Articolo 623 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Le norme sulla incompatibilità del giudice sono funzionali al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione e ciò ne chiarisce il rilievo costituzionale. Il "giusto processo" comprende infatti l'esigenza di imparzialità del giudice, la quale non è che un aspetto di quel carattere di "terzietà" che connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici, e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio. ( Precedente citato: S. 131/1996 - mass. 22334 ). La disciplina sulla incompatibilità del giudice è volta a evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ovvero dalla naturale propensione a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - derivante da valutazioni che il giudice abbia precedentemente svolto in ordine alla medesima res iudicanda . ( Precedenti citati: S. 66/2019 - mass. 42113; S. 18/2017 - mass. 39495; S. 183/ 2013 - mass. 37211, mass. 37212; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 177/2010 - mass. 34664; S. 224/2001 - mass. 26389; S. 283/2000 - mass. 25513; S. 241/1999 - mass. 24906, mass. 24907 ). Perché possa configurarsi una situazione di incompatibilità del giudice, nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione, è necessario che la valutazione «contenutistica» sulla medesima res iudicanda si collochi in una precedente e distinta fase del procedimento, rispetto a quella della quale il giudice è attualmente investito. È del tutto ragionevole, infatti, che, all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere. ( Precedenti citati: S. 66/2019 - mass. 42113; S. 18/2017 - mass. 39495; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 177/1996 - mass. 22450; O. 76/2007 - mass. 31089; S. 123/2004 - mass. 28436; S. 90/2004 - mass. 28398; O. 370/2000; O. 232/1999 - mass. 24782 ). Non è sufficiente per determinare una situazione di incompatibilità del giudice la semplice conoscenza degli atti anteriormente compiuti riguardanti lo svolgimento del processo, ma occorre che il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione non formale, di contenuto di essi, strumentale alla decisione da assumere che riguardi il merito dell'accusa. ( Precedenti citati: S. 177/2010 - mass. 34664; S. 153/2012 - mass. 36413; S. 131/1996 - mass. 22334 ). Ai fini della incompatibilità la locuzione "giudizio" è di per sé tale da comprendere qualsiasi tipo di giudizio, cioè ogni processo che in base ad un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito. ( Precedente citato: O. 151/2004 - mass. 28472 ). È un "giudizio" contenutisticamente inteso ogni sequenza procedimentale - anche diversa dal giudizio dibattimentale - la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l'attività "pregiudicante", implichi una valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali. ( Precedente citato: S. 224/2001- mass. 26389 ). (Nel caso di specie, sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, Cost., gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena, a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione. La valutazione complessiva del fatto illecito, che compete al giudice dell'esecuzione nell'attività di commisurazione della pena, a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale - nella specie, la sentenza n. 40 del 2019, sostitutiva del minimo edittale del reato di traffico di stupefacenti - presenta tutte le caratteristiche del "giudizio" delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini della incompatibilità. In tale evenienza, infatti, il giudice del rinvio, al pari del giudice dell'ordinanza impugnata, è investito della decisione sulla "misura" della responsabilità del condannato ed esercita incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del fatto alla stregua degli artt. 132 e 133 cod. pen., per adeguare, anche ai fini dell'art. 27 Cost., la risposta punitiva al diverso disvalore che esso ha assunto). ( Precedente citato: S. 183/ 2013 - mass. 37211, mass. 37212 ).
Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett . a ), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 del medesimo codice. Per reiterata affermazione della giurisprudenza costituzionale, le norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen., risultano volte, in particolare, ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla "forza della prevenzione" - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o a mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda . In questa prospettiva, il comma 1 dell'art. 34 cod. proc. pen. si occupa, in via prioritaria, delle ipotesi di incompatibilità conseguenti alla progressione "in verticale" del processo, determinata dalla articolazione e dalla sequenzialità dei diversi gradi di giudizio, ma limita tale incompatibilità - sia essa "ascendente" o "discendente" - al giudice che, in un grado del procedimento, abbia pronunciato o concorso a pronunciare «sentenza»: con ciò escludendo, a contrario, che l'incompatibilità scatti a fronte dell'avvenuta pronuncia di provvedimenti di altro tipo, e segnatamente di ordinanze. Con specifico riferimento all'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio, la previsione dell'art. 34, comma 1, cod. proc. pen. viene, peraltro, a saldarsi con le disposizioni dell'art. 623 cod. proc. pen., che individuano il giudice competente a pronunciare dopo l'annullamento da parte della Corte di cassazione e che confermano espressamente l'insussistenza dell'incompatibilità nel caso di annullamento di un'ordinanza. Alla luce di tale dato normativo la giurisprudenza di legittimità ha, quindi, reiteratamente affermato che in sede di rinvio può provvedere lo stesso giudice-persona fisica che ha pronunciato l'ordinanza annullata. Tale principio è stato enunciato, in particolare, con riguardo all'ipotesi dell'annullamento con rinvio di ordinanze in materia di misure cautelari personali, corroborandolo con considerazioni attinenti alla natura delle valutazioni cui il giudice è in quel caso chiamato. Tuttavia, a conclusioni analoghe la Corte di cassazione è pervenuta anche in relazione a un complesso di altre fattispecie, tra cui l'annullamento con rinvio di provvedimenti del giudice dell'esecuzione - i quali assumono tipicamente la forma dell'ordinanza, ai sensi dell'art. 666, comma 6, cod. proc. pen. - ivi compresi quelli che qui specificamente interessano, ossia le ordinanze attinenti a richieste di applicazione della continuazione in executivis (si veda, in particolare, Cass., 19 dicembre 2007-15 gennaio 2008, n. 2098). Peraltro, la mancata previsione dell'incompatibilità in tale ultima ipotesi confligge con agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost. evocati dal giudice rimettente, determinando una incongruenza interna tra la ratio dell'art. 671 cod. proc. pen. e i suoi effetti. Infatti, se il legislatore ha ritenuto di risolvere il problema del ripristino dell'eguaglianza demandando al giudice dell'esecuzione la "sintesi" delle condotte giudicate separatamente, determinandone le conseguenze ai sensi dell'art. 81 del codice penale, non può negarsi che tale apprezzamento presenti tutte le caratteristiche del «giudizio», quali delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini dell'identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, espressivo della sede "pregiudicata" dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda. - Sulle finalità delle norme sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, di cui all'art. 34 cod. proc. pen.: sentenze n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001.
