Articolo 408 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., nei confronti dell'art. 408, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, in seguito a richiesta di archiviazione, da parte del pubblico ministero, per infondatezza della notizia di reato, la persona offesa, ai fini di una eventuale opposizione, abbia facolta' di estrarre copia degli atti di cui puo' prendere visione. Nel promuovere l'incidente, infatti, il rimettente giudice per le indagini preliminari, dopo aver rilevato che nessun problema, nel caso, sarebbe sorto se il pubblico ministero, adeguandosi ad uno specifico precedente delle Sezioni unite della Corte di cassazione, avesse consentito alla estrazione di copia informale degli atti quando il difensore ne aveva fatto richiesta, osserva che la Corte costituzionale, a sua volta, nella sentenza n. 192 del 1997, ha affermato - anche se con riguardo ad altra questione - che in generale "il deposito degli atti in Cancelleria a disposizione delle parti deve, di regola, comportare necessariamente, insieme al diritto di prenderne visione, la facolta' di estrarne copia". Dal che e' chiaro che nell'ordinanza di rimessione il dubbio di costituzionalita' e' prospettato con riferimento alla interpretazione data alla norma impugnata dal pubblico ministero, senza pero' condividerla, e che la ordinanza e' inoltre del tutto carente di motivazione in ordine alle ragioni per cui il giudice 'a quo' non ha ritenuto di rilasciare egli stesso le copie richieste, come pure, alla luce della sentenza n. 192 del 1997, avrebbe potuto fare. Risultandone, di conseguenza, non osservato il consolidato principio secondo il quale, ove una norma di legge consenta una interpretazione conforme a Costituzione, il giudice e' tenuto a farla propria, dovendo sollevare questione di legittimita' costituzionale solo se sia impossibile darne una interpretazione corretta. - V. S. n. 192/1997 (gia' citata nel testo). - Riguardo al principio su richiamato in tema di interpretazione v. inoltre, in particolare, S. n. 356/1996. V. anche Cassazione - sez. unite penali 3 febbraio - 4 aprile 1995, ric. Sciancalepore.
La disciplina positiva della responsabilita' per le spese dei processi penali per reati perseguibili solo a querela di parte, mentre avverte l'esigenza di prevenire e sanzionare la presentazione di denunce temerarie o del tutto prive di fondamento, non trascura neanche l'opportunita' di non scoraggiare l'esercizio del diritto di querela. Pertanto, nel quadro di un necessario contemperamento fra tali opposte istanze, la mancata previsione, nei casi di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, della condanna del querelante alle spