificato e non si tratti, piuttosto, di un fatto diverso rispetto a quello originariamente contestato non permette di valutare la necessaria pregiudizialità della sollevata questione di costituzionalità, sicché la motivazione sulla rilevanza è insufficiente. Un ulteriore motivo di inammissibilità risiede nella sollecitazione di una pronunzia additiva, non avente carattere di soluzione costituzionalmente obbligata, ma rientrante nell'ambito di scelte discrezionali riservate al legislatore. Il difetto di una soluzione costituzionalmente imposta è comprovato dalla circostanza che lo stesso giudice a quo , dapprima, si sofferma su talune procedure adottabili dal GUP per far cadere i dubbi di legittimità della censurata disciplina (quali l'adozione di un'apposita ordinanza con cui informare le parti della diversa qualificazione giuridica attribuita al fatto, così da consentire il contraddittorio sul punto, ovvero l'applicazione analogica dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen) e, poi, ritenendole inadeguate, valuta come indispensabile l'intervento della Corte mediante una decisione additiva che preveda la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, attraverso la restituzione degli atti all'organo dell'accusa. Peraltro, la soluzione prospettata dal rimettente tende ad ottenere la parificazione di situazioni processuali tra loro non omogenee, quali l'accertamento che un fatto debba essere diversamente qualificato e la constatazione che il fatto è differente da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio. La decisione richiesta, dunque, coinvolgendo scelte relative alla conformazione della disciplina processuale, rientra nella discrezionalità del Parlamento. Nel senso che la necessaria correlazione tra accusa e sentenza è posta anche «al fine del controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell'azione penale, dal che si desume che la costante corrispondenza dell'imputazione a quanto emerge dagli atti è una esigenza presente in ogni fase processuale e, quindi, anche nell'udienza preliminare», v. la citata sentenza n. 88/1994. Per la manifesta inammissibilità di questioni motivate in modo tale da non permettere la valutazione della rilevanza nel giudizio a quo , v. le seguenti citate decisioni: sentenza n. 58/2009, ordinanze n. 15/2009, n. 312/2008 e n. 100/2008. Sull'inammissibilità di questioni tese a richiedere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, v., ex plurimis , le seguenti citate decisioni: sentenza n. 183/2008, ordinanze n. 193/2009, n. 80/2009 e n. 379/2008.
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione combinata degli artt. 429, comma 2, in relazione al comma 1, lettera f ), dello stesso articolo, e 185, comma 3, cod. proc. pen., impugnata, in riferimento all'art. 111, comma secondo, Cost., nella parte in cui prescriverebbe «la rinnovazione dell'intera udienza preliminare, anziché del solo decreto che dispone il giudizio, nel caso di nullità del decreto predetto per mancanza o insufficiente indicazione del luogo della comparizione». Premesso che il rimettente non valuta e non indica in concreto a quali eventuali ulteriori atti dell'udienza preliminare debba comunicarsi la nullità, il dubbio di costituzionalità è fondato su un'interpretazione errata della censurata disciplina legislativa, la quale non implica affatto che a tutte le ipotesi di declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio debba necessariamente fare seguito un'integrale ripetizione dell'udienza preliminare. Invero, l'art. 185 cod. proc. pen. circoscrive l'effetto estensivo della nullità ai soli atti successivi che siano legati all'atto viziato da un rapporto di dipendenza causale e ne costituiscano, quindi, la conseguenza logica e giuridica. Pertanto, estendendosi la nullità derivata ai soli atti successivi e non anche a quelli antecedenti, la declaratoria di nullità del decreto che dispone il giudizio per mancanza o insufficiente indicazione del luogo della comparizione non può invalidare anche atti del procedimento precedenti a quello oggetto di tale declaratoria, sicché la regressione del processo all'udienza preliminare si realizza fino al momento e all'atto in cui il giudice di tale udienza, avendo già dichiarata chiusa la discussione delle parti, procede alla deliberazione; anzi, e più precisamente, alla sola parte di questa che, di seguito alla disposizione del giudizio e all'indicazione del giudice a questo competente, attiene alla precisa individuazione e indicazione «del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione».
