Articolo 34 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
La previsione dell'incompatibilità endoprocessuale del giudice - posta a tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. - deve ritenersi costituzionalmente necessaria nel concorso di quattro condizioni, ovvero che: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda ; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all'assunzione di una decisione; c) tale decisione abbia natura non "formale", ma "di contenuto", ovvero comporti valutazioni sul merito dell'ipotesi di accusa; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento. ( Precedenti: S. 16/2022 - mass. 44520; S. 7/2022 - mass. 44517; S. 66/2019 - mass. 42113; S. 18/2017 - mass. 39495; S. 183/2013 - mass. 37211, mass. 37212; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 177/2010 - mass. 34664; S. 224/2001 - mass. 26389; S. 177/1996 - mass. 22450; S. 155/1996 - mass. 22416, mass. 22417, mass. 22422, mass. 22424; S. 131/1996 - mass. 22334; O. 76/2007 - mass. 31089; O. 123/2004 - mass. 28436; O. 90/2004 - mass. 28398; O. 370/2000 - mass. 25638; O. 232/1999 - mass. 24782 ). (Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dai Tribunali di Spoleto e di Palermo in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. - dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento che ha rigettato la richiesta dell'imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova non possa partecipare al giudizio che prosegue nelle forme ordinarie. Il provvedimento di rigetto della richiesta di messa alla prova - cui i rimettenti annettono efficacia pregiudicante - si colloca non già in una fase processuale precedente e distinta, ma nella stessa fase - quella dibattimentale, di cui gli atti preliminari costituiscono una semplice "sub-fase" - rispetto alla quale l'effetto denunciato dovrebbe dispiegarsi; il che esclude in radice, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale, la configurabilità di una situazione di incompatibilità costituzionalmente necessaria). ( Precedenti: O. 370/2000 - mass. 25638; O. 232/1999 - mass. 24782; O. 76/2007 - mass. 31089; O. 433/2006 - mass. 30873 ).
Le norme sulla incompatibilità del giudice, derivante da atti compiuti nel procedimento, sono poste a tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., risultando finalizzate ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda . ( Precedenti S. 18/2017 - mass. 39495; S. 183/2013 - mass. 37211, S. 153/2012 - mass. 36413, S. 177/2010 - mass. 34664; S. 400/2008 - mass. 33001; S. 224/2001 - mass. 26389; S. 155/1996 - mass. 22416; S. 131/1996 - mass. 22334; S. 455/1994 - mass. 21189 ). (Nella specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il GIP, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal PM in conformità ai rilievi del giudice stesso).
Le norme sulla incompatibilità del giudice sono funzionali al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione e ciò ne chiarisce il rilievo costituzionale. Il "giusto processo" comprende infatti l'esigenza di imparzialità del giudice, la quale non è che un aspetto di quel carattere di "terzietà" che connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici, e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio. ( Precedente citato: S. 131/1996 - mass. 22334 ). La disciplina sulla incompatibilità del giudice è volta a evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ovvero dalla naturale propensione a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - derivante da valutazioni che il giudice abbia precedentemente svolto in ordine alla medesima res iudicanda . ( Precedenti citati: S. 66/2019 - mass. 42113; S. 18/2017 - mass. 39495; S. 183/ 2013 - mass. 37211, mass. 37212; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 177/2010 - mass. 34664; S. 224/2001 - mass. 26389; S. 283/2000 - mass. 25513; S. 241/1999 - mass. 24906, mass. 24907 ). Perché possa configurarsi una situazione di incompatibilità del giudice, nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione, è necessario che la valutazione «contenutistica» sulla medesima res iudicanda si collochi in una precedente e distinta fase del procedimento, rispetto a quella della quale il giudice è attualmente investito. È del tutto ragionevole, infatti, che, all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere. ( Precedenti citati: S. 66/2019 - mass. 42113; S. 18/2017 - mass. 39495; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 177/1996 - mass. 22450; O. 