Articolo 452 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, la questione di legittimita' costituzionale proposta, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., nei confronti dell'art. 452, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui subordina l'adozione del giudizio abbreviato, nell'ambito e in prosecuzione del giudizio direttissimo, al consenso del pubblico ministero. La questione e' stata infatti sollevata esclusivamente in base all'assunto che il legislatore non ha dato seguito all'invito a provvedere alla riforma del giudizio abbreviato, contenuto nella sentenza n. 442 del 1994, e senza che, nell'ordinanza di rimessione - che si limita a richiamare i parametri costituzionali - venga indicata alcuna ragione di dubbio sulla costituzionalita' della norma impugnata, e pertanto, nel caso, il requisito posto al riguardo dagli artt. 1, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non puo' ritenersi assolto. red.: S. Pomodoro
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost. in relazione agli artt. 23, comma 3, d.lgs. 29 maggio 1991, n. 171 e 441 cod. pen., l'art. 60, l. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude che le sanzioni sostitutive si applichino ai reati previsti dall'art. 452, comma 2, cod. pen., in quanto - posto che l'art. 23, comma 3, d.lgs. n. 171 del 1991 punisce con l'arresto sino ad un anno chiunque mette in commercio specialita' medicinali per le quali l'autorizzazione all'immissione al commercio non sia stata rilasciata o confermata ovvero sia stata sospesa o revocata, o specialita' medicinali aventi una composizione dichiarata diversa da quella autorizzata; che l'art. 441 cod. pen. punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a lire seicentomila chiunque adultera o contraffa', in modo pericoloso per la salute pubblica, cose destinate al commercio diverse dalle sostanze alimentari; e che entrambi i reati prevedono una pena sostituibile ai sensi dell'art. 53 ss., l. n. 689 del 1981 - e' irragionevole un sistema normativo che preclude l'applicabilita' delle sanzioni sostitutive relativamente a reati qualificabili meno gravi, consentendola, invece, per l'immobilita' dell'elenco previsto dall'art. 60 l. n. 689 del 1981, relativamente a fattispecie da considerare di pari o maggiore gravita', incidenti sulla medesima materia, ma tuttavia ammessi alla sostituzione. - S. nn. 249/1993, 254/1994; O. nn. 489/1990, 442/1991, 319/1992. red.: S. Di Palma
La questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento ai principi di eguaglianza e di stretta legalita', nei confronti delle disposizioni dell'art. 452, secondo comma, cod. proc. pen., (sulla trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato) e dell'art. 247, secondo comma, d.lgs. n. 271, (che regola l'innesto del giudizio abbreviato nei dibattimenti a cui continuano ad applicarsi le norme del codice abrogato), nelle parti in cui fanno dipendente l'ammissibilita' del giudizio abbreviato (anche) dal consenso del pubblico ministero, non e' suscettibile di accoglimento. Infatti, pur non negandosi il peso dei problemi posti, anche in tali ipotesi, dalla possibile incidenza - da tempo in evidenza nelle pronunce della Corte in materia - sulla esperibilita' del rito abbreviato e del piu' favorevole trattamento sanzionatorio che questo comporta, di scelte discrezionali e insindacabili del pubblico ministero, le conseguenze della eliminazione - su cui si appunta il 'petitum' - del consenso del pubblico ministero quale presupposto del giudizio abbreviato, (quali le ripercussioni sulla disciplina degli altri tipi di giudizio abbreviato e le ulteriori censure di incostituzionalita' che ne deriverebbero, e sui limiti di appellabilita' della sentenza da parte del pubblico ministero, stabiliti dall'art. 443, richiamato dall'art. 452) e la pluralita' di scelte implicita nei necessari interventi manipolativi (tra cui la disciplina del diritto del pubblico ministero alla prova e della parte privata alla controprova, che, divenuto il giudice arbitro della formazione del materiale probatorio, dovrebbe essere elaborata) dimostrano che la via per superare i non ingiustificati dubbi di incostituzionalita' della disciplina in questione, non puo' essere che quella legislativa, nel quadro di una organica e generale riforma del giudizio abbreviato, secondo le linee e i principi gia' indicati dalla Corte. Va pertanto rinnovato il pressante invito gia' espresso al riguardo, con l'avvertenza che, perdurando, da parte degli organi costituzionali competenti, l'attuale stato di inerzia, la Corte, ove investita di ulteriori questioni sul tema, non potrebbe esimersi dall'adottare decisioni piu' drastiche. (Inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., degli artt. 452, secondo comma, cod. proc. pen., e 247, secondo comma, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271). - Cfr. S. nn. 92/1992, 187/1992, 56/1993 e 129/1993. red.: S.P.