Sono costituzionalmente illegittimi in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett . a ), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale, ai sensi dell'art. 671 dello stesso codice. La disposta dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a ), cod. proc. pen. - nella parte relativa alla mancata previsione della incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento del giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen. - va estesa, in via consequenziale, all'ipotesi dell'annullamento con rinvio dell'ordinanza che si pronunci sulla richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale. Infatti, tale ultima fattispecie è regolata congiuntamente all'altra dallo stesso art. 671 cod. proc. pen. e per essa valgono le medesime considerazioni. Infatti, anche nella pronuncia del giudice dell'esecuzione sull'applicazione della disciplina del concorso formale si rinvengono - al pari di quella sull'applicazione della continuazione - tutte le caratteristiche del «giudizio», quali delineate dalla giurisprudenza costituzionale ai fini dell'identificazione del secondo termine della relazione di incompatibilità costituzionalmente rilevante, espressivo della sede "pregiudicata" dall'effetto di "condizionamento" scaturente dall'avvenuta adozione di una precedente decisione sulla medesima res iudicanda.
Non puo' trovare ingresso in sede di scrutinio di costituzionalita' la richiesta diretta alla introduzione nel sistema processuale di un mezzo straordinario di impugnazione avverso le decisioni della Corte di cassazione che, in presenza di determinate condizioni (individuate dal giudice "a quo" nelle statuizioni "implicite o conseguenziali" che non sono state oggetto di contraddittorio), consenta di ovviare alle conseguenze, ritenute lesive di diritti dell'imputato, di (presunti) errori contenuti nelle pronunce della Suprema Corte. Una siffatta richiesta di pronuncia additiva e' infatti palese mente inammissibile, comportando l'introduzione di innovazioni che, per la loro ampiezza e per la pluralita' di soluzioni e modalita' attuative, non possono che discendere da scelte riservate al legislatore, nell'esercizio della sua sfera di discrezionalita' nell'opera di conformazione del processo. (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 25, primo comma, Cost., degli artt. 623 e 624 cod. proc. pen.). - V. massima A e C. V. S. nn. 471/1992, 21/1982, 136/1972. red.: G. Conti
La questione di costituzionalita' degli artt. 623 e 624 cod. proc. pen., sollevata nella parte in cui non prevedono che in caso di rinvio dalla Corte di cassazione, per annullamento parziale di sentenza, che importa il venir meno, in un processo cumulativo, dell'elemento componente che ha determinato spostamento di competenza, esso debba essere disposto a quel giudice che e' competente per l'imputato e per il reato oggetto del rinvio, si traduce in realta' nella richiesta alla Corte costituzionale di operare una sorta di revisione in grado ulteriore della sentenza della Cassazione che ha dato origine al giudizio "a quo", e cioe' di svolgere un ruolo di giudice dell'impugnazione che non le compete. D'altra parte, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale, dalla autorita' di giudicato delle decisioni della Cassazione in materia di competenza discende la irrilevanza di questioni che tendano a rimettere in discussione la competenza attribuita nel caso concreto dalla Cassazione medesima, in quanto ogni ulteriore indagine sul punto deve ritenersi definitivamente preclusa e quindi nessuna influenza potrebbe avere una qualsiasi pronuncia della Corte costituzionale nel giudizio "a quo". (Inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 25, primo comma, Cost., degli artt. 623 e 624 cod. proc. pen.). - V. massime A e B. Sulla prima parte della massima, v. S. n. 247/1995 e O. n. 410/1994 e 44/1994; sulla seconda, v. S. nn. 25/1989, 237/1976, 216/1976, 132/1970, 51/1970. red.: G. Conti