76/2007 - mass. 31089; S. 123/2004 - mass. 28436; S. 90/2004 - mass. 28398; O. 370/2000; O. 232/1999 - mass. 24782 ). Non è sufficiente per determinare una situazione di incompatibilità del giudice la semplice conoscenza degli atti anteriormente compiuti riguardanti lo svolgimento del processo, ma occorre che il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione non formale, di contenuto di essi, strumentale alla decisione da assumere che riguardi il merito dell'accusa. ( Precedenti citati: S. 177/2010 - mass. 34664; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 131/1996 - mass. 22334 ). Ai fini della incompatibilità la locuzione "giudizio" è di per sé tale da comprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioè ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito. ( Precedente citato: O. 151/2004 - mass. 28472 ). È un "giudizio" contenutisticamente inteso ogni sequenza procedimentale - anche diversa dal giudizio dibattimentale - la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l'attività "pregiudicante", implichi una valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali. ( Precedente citato: S. 224/2001- mass. 26389 ). (Nel caso di specie, sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, Cost., gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione. La valutazione complessiva del fatto illecito, che compete al giudice dell'esecuzione nell'attività di commisurazione della pena, a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale - nella specie, la sentenza n. 40 del 2019, sostitutiva del minimo edittale del reato di traffico di stupefacenti - presenta tutte le caratteristiche del "giudizio" delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della incompatibilità. In tale evenienza, infatti, il giudice del rinvio, al pari del giudice dell'ordinanza impugnata, è investito della decisione sulla "misura" della responsabilità del condannato ed esercita incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del fatto alla stregua degli artt. 132 e 133 cod. pen., per adeguare, anche ai fini dell'art. 27 Cost., la risposta punitiva al diverso disvalore che esso ha assunto). ( Precedente citato: S. 183/ 2013 - mass. 37211, mass. 37212 ).
È ammissibile, poiché non ricorre la preclusione alla riproposizione della questione nel medesimo grado di giudizio, la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Gup del Tribunale di Napoli in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, par. 1, CEDU - dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen.. Pur nell'identità della norma censurata e del petitum , la questione risulta, infatti, diversa da quella sollevata dallo stesso giudice a quo nel medesimo giudizio e dichiarata non fondata con sentenza n. 18 del 2017 in rapporto sia al parametro costituzionale, sia alle argomentazioni dedotte a supporto della denuncia di incostituzionalità.
È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Gup del Tribunale di Napoli in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, par. 1, CEDU - dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il GUP il quale, ravvisato nel corso della stessa udienza preliminare un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione divenga - una volta accolto l'invito - incompatibile a trattare la stessa udienza preliminare. La Corte EDU ha escluso in più occasioni che le garanzie in tema di equo processo, di cui alla norma convenzionale evocata, siano riferibili all'udienza preliminare prevista dalla legge processuale italiana, fatto salvo il caso - non ricorrente nel giudizio principale - in cui vengano adottati riti alternativi che conferiscano al giudice di tale udienza il potere di pronunciarsi sul merito delle accuse. In ogni caso, il rimettente non ha indicato, né emergono, pronunce della Corte di Strasburgo che ravvisino la carenza di imparzialità - sia di tipo funzionale sia legata alla commistione tra le funzioni di giudice e quelle del pubblico ministero - in fattispecie analoghe a quella in esame, sì da poter concludere che la disciplina nazionale oggetto di censura risulti non in linea con il quadro delle garanzie apprestato dalla norma convenzionale evocata. ( Precedenti citati: sentenze n. 18 del 2017 e n. 49 del 2015 ). Affinché la giurisprudenza della Corte EDU assuma rilievo ai fini dell'accertamento della violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., deve risultare consolidata, nei sensi precisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015.
