Articolo 238 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 238- bis cod. proc. pen., censurato, in riferimento all'art.111, quarto e quinto comma, Cost., ove consente l'acquisizione dibattimentale delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova di fatto in esse accertato. Posto che acquisizione del dato probatorio e sua utilizzazione sono due momenti distinti ma non autonomi, con la conseguenza che i limiti posti all'utilizzazione non sono irrilevanti ai fini del giudizio sull'acquisizione, e posto che la portata del principio del contraddittorio nella formazione della prova va individuata secondo le specificità dei singoli mezzi di prova, la sentenza irrevocabile non può essere considerata un documento in senso proprio, contenendo valutazioni su un materiale probatorio acquisito in diverso giudizio, ma neppure può essere equiparata alla prova orale. Ne consegue che, in riferimento ad essa, il contraddittorio trova il suo naturale momento di esplicazione non nell'atto dell'acquisizione, ma in quello della valutazione e, una volta acquisita, le parti rimangono libere di indirizzare la critica che si andrà a svolgere, in contraddittorio, in funzione delle rispettive esigenze. -Su disposizioni del codice di rito che, nel prevedere l'acquisizione di dati probatori esterni, ne indicano le condizioni e le finalità v., citate, sentenze n. 129/2008, n. 381/2006 e ordinanza n. 265/2004. -Sul fatto che l'incostituzionalità di una disposizione non consegue alla possibilità di darne un'interpretazione contrastante con la Costituzione ma alla impossibilità di fornirne una conforme v., citate, ex plurimis , sentenze n. 148/2008, n. 147/2008, n. 403/2007 e n. 379/2007.
Manifesta inammissibilità - per difetto di motivazione sulla rilevanza - della questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non consente di dare lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari da persona che nel corso del dibattimento ha assunto la veste di testimone "assistito", nel caso in cui ne sia divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili. Infatti la carente descrizione della fattispecie 'a quo' non consente di valutare se nel caso in esame avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 238, comma 3, cod. proc. pen., che prevede l'acquisizione della documentazione di atti di altri procedimenti di cui è divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 238, 511, 511-bis, 514 e 525 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97, 101 e 111 della Costituzione, nella parte in cui in caso di rinnovazione del dibattimento per essere il giudice persona fisica diversa da quella davanti alla quale si era svolta l'istruttoria dibattimentale, non consente la lettura degli atti dibattimentali assunti ma impone di disporre la rinnovazione dell'esame dei testimoni quando questo possa aver luogo e sia stato richiesto da una delle parti. Infatti analoghe questioni sollevate in riferimento agli stessi parametri e sulla base di argomentazioni sostanzialmente coincidenti sono già state dichiarate manifestamente infondate e non sussiste motivo di discostarsi dalle considerazioni e dalle conclusioni raggiunte. - V. ordinanze n. 399/2001 e n. 431/2001.
Manifesta infondatezza, trattandosi di questione sostanzialmente analoga a precedenti, già dichiarate manifestamente infondate in base a considerazioni dalle quali non vi è motivo di discostarsi, della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 238, 511, 511-bis e 525 del codice di procedura penale, denunziato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non consente di utilizzare mediante lettura gli atti assunti nel medesimo dibattimento da un collegio diversamente composto. Riguardo alle ulteriori, differenti censure avanzate dal giudice rimettente, va rilevato che il contrasto con l?art. 24 Cost., è stato anche prospettato in maniera ipotetica, che del tutto inconferenti sono le censure riferite all?art. 525, in relazione all?art. 111, commi quarto e quinto, Cost., essendo la norma impugnata attuativa, del principio di immediatezza e che, infine, l?art. 97 Cost. non può essere evocato, a proposito dell?attività giurisdizionale in senso stretto. - V. ordinanza n. 391/2001 e, con riguardo all?art. 97 Cost., 'ex pluirimis', sentenza n. 115/2001 e ordinanze n. 204/2001 e n. 30/2000. A.M.M.
Restituzione degli atti ai giudici rimettenti, perche' riesaminino la rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 511, comma secondo, 511-bis e 238 del codice di procedura penale, essendo sopravvenuta, in materia di giusto processo, la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (cui e' stata data attuazione dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35), che ha modificato l'art. 111 della Costituzione, invocato dai giudici stessi tra i parametri costituzionali di riferimento.
Vanno restituiti gli atti ai giudici rimettenti affinche' verifichino se, alla stregua della disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti. Invero, successivamente alla emissione delle ordinanze, la Corte con la predetta decisione, ha inciso sul quadro normativo modificato dalla legge 7 agosto 1997, n. 167 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), avendo dichiarato la illegittimita' costituzionale, tra l'altro, dell'art. 513, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. pen., <
Per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. - assorbiti i profili dedotti in riferimento agli artt. 111 e 112 Cost. - deve dichiararsi la illegittimita' costituzionale dell'art. 238, comma 4, cod. proc. pen. - come sostituito dall'art. 3 della legge 7 agosto 1997, n. 267 - nella parte in cui non prevede che, qualora, in dibattimento, l'imputato in procedimento connesso, esaminato a norma dell'art. 210 cod. proc. pen., rifiuti o comunque ometta, in tutto o in parte, di rispondere su fatti, concernenti la responsabilita' di altri - gia' oggetto di dichiarazioni da lui rese, nel suddetto procedimento, in sede di incidente probatorio o nel dibattimento, o assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare - in mancanza di consenso alla loro utilizzazione da parte dell'imputato al quale le dichiarazioni si riferiscono, si applica l'art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.. Data l'analogia tra la situazione disciplinata dall'art. 238, comma 4, e quella disciplinata dall'art. 513, comma 2, cod. proc. pen. (analogia tanto piu' stretta allorche' le dichiarazioni in questione risultino assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento, in quanto in tali casi esse hanno natura di veri e propri mezzi di prova), non si giustifica infatti che nell'ipotesi 'de qua' non si applichi la normativa stabilita dall'art. 513, comma 2 - cosi' come modificato dalla contestuale declaratoria di illegittimita' della Corte - con conseguente apertura alle possibilita' di contestazioni e recupero previste in tema di deposizioni testimoniali dell'art. 500 cod. proc. pen.. - V. la precedente massima C. red.: S. Pomodoro
Sotto i profili dedotti nel caso dall'autorita' rimettente, non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 111 Cost., riguardo alle condizioni e ai limiti posti dall'art. 238, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen. - come sostituito dall'art. 3 della legge 7 agosto 1997, n. 267 - alla utilizzazione, nel dibattimento, delle dichiarazioni su fatti implicanti responsabilita' di altri, rese in procedimento connesso da persona nello stesso imputata, che non abbia poi risposto su di esse. Con la prima delle due censure formulate in proposito si tende infatti esclusivamente al recupero delle precedenti dichiarazioni mediante lettura dei verbali, senza che si sia proceduto, in quanto non richiesto da alcuna delle parti, all'esame del dichiarante, e senza che il giudice abbia provveduto a disporlo di ufficio ex art. 507 cod. proc. pen., laddove il meccanismo che consente la salvaguardia di tutti i beni costituzionali coinvolti, secondo la contestuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione in questione, e' quello delle contestazioni. Mentre l'altra censura, formalmente rivolta all'art. 238, comma 4, in realta' si riferisce alla disciplina transitoria contenuta nell'art. 6, della legge n. 267 del 1997, nella parte in cui non prevede, nel giudizio di primo grado, un meccanismo di recupero delle dichiarazioni gia' acquisite, ex art. 238, al momento di entrata in vigore della legge, analogo a quello stabilito per le dichiarazioni gia' acquisite a norma dell'art. 513, comma 2. - V. la precedente massima E. red.: S. Pomodoro
Secondo una 'ratio decidendi' identica a quella che e' a base della sentenza n. 181 del 1994 - pronunciata, riguardo alla non utilizzabilita', nel dibattimento, delle prove assunte in incidente probatorio nello stesso processo, nei confronti degli imputati i cui difensori non vi abbiano partecipato, sull'art. 403 cod. proc. pen. - la disposizione dell'art. 238, primo comma, st. cod., nel testo novellato dall'art. 3, primo comma, del d.l. n. 306 del 1992 (conv. in legge n. 356 del 1992) in virtu' della quale, anche senza il consenso delle parti - richiesto invece nel testo originario dell'articolo - e' ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento, se si tratta di prove (nella specie, perizia) assunte in incidente probatorio, va interpretata in un senso che la ancori all'osservanza della "salvaguardia del contraddittorio, espressione del piu' generale diritto di difesa", con la conseguenza che la stessa, in tanto potra' ricevere applicazione, pure di fronte ad una prova assunta con incidente probatorio senza la presenza del difensore, in quanto i soggetti nei cui confronti la prova dovra' essere utilizzata, non essendo stati raggiunti da indizi di colpevolezza, non potessero ancora assumere, al momento dell'incidente probatorio, la qualita' di persone sottoposte alle indagini. Cosi' interpretata, la norma non lede i parametri in riferimento ai quali e' stata censurata dal giudice 'a quo', non potendo certo affermarsi l'irragionevolezza di una diversita' di trattamento fra colui che abbia assunto la qualita' di persona sottoposta alle indagini e colui che, invece, non sia stato ancora come tale identificato, e non potendo l'anche invocato diritto di difesa - secondo la costante giurisprudenza della Corte - riferirsi a un soggetto che non sia stato raggiunto da indizi di responsabilita'. Va comunque rimarcato che la qualita' di persona sottoposta alle indagini non deve discendere dalle valutazioni soggettive dell'organo inquirente, dipendendo essa da dati oggettivi spesso agevolmente riscontrabili sulla base degli atti, e che non possono certo ritenersi preclusi ne' il diritto della parte di richiedere e di conseguire la rinnovazione della prova, ne' il potere del giudice di disporre, laddove la prova sia (come nel caso di specie) assumibile d'ufficio, la rinnovazione del dibattimento, pur in assenza di richiesta di parte. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 238, primo comma, cod. proc. pen., nel testo sostituito dall'art. 3, primo comma, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356). - Cfr., oltre a S. n. 181/1994 (gia' citata nel testo), S. nn. 559/1990, 74/1991, 436/1990, 254/1992 e 241/1992. red.: S.P.
L'obbligo di rinnovazione del dibattimento, nel caso di mutamento del giudice-persona fisica, non rende inutilizzabile - come erroneamente ritenuto dal giudice rimettente - l'attivita' probatoria gia' eventualmente compiuta; pertanto, in caso di sopravvenuta impossibilita' di ripetizione della stessa, potra' essere acquisita la documentazione di atti e, in particolare, dei verbali, in quanto gli stessi fanno gia' parte del contenuto del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice. Tale contenuto, infatti, non e' cristallizzato in quello indicato nell'art. 431 del codice, ma e' soggetto a notevoli variazioni, sia nella fase degli atti preliminari al dibattimento, sia nel corso del dibattimento medesimo, e certamente si arricchisce del verbale delle prove assunte nella pregressa fase dibattimentale, la quale, pur soggetta a rinnovazione per i motivi anzidetti, conserva comunque il carattere di attivita' legittimamente compiuta. Pertanto, anche per questi verbali, si applica integralmente la disciplina dettata dall'art. 511 cod. proc. pen. in tema di lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 238 e 512 cod. proc. pen. sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost.). - Sulla conservazione, in base al principio di economia processuale, dell'attivita' gia' legittimamente conclusa in caso di rinnovamento di alcuni atti, v. S. n. 101/1993. red.: E.M. rev.: S.P.