La disciplina positiva della responsabilita' per le spese dei processi penali per reati perseguibili solo a querela di parte, mentre avverte l'esigenza di prevenire e sanzionare la presentazione di denunce temerarie o del tutto prive di fondamento, non trascura neanche l'opportunita' di non scoraggiare l'esercizio del diritto di querela. Pertanto, nel quadro di un necessario contemperamento fra tali opposte istanze, la mancata previsione, nei casi di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, della condanna del querelante alle spese anticipate dallo Stato, appartiene, in assenza di ostative esigenze di rilievo costituzionale (v. massima A), alla piena discrezionalita' del legislatore. La diversita' della scelta adottata in proposito riguardo al decreto di archiviazione rispetto a quella operata riguardo alle sentenze di non luogo a procedere all'esito dell'udienza preliminare e di proscioglimento a seguito di dibattimento, con le quali e' possibile che il querelante sia condannato alle spese (cfr. art. 542, in relazione all'art. 427, cod. proc. pen.), e' giustificata dalla diversita' di effetti, connotati e stabilita' propri del decreto di archiviazione, sempre superabile da una successiva riapertura delle indagini motivata dalla semplice esigenza di nuove investigazioni. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 554, 408, 427, 542 cod. proc. pen. e 125 delle norme di attuazione, coordinamento e transitorie dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono che il querelante debba essere condannato, con il decreto che dispone l'archiviazione, al pagamento delle spese anticipate dallo Stato, nei casi in cui gli elementi giudicati non idonei a sostenere l'accusa in giudizio investano la sussistenza del fatto o la commissione dello stesso da parte del querelato).
Contro quanto ritenuto dal giudice 'a quo' e' da escludersi che la direttiva 53 dell'art. 2 della legge di delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, contenente la disciplina fondamentale per l'ipotesi tipica di giudizio abbreviato che si innesti nel rito ordinario, possa interpretarsi nel senso che la stessa preveda che il giudizio abbreviato si svolga solo nell'udienza preliminare. La impossibilita' - che ne sarebbe conseguita - che il giudizio abbreviato abbia luogo nel processo pretorile e nei procedimenti speciali - tra i quali il rito direttissimo - caratterizzati dall'assenza dell'udienza preliminare, avrebbe infatti comportato una sostanziale pretermissione del criterio generale della massima semplificazione posto dall'art. 1, e la sottrazione agli imputati nei cui confronti si instaura un procedimento speciale, della possibilita' di beneficiare della riduzione di pena collegata al giudizio abbreviato, in contrasto con il canone generale di rispetto ai principi della Costituzione - tra cui quello dell'eguaglianza - posto a sua volta dal primo comma dell'art. 2 della medesima legge delega. Pertanto la statuizione, dell'art. 452, secondo comma, cod.proc.pen., che il giudizio abbreviato derivante da conversione del giudizio direttissimo - a differenza di quello ordinario (artt. 438 st. cod.) - si celebri in dibattimento, non puo' dirsi viziata - sotto l'anzidetto profilo - da eccesso di delega. (Non fondatezza, in riferimento all'art. 76 Cost., in relazione all'art. 2, n. 53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 452, secondo comma, cod. proc. pen., in parte ' qua').
Come la Corte ha gia' rilevato e come si evince altresi' dai lavori preparatori del vigente codice di procedura penale, la configurazione del giudizio abbreviato come giudizio "a prova contratta", rigorosamente delimitato dallo "stato degli atti", non e' affatto un connotato ineliminabile di tale giudizio. Ne' puo' dirsi tale la rinuncia al diritto di eventuali allegazioni difensive, dato che, a giustificare la riduzione della pena collegata al giudizio abbreviato e' sufficiente la realizzazione dell'interesse dell'ordinamento alla semplificazione attraverso la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed il riconoscimento del valore di prova agli elementi acquisiti dal pubblico ministero. Cosicche' e' da escludere che il giudizio abbreviato derivante da conversione del giudizio direttissimo - nel quale la integrazione probatoria si dimostra particolarmente necessaria in quanto il giudizio direttissimo viene istaurato sulla base di una scelta esclusiva del pubblico ministero e delle indagini da lui ritenute necessarie - risulti caratterizzato - come ritenuto dal giudice ' a quo' - da una riduzione obbligatoria della pena senza corrispettivo processuale, e che quindi l'art. 452, secondo comma, cod.proc.pen., nello stabilire che nella suddetta ipotesi il giudizio abbreviato non sia condizionato alla sua decidibilita' allo sato degli atti, si ponga in contrasto con la direttiva n. 53 dell'art. 2 della legge di delega e con il principio di eguaglianza. (Non fondatezza, in riferimento all'art. 76 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - e all'art. 3 Cost., della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 452, secondo comma, cod.proc.pen., in parte 'qua'). - V. sent. n. 92/1992.
Per costante giurisprudenza della Corte costituzionale non possono essere sottoposte al suo giudizio questioni prospettate in via alternativa, la cui rilevanza dipende da un quesito interpretativo che dovrebbe essere risolto dallo stesso giudice remittente. Come avviene per le questioni in oggetto, riguardanti entrambe la trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, ma sollevate, con la stessa ordinanza, rispettivamente, la prima, nei confronti dell'art. 247 delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, per la mancata estensione al regime transitorio del meccanismo di integrazione probatoria previsto dall'art. 452 cod. proc. per il procedimento ordinario, e, la seconda, nei confronti, oltre che del su indicato art. 247, dello stesso art. 452, perche' in esso la trasformazione del rito, con la connessa possibile riduzione di pena, verrebbe fatta dipendere da scelte discrezionali del pubblico ministero, e lasciando dunque irrisolto il dubbio se l'art. 452 sia o no nel giudizio a 'quo' applicabile. (Manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 247 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 e 452, secondo comma, cod. proc. pen., sollevate in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.).
Come piu' volte e' stato affermato e ribadito, quando dalla stessa prospettazione dei giudici 'a quibus' risulta che ai quesiti sottoposti alla Corte costituzionale possono essere date diverse soluzioni e nessuna di esse e' costituzionalmente obbligata, deve dichiararsi l'inammissibilita' delle questioni, in quanto vertenti in materia di scelte rimesse alla discrezionalita' del legislatore. Cio' si verifica per la questione sollevata nei confronti degli artt. 449 e 452 cod. proc. pen., in cui si contesta che l'instaurazione del giudizio abbreviato atipico (v. massima B) derivante da trasformazione del giudizio direttissimo, e che percio' consente, a differenza del giudizio abbreviato ordinario, una piena integrazione probatoria, possa essere preclusa da un dissenso del pubblico ministero, in quanto, potendo il pubblico ministero determinarsi a consentire o dissentire a seconda che confidi o meno nella successiva integrazione ad opera del giudice, l'instaurazione del giudizio abbreviato e la fruizione della diminuzione di pena per esso prevista, verrebbero a dipendere da una scelta discrezionale, dell'organo dell'accusa, come tale lesiva dei principi di parita' di trattamento e legalita' della pena. In aggiunta alle possibili soluzioni per evitare che questo accada, prospettate nelle ordinanze di rimessione (instaurazione del giudizio abbreviato in base alla sola richiesta dell'imputato; imposizione al pubblico ministero di compiere prima dell'instaurazione del giudizio direttissimo gli accertamenti necessari ad integrare il requisito della decidibilita' allo stato degli atti, ecc.) altre infatti potrebbero ipotizzarsene, cosicche', pur non negandosi rilievo, in linea di principio, al problema, e' chiaro che esso e' risolubile solo attraverso un intervento del legislatore. (Inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 449 e 452, secondo comma, cod. proc. pen., sollevate in riferimento agli art. 3 e 101 Cost.). - Riguardo ad altra questione - anch'essa dichiarata inammissibile - in cui si e' pure constestata l'incidenza sull'instaurazione del giudizio abbreviato di scelte discrezionali del pubblico ministero: S. n. 92/1992.
Questione concernente norma gia' dichiarata costituzionalmente illegittima. - S. n. 183/1990.
Questione concernente norma gia' dichiarata costituzionalmente illegittima in parte qua. - S. n. 183/90.