Articolo 11 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Deve essere dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 11 cod. proc. pen., nella parte in cui non comprende nella disciplina dei procedimenti riguardanti magistrati - che attribuisce ai giudici di altro distretto la relativa cognizione quando il fatto riguardi persona che svolga funzioni giudiziarie nel distretto del giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie, oppure le svolgesse al momento del fatto - il caso in cui la persona interessata abbia cessato di appartenere all'ordine giudiziario, quanto meno per un apprezzabile lasso di tempo successivo alla detta cessazione. Infatti, la disciplina vigente che prevede l'applicazione della disciplina ordinaria risulta ragionevole, tenuto anche conto che eventuali particolarità di singoli casi possono trovare fisiologica soluzione mediante il ricorso agli istituti della astensione e della ricusazione. - Si veda l'analogo precedente della sentenza n. 381 del 1999. Più in generale sulla necessità di individuare, secondo criteri di ragionevolezza, le situazioni di consuetudine professionale e di colleganza che possono giustificare, in via generale ed astratta, una deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza, si vedano le sentenze n. 432 del 2008, n. 287 del 2007, n. 147 del 2004, n. 332 del 2003, n. 444 del 2002, n. 349 del 2000.
Manifesta inammissibilità, per difetto di motivazione sulla rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del codice di procedura penale, denunziato, in riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la disciplina dettata in materia di competenza territoriale, per i procedimenti in cui sia persona offesa un magistrato, si applichi anche ai procedimenti nei quali detta qualità sia attribuita «ad una istituzione giudiziaria nel suo complesso» e non al singolo magistrato.
Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 11 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la disciplina dettata in materia di competenza territoriale per i procedimenti in cui sia imputato o parte lesa un magistrato si applichi anche ai procedimenti in cui tale veste sia assunta da un collaboratore di cancelleria, quantomeno quando questi presti servizio nello stesso ufficio giudiziario cui appartengono i magistrati giudicanti, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24, 101 e 107 della Costituzione per il lamentato, possibile, pregiudizio dell'imparzialita' del giudice, del diritto di difesa e del principio di eguaglianza per disparita' di trattamento di situazioni identiche, in quanto, a parte il fatto che la questione ha come suo presupposto una situazione di fatto assolutamente patologica e anomala, le posizioni del magistrato e del collaboratore di cancelleria sono del tutto disomogenee e non comparabili, giustificandosi solo nei confronti dei magistrati - a cui si riferisce la garanzia dell'inamovibilita' sancita dall'articolo 107, primo comma, della Costituzione - la disciplina derogatoria prevista dall'articolo 11 cod. proc. pen., mentre il collaboratore di cancelleria puo' - nel rispetto del suo stato giuridico - essere trasferito ad altra sede o, in casi estremi, puo' farsi ricorso agli istituti della astensione e della ricusazione. - per le giustificazioni alla disciplina derogatoria prevista dall'articolo 11 cod. proc. pen., ordinanza n. 462/1997; - sulle altre gravi ragioni di convenienza (articolo 36, comma 1, cod. proc. pen.) come norma di chiusura a tutela dell'imparzialita' del giudice, sentenze nn. 283 e 113/2000; - sull'inidoneita' delle situazioni patologiche a costituire una valida base per lo scrutinio di legittimita' costituzionale, ordinanza n. 439/1998. A.G.
Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 del codice di procedura penale - che attribuisce al giudice competente per materia del capoluogo del distretto di corte d'appello determinato dalla legge la cognizione dei procedimenti che altrimenti sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto nel quale esercita, o esercitava al momento del fatto, le proprie funzioni il magistrato imputato, ovvero persona offesa o danneggiata dal reato - censurato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 107 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, in caso di tardiva conoscenza della qualita' di magistrato, la eccezione di incompetenza possa essere sollevata oltre il termine (conclusione della udienza preliminare) stabilito dall'art. 21 comma 2, cod. proc. pen. La deroga alle regole generali della competenza per territorio, introdotta dalla disposizione impugnata non riguarda la persona del 'giudice' bensi' 'l'ufficio giudiziario' e il suo collegamento con la cognizione del reato, all'inverso della ricusazione - la cui disciplina (che da' rilievo alla tardiva conoscenza) e' non pertinentemente quindi assunta dal rimettente a 'tertium comparationis' - la quale considera, invece, non l'ufficio, cui e' attribuita l'astratta competenza a conoscere del reato, ma proprio il giudice investito del concreto giudizio. Non irragionevolmente, comunque, la norma denunciata prevede un termine per proporre la questione di incompetenza per territorio, stabilendo, che esso si esaurisca nell'arco degli atti introduttivi del giudizio, prima dell'apertura del dibattimento. Rientra, difatti, nella discrezionalita' del legislatore limitare la possibilita' di rilevare l'incompetenza per territorio a vantaggio dell'interesse all'ordine e alla speditezza del processo, evitando cosi' che, avviato il giudizio di merito, esso possa essere vanificato da un tardivo spostamento di competenza territoriale o che le parti possano sottrarne la cognizione al giudice oramai investito; tutto cio' senza che venga in rilievo una situazione idonea a ledere in concreto l'imparzialita' del giudice, per la quale opera, invece, l'istituto della ricusazione. Precedenti: - sentenza n. 381/1999, su competenza e ricusazione; - sentenze n. 130/1995 e n. 521/1991 sulla discrezionalita' del legislatore in materia di termini di deducibilita' della incompetenza.