Deve essere ordinata la restituzione ai giudici 'a quibus' (Pretori di Camerino, Brescia, Firenze, S. Maria Capua Vetere - sez. dist. di Aversa) degli atti relativi ai giudizi di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 565, comma 1, 456, comma 1, 3 e 5, 429, comma 1 e 2, 555, comma 2, cod. proc. pen.; dell'art. 565, comma 1, cod. proc. pen.; dell'art. 459 cod. proc. pen. e dell'art. 2 della l. 16 luglio 1997, n. 234; e degli artt. 416 e 555 cod. proc. pen., come modif. dalla l. n. 234 del 1997, e 459 cod. proc. pen., per un riesame della rilevanza delle questioni sollevate alla luce del 'jus superveniens', costituito dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479.
La censura relativa all'art. 429 (in combinato disposto con gli artt. 417 e 423) c.p.p. e all'art. 2, dir. 52, legge 16 febbraio 1987, n. 81 nella parte in cui imporrebbero al giudice dell'udienza preliminare di adottare, nel decreto che dispone il giudizio, la definizione giuridica del fatto formulata dal P.M., pur se contraria al suo convincimento, e che in particolare, nella specie, vieterebbero di formulare "l'ipotesi di reato attenuata prevista in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza dall'art. 73, quinto comma, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 in luogo di quella prevista dall'art. 73, primo comma, configurata dall'Accusa", e' basata per erronea individuazione, da parte dell'autorita' remittente, degli elementi che devono essere contenuti nel decreto di rinvio a giudizio: infatti, il caso di specie non riguarda la qualificazione giuridica del fatto, ma attiene solo alla possibilita' di aggiungere o meno all'imputazione una circostanza attenuante, elemento non compreso tra quelli - come, peraltro, risulta anche dall'art. 380, lett. h), st.cod. - che ai sensi dell'art. 429, lett. e), devono essere necessariamente indicati nel provvedimento che dispone il giudizio, richiedendosi soltanto che questo contenga l'enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di una misura di sicurezza. Pertanto la questione sollevata, essendo priva di rilevanza, nel giudizio 'a quo' va dichiarata inammissibile. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 429 (in combinato disposto con gli artt. 417 e 423) del codice di procedura penale e 2 n. 52 della legge 16 febbraio 1987 n. 81, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 101, secondo comma, Cost.). red.: E.M. rev.: S.P.
Sotto il profilo della necessaria aderenza del fatto storico contestato all'imputazione formulata, l'art. 429, comma secondo, c.p.p. prevede la nullita' del decreto che dispone il giudizio soltanto se in esso manchi o e' insufficiente, l'enunciazione del fatto o delle circostanze aggravanti. Nulla vieta percio' al G.I.P. di descrivere, con la completezza che egli ritiene necessaria, il fatto storico oggetto dell'accusa. red.: E.M. rev.: S.P.
Manifesta inammissibilita' della questione per insufficienza della motivazione sulla rilevanza, non avendo il G.I.P. rimettente chiarito, nel caso, ne' quale sia la diversa qualificazione giuridica del fatto da lui considerata appropriata in sostituzione di quella indicata nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dal P.M. (concussione), ne' se, nella specie, a seguito della modifica dell'art. 357 cod.pen., introdotta con l. 26 aprile 1990, n. 86, ritenga di dover escludere per l'imputato (assistente medico ospedaliero esercente le specifiche mansioni di sanitario) oltre alla qualifica di pubblico ufficiale anche quella di incaricato di pubblico servizio, nel solo qual ultimo caso vi sarebbe mutamento del titolo del reato.
Nel caso in cui la divergenza tra la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero e la valutazione del G.I.P., quanto alla definizione giuridica del fatto contestato, comporta uno spostamento della competenza a conoscerne dal tribunale al pretore, il G.I.P. deve applicare il disposto dell'art. 22, terzo comma, cod. proc. pen., che prevede che il giudice, se riconosce la propria incompetenza "per qualsiasi causa" dopo la chiusura delle indagini preliminari - e, quindi, anche all'esito dell'udienza preliminare - la dichiari con sentenza ed ordini la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente. Tra le cause che possono produrre una situazione di incompetenza nel corso dell'udienza preliminare, va infatti compresa (conforme alla relazione al Progetto) la diversa definizione giuridica del fatto, data dal giudice dell'udienza preliminare. Viene percio' meno lo stesso presupposto del quesito prospettato dal giudice 'a quo'. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 429 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 101, secondo comma, Cost.).