Articolo 518 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Pronuncia 146/1997Depositata il 23/05/1997
Non e' fondata, con riferimento all'art. 3 Cost., in relazione agli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nel testo risultante a seguito della sentenza di incostituzionalita' n. 265 del 1994, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 518 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato di presentare richiesta di applicazione della pena a norma dell'art. 444 del medesimo codice relativamente al fatto nuovo di cui il giudice ha autorizzato la contestazione in dibattimento in base al comma 2 del medesimo art. 518, in quanto - posto che la sentenza n. 265 del 1994 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia' risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni") ha operato la distinzione tra i casi in cui il fatto diverso o il reato concorrente emerge a seguito dell'istruzione dibattimentale, e quelli in cui i fatti oggetto della contestazione suppletiva gia' risultavano al momento dell'esercizio dell'azione penale; che la contestazione suppletiva del fatto nuovo si riferisce, per definizione, ad un fatto che risulta "nel corso del dibattimento", non enunciato per tale ragione nel decreto che dispone il giudizio; che il meccanismo di contestazione del fatto nuovo tiene conto della specificita' di tale situazione, poiche' non preclude in via assoluta, a differenza di quanto previsto nella originaria formulazione degli artt. 516 e 517, la facolta' di avvalersi dei riti alternativi in base al rilievo secondo cui la regola generale, dettata dall'art. 518, comma 2, cod. proc. pen, e' che il p.m. proceda nelle forme ordinarie, cosi' dando all'imputato la possibilita' di presentare la richiesta di applicazione della pena sin dalle indagini preliminari, e secondo cui, solo se il p.m. ne faccia richiesta, e l'imputato presti il consenso (che e' indice della facolta' di scelta attribuita dalla legge allo stesso), il giudice puo' autorizzare la contestazione in udienza del fatto nuovo, con la conseguente perdita della facolta' di chiedere l'applicazione della pena - i profili di irragionevole disparita' di trattamento prospettati non sussistono, in considerazione del fatto che la disciplina dei rapporti tra contestazione dibattimentale del fatto nuovo e facolta' di chiedere l'applicazione della pena non e' assimilabile alla disciplina della contestazione del fatto diverso e del reato concorrente, quale risultante dopo l'integrazione operata dalla richiamata sentenza n. 265 del 1994. - Sent. nn. 593/1990, 316/1992, 129/1993, 41 e 265/1994, 10/1997; ord. nn. 213/1992, 107/1993. red.: S. Di Palma
Norme citate
- codice di procedura penale-Art. 518, comma 2
Parametri costituzionali
- codice di procedura penale (nuovo)-Art. 516
- Costituzione-Art. 3
- codice di procedura penale (nuovo)-Art. 517
Pronuncia 41/1994Depositata il 17/02/1994
In caso di contestazione a dibattimento di un fatto nuovo, la disciplina prevista dal legislatore (art. 446 cod. proc. pen.) secondo la quale non e' piu' possibile adire al c.d. patteggiamento dopo la dichiarazione di apertura dello stesso, non vulnera il diritto di difesa, ne' crea una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto all'imputato nei cui confronti si inizi, per il fatto nuovo (a norma dell'art. 518, comma primo, cod. proc. pen.) un altro procedimento nel quale e' senz'altro in termini per richiedere l'applicazione della pena. Condizione indispensabile alla contestazione del fatto nuovo in udienza e' infatti (a norma dello stesso art. 518, comma secondo) il consenso dell'imputato e pertanto la scelta tra le due soluzioni dipende da una libera opzione della linea difensiva da lui stesso operata. Ne' vale obiettare - in riferimento al principio di ragionevolezza - che l'impedimento, nella prima ipotesi, del ricorso al patteggiamento, ostacolerebbe la speditezza dei processi - alla quale anche l'applicazione della pena e' preordinata - non essendo certo irragionevole che il legislatore, una volta garantito il diritto di difesa, abbia ritenuto di non derogare al termine stabilito in via generale dalla norma impugnata. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, Cost., dell'art. 446, commi primo e terzo, cod. proc. pen.). - V. la precedente massima A. red.: E.M. rev.: S.P.
Norme citate
- codice di procedura penale-Art. 518, comma 2
- codice di procedura penale-Art. 446, comma 3
- codice di procedura penale-Art. 446, comma 1
- codice di procedura penale-Art. 518, comma 1
Parametri costituzionali
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.