Nonostante la sopravvenuta legge 2 dicembre 1998, n. 420, che, sostituendo la norma denunciata, ha dettato nuovi criteri per individuare il giudice competente nei procedimenti riguardanti i magistrati, perdura la rilevanza nel giudizio principale, indipendentemente dalla identita' e continuita' del contenuto normativo tra vecchia e nuova disposizione, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, cod. proc. pen., nel testo vigente prima della legge di novellazione, denunciato dal giudice rimettente nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale nel caso in cui un magistrato gia' in servizio nel distretto assuma la qualita' di persona offesa o danneggiata dal reato per fatti commessi successivamente al suo trasferimento, ma riferiti unicamente ed immediatamente all'esercizio delle funzioni che egli ha svolto in quel distretto; e cio' in quanto la nuova legge si applica, per espressa previsione normativa, esclusivamente ai procedimenti relativi ai reati commessi successivamente alla sua entrata in vigore.
Non e' fondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101 e 107 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non comprende tra i casi che, nei procedimenti riguardanti i magistrati, danno luogo allo spostamento della competenza territoriale, l'ipotesi in cui i fatti, per i quali si procede penalmente, siano stati commessi successivamente al trasferimento del magistrato in ufficio giudiziario di altro distretto e siano riferibili unicamente ed immediatamente all'attivita' svolta in precedenza dal medesimo magistrato nel distretto nel quale si procede. Il criterio territoriale e temporale di deroga alla ordinaria competenza stabilito dall'art. 11 cod. proc. pen. - che, al fine di circoscrivere i casi di spostamento della competenza territoriale, attribuisce rilievo ad elementi oggettivi estrinsecamente verificabili - non appare arbitrario o irrazionale ne' lesivo delle garanzie preordinate ad un giusto processo; tanto piu' considerandosi che altre situazioni nelle quali si possa in concreto dubitare della imparzialita' del giudice, in ragione di rapporti personali, innestati sul rapporto di ufficio, possono e debbono trovare soluzione ricorrendo agli istituti della astensione e della ricusazione, egualmente preordinati a garantire tale indefettibile imparzialita'. Ne' tale limitazione dei casi di spostamento della competenza territoriale viola il principio di eguaglianza, giacche' le situazioni poste a raffronto non sono identiche, diverso essendo il rapporto inerente all'esercizio attuale delle funzioni nel distretto competente per il giudizio o all'esercizio di esse al momento del fatto - che in base alla disposizione impugnata da' luogo allo spostamento della competenza -, rispetto alle molteplici situazioni - per cui lo spostamento di competenza viene nel caso invocato - che possono verificarsi quando l'esercizio delle funzioni sia cessato e, quindi, vi e' un distacco tra tale esercizio e l'ufficio competente per il giudizio. Ugualmente insussistente e' la denunciata violazione del principio di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione, non essendo tale parametro pertinente (v. massima C).
