Processo penale - Incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento - Giudizio di rinvio dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione - Incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 del codice di procedura penale - Mancata previsione - Sussistenza di un corrispondente orientamento della giurisprudenza di legittimità, costituente "diritto vivente" - Incongruenza interna tra la ratio dell'art. 671 cod. proc. pen. e i suoi effetti - Ingiustificata disparità di trattamento tra le fasi della cognizione e dell'esecuzione - Violazione del principio di terzietà e imparzialità del giudice - Necessità di introdurre la causa di incompatibilità mancante - Illegittimità costituzionale in parte qua .
Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett . a ), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 del medesimo codice. Per reiterata affermazione della giurisprudenza costituzionale, le norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen., risultano volte, in particolare, ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda . In questa prospettiva, il comma 1 dell'art. 34 cod. proc. pen. si occupa, in via prioritaria, delle ipotesi di incompatibilità conseguenti alla progressione "in verticale" del processo, determinata dalla articolazione e dalla sequenzialità dei diversi gradi di giudizio, ma limita tale incompatibilità - sia essa "ascendente" o "discendente" - al giudice che, in un grado del procedimento, abbia pronunciato o concorso a pronunciare «sentenza»: con ciò escludendo, a contrario, che l'incompatibilità scatti a fronte dell'avvenuta pronuncia di provvedimenti di altro tipo, e segnatamente di ordinanze. Con specifico riferimento all'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio, la previsione dell'art. 34, comma 1, cod. proc. pen. viene, peraltro, a saldarsi con le disposizioni dell'art. 623 cod. proc. pen., che individuano il giudice competente a pronunciare dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione e che confermano espressamente l'insussistenza dell'incompatibilità nel caso di annullamento di un'ordinanza. Alla luce di tale dato normativo la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, reiteratamente affermato che in sede di rinvio può provvedere lo stesso giudice-persona fisica che ha pronunciato l'ordinanza annullata. Tale principio è stato enunciato, in particolare, con riguardo all'ipotesi dell'annullamento con rinvio di ordinanze in materia di misure cautelari personali, corroborandolo con considerazioni attinenti alla natura delle valutazioni cui il giudice è in quel caso chiamato. Tuttavia, a conclusioni analoghe la Corte di cassazione è pervenuta anche in relazione a un complesso di altre fattispecie, tra cui l'annullamento con rinvio di provvedimenti del giudice dell'esecuzione - i quali assumono tipicamente la forma dell'ordinanza, ai sensi dell'art. 666, comma 6, cod. proc. pen. - ivi compresi quelli che qui specificamente interessano, ossia le ordinanze attinenti a richieste di applicazione della continuazione in executivis (si veda, in particolare, Cass., 19 dicembre 2007-15 gennaio 2008, n. 2098). Peraltro, la mancata previsione dell'incompatibilità in tale ultima ipotesi confligge con agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost. evocati dal giudice rimettente, determinando una incongruenza interna tra la ratio dell'art. 671 cod. proc. pen. e i suoi effetti. Infatti, se il legislatore ha ritenuto di risolvere il problema del ripristino dell'eguaglianza demandando al giudice dell'esecuzione la "sintesi" delle condotte giudicate separatamente, determinandone le conseguenze ai sensi dell'art. 81 del codice penale, non può negarsi che tale apprezzamento presenti tutte le caratteristiche del «giudizio», quali delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini dell'identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, espressivo della sede "pregiudicata" dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda. - Sulle finalità delle norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen.: sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001.