È dichiarata manifestamente inammissibile - per difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in relazione alla legge n. 67 del 2014, censurato dal Tribunale di Firenze, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudice del dibattimento, o del giudizio abbreviato, del giudice che abbia respinto la richiesta dell'imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova in base ai parametri di cui all'art. 133 cod. pen. Il rimettente si limita, infatti, a richiamare genericamente l'eccezione formulata dal difensore dell'imputato in una memoria (integrata poi in udienza) e ad evocarne i parametri, affermando di ritenere la questione «non manifestamente infondata attesi i dubbi interpretativi sollevati in sede di applicazione della norma». Per costante giurisprudenza, nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale non è ammessa la cosiddetta motivazione per relationem : stante il principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo deve rendere, infatti, esplicite le ragioni per le quali ritiene la questione non manifestamente infondata, facendole proprie, senza potersi limitare al mero rinvio a quelle evidenziate dalle parti in corso di giudizio. ( Precedenti citati: sentenze n. 22 del 2015 e n. 7 del 2014; ordinanze n. 20 del 2014 e n. 175 del 2013 )
Accolta l'eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione incidentale avente ad oggetto l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., in relazione alla legge n. 67 del 2014, rimane assorbita l'ulteriore eccezione inerente all'asserito difetto di rilevanza attuale del dubbio di incostituzionalità prospettato.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per carente descrizione della fattispecie concreta - proposta in ordine alla questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare, che abbia sollecitato il pubblico ministero a modificare l'imputazione per ritenuta diversità del fatto, divenga - una volta accolto l'invito - incompatibile a continuare a trattare la stessa udienza preliminare. L'ordinanza di rimessione contiene un'esposizione della vicenda concreta, se pur sintetica, comunque sufficiente a soddisfare l'onere di motivazione sulla rilevanza, essendo stata rappresentata la situazione processuale che, ove la questione fosse accolta, determinerebbe l'insorgenza dell'incompatibilità nel giudizio a quo.
È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., censurato dal GUP del Tribunale di Napoli - in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. - nella parte in cui non prevede che il giudice dell'udienza preliminare, che abbia sollecitato il pubblico ministero a modificare l'imputazione nei confronti dello stesso imputato per ritenuta diversità del fatto, divenga - una volta accolto l'invito - incompatibile a continuare a trattare la stessa udienza preliminare. L'invito al p.m. a modificare l'imputazione ai sensi dell'art. 423 cod. proc. pen. non è affatto assimilabile all'ordinanza di trasmissione degli atti al p.m. ai sensi dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. (analogicamente applicabile dal giudice dell'udienza preliminare). Tale ordinanza determina la regressione del procedimento e la chiusura della fase in corso davanti al giudice che l'ha emessa, sicché la valutazione di merito insita in essa può assumere una valenza "pregiudicante" rispetto alla fase - distinta e ulteriore, anche se omologa - che si aprirà all'esito delle iniziative del p.m. (il quale dovrà esercitare nuovamente l'azione penale, sempre che ne ravvisi i presupposti); al contrario, l'invito con cui il giudice si fa promotore di una mutatio libelli - formulato, in via di principio, a conclusione dell'udienza preliminare, dopo che il confronto dialettico fra le parti e l'eventuale attività di integrazione probatoria si sono già svolti - rappresenta un rimedio "endofasico" e, in quanto tale, non determina alcuna incompatibilità all'ulteriore trattazione della medesima udienza preliminare, poiché il giudice esterna un convincimento sul merito della regiudicanda, ma lo fa come momento immediatamente prodromico alla decisione che legittimamente è chiamato ad assumere in quello stesso contesto, restando perciò esclusa la configurabilità di una menomazione dell'imparzialità del giudice, atta a rendere costituzionalmente necessaria l'applicazione dell'istituto dell'incompatibilità. ( Precedenti citati: sentenza n. 88 del 1994, sulla idoneità sia dell'invito che dell'ordinanza di trasmissione ad impedire l'incongruo risultato che il giudice dell'udienza preliminare si pronunci su una imputazione non coerente con le acquisizioni processuali; sentenze n. 400 del 2008 e n. 455 del 1994, ordinanza n. 269 del 2003, sulla valenza "pregiudicante" del provvedimento adottato ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. rispetto al nuovo dibattimento e alla nuova udienza preliminare ) . Secondo la costante giurisprudenza della Corte, affinché possa configurarsi una situazione di incompatibilità - nel senso dell'esigenza costituzionale della relativa previsione, in funzione di tutela dei valori della terzietà e dell'imparzialità del giudice - è necessario che la valutazione "contenutistica" sulla medesima regiudicanda si collochi in una precedente e distinta fase del procedimento, rispetto a quella di cui il giudice è attualmente investito. È del tutto ragionevole, infatti, che, all'interno di ciascuna delle fasi (intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva) resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere. In questi casi, il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi è la competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilità che presuppone la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di essa. (Precedenti citati, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 1996 e n. 131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 del 2004, n. 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999) .
Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett . a ), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 del medesimo codice. Per reiterata affermazione della giurisprudenza costituzionale, le norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen., risultano volte, in particolare, ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda . In questa prospettiva, il comma 1 dell'art. 34 cod. proc. pen. si occupa, in via prioritaria, delle ipotesi di incompatibilità conseguenti alla progressione "in verticale" del processo, determinata dalla articolazione e dalla sequenzialità dei diversi gradi di giudizio, ma limita tale incompatibilità - sia essa "ascendente" o "discendente" - al giudice che, in un grado del procedimento, abbia pronunciato o concorso a pronunciare «sentenza»: con ciò escludendo, a contrario, che l'incompatibilità scatti a fronte dell'avvenuta pronuncia di provvedimenti di altro tipo, e segnatamente di ordinanze. Con specifico riferimento all'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio, la previsione dell'art. 34, comma 1, cod. proc. pen. viene, peraltro, a saldarsi con le disposizioni dell'art. 623 cod. proc. pen., che individuano il giudice competente a pronunciare dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione e che confermano espressamente l'insussistenza dell'incompatibilità nel caso di annullamento di un'ordinanza. Alla luce di tale dato normativo la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, reiteratamente affermato che in sede di rinvio può provvedere lo stesso giudice-persona fisica che ha pronunciato l'ordinanza annullata. Tale principio è stato enunciato, in particolare, con riguardo all'ipotesi dell'annullamento con rinvio di ordinanze in materia di misure cautelari personali, corroborandolo con considerazioni attinenti alla natura delle valutazioni cui il giudice è in quel caso chiamato. Tuttavia, a conclusioni analoghe la Corte di cassazione è pervenuta anche in relazione a un complesso di altre fattispecie, tra cui l'annullamento con rinvio di provvedimenti del giudice dell'esecuzione - i quali assumono tipicamente la forma dell'ordinanza, ai sensi dell'art. 666, comma 6, cod. proc. pen. - ivi compresi quelli che qui specificamente interessano, ossia le ordinanze attinenti a richieste di applicazione della continuazione in executivis (si veda, in particolare, Cass., 19 dicembre 2007-15 gennaio 2008, n. 2098). Peraltro, la mancata previsione dell'incompatibilità in tale ultima ipotesi confligge con agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost. evocati dal giudice rimettente, determinando una incongruenza interna tra la ratio dell'art. 671 cod. proc. pen. e i suoi effetti. Infatti, se il legislatore ha ritenuto di risolvere il problema del ripristino dell'eguaglianza demandando al giudice dell'esecuzione la "sintesi" delle condotte giudicate separatamente, determinandone le conseguenze ai sensi dell'art. 81 del codice penale, non può negarsi che tale apprezzamento presenti tutte le caratteristiche del «giudizio», quali delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini dell'identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, espressivo della sede "pregiudicata" dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda. - Sulle finalità delle norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen.: sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001.