E' manifestamente infondata, in riferimento all'art. 25 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 2, cod. proc. pen., il quale stabilisce che, qualora non sia possibile sostituire il giudice astenuto o ricusato con altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ordinamento giudiziario, il procedimento sia rimesso al giudice egualmente competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello individuato in base all'art. 11 dello stesso codice, sia perche' la Corte, esaminando analoghe questioni concernenti la norma corrispondente contenuta nel codice di procedura penale del 1930 (art. 70, ultimo comma), ha gia' escluso l'ipotizzato contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, rilevando che lo spostamento della competenza non e' demandato all'insindacabile discrezionalita' di un organo giudiziario, ma dipende necessariamente dall'accertamento obiettivo di fatti ipotizzati dalla legge e mira ad assicurare la continuita' e l'efficienza della funzione giurisdizionale, sia perche' - denunciando in realta' il giudice rimettente la omessa applicazione, nei processi dei quali e' stato investito, delle norme dell'ordinamento giudiziario sulla sostituzione del giudice astenuto o ricusato, la cui osservanza avrebbe consentito di celebrare i dibattimenti nella sede naturale, riservando alla rimessione il carattere proprio della eccezionalita' - la questione ha origine da una situazione prospettata come patologica, mentre solo la corretta applicazione delle norme puo' essere alla base dello scrutinio di legittimita' costituzionale; d'altra parte il sistema processuale consente, attraverso il rimedio del conflitto di competenza, la verifica della corretta applicazione delle norme di ordinamento giudiziario sulla sostituzione del giudice. - Cfr., per quanto riguarda la rimessione del procedimento nel codice di procedura penale del 1930, sentenza n. 168/1976 e ordinanza n. 132/1977; nel senso che le situazioni patologiche, estranee alla corretta applicazione della norma, non possono essere valutate nel giudizio di costituzionalita', sentenze nn. 40/1998 e 175/1997, nonche' ordinanza n. 255/1995. red.: S. Evangelista
E' manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 11 cod. proc. pen., nella parte in cui, nel prevedere per i procedimenti riguardanti i magistrati una deroga alle regole di competenza territoriale, non si applica agli iscritti all'albo di uno degli ordini degli avvocati e dei procuratori del distretto cui appartiene l'ufficio giudiziario competente per il giudizio. Invero le ragioni della predetta deroga, ravvisate nella necessita' di assicurare la serenita' e la obiettivita' dei giudizi, nonche' l'imparzialita' e la terzieta' del giudice anche presso l'opinione pubblica, non possono ritenersi sussistenti nei procedimenti riguardanti gli avvocati, posto che l'abituale frequentazione tra magistrati ed avvocati non riveste i caratteri propri del rapporto di colleganza fra appartenenti all'ordine giudiziario, tenuto conto, peraltro, che l'iscrizione all'albo degli avvocati non implica, diversamente da quanto previsto per i magistrati, l'esercizio di funzioni professionali nell'ambito di un determinato distretto e che, ove i rapporti siano tali da pregiudicare in concreto l'imparzialita' del giudizio, soccorrono gli istituti dell'astensione e ricusazione del giudice. - Sulla 'ratio' della deroga alle regole ordinarie di competenza nei procedimenti riguardanti i magistrati, v. S. nn. 390/1991 e 109/1963. In generale sugli istituti dell'astensione e ricusazione del giudice, v. S. nn. 306/1997, 307/1997 e 308/1997. red.: M. Maiella
Nel sistema adottato dal regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, di cui al r.d. 13 agosto 1933, n.1038, - sistema non modificato, nella sua impostazione di fondo, dalle disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, dettate con il decreto-legge 15 novembre 1993, n, 453 (convertito, con modificazioni, con legge 14 gennaio 1994, n. 19) - anche per i giudizi di responsabilita', nei quali il giudice e' investito mediante l'atto di citazione a comparire, o, prima di questo, per gli eventuali provvedimenti cautelari, il pubblico ministero mantiene la caratteristica di ufficio che promuove l'azione. Anche l'attivita' da esso svolta prima della citazione, infatti, non ha carattere decisorio, neppure quando - come nel caso di specie - si conclude con una archiviazione: atto, questo, che, rimesso alla determinazione della parte pubblica non ha natura giurisdizionale, ne' puo' formare giudicato o creare vincoli per lo stesso ufficio del pubblico ministero. Non puo' percio' avere ingresso innanzi alla Corte costituzionale, in quanto proposta dal Sostituto procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana - organo non legittimato, in quanto privo di poteri decisori, a promuovere l'incidente - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del citato decreto del 1933, nella parte in cui, sotto il titolo, che esso reca, di "disposizione comune di procedura", omette di far rinvio, per i giudizi di responsabilita' amministrativa e contabile a carico di magistrati, alla disciplina, posta dall'art. 11 del codice di procedura penale, che prevede la competenza territoriale di un ufficio giudiziario diverso da quello nel quale i magistrati stessi esercitano, o hanno esercitato, le proprie funzioni. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost., dell'art. 26, r.d. 13 agosto 1933, n. 1036, 'in parte qua'). - V. massima precedente, ed ivi richiami. red.: S.P.
Questione concernente norma gia' dichiarata costituzionalmente illegittima. - S. n. 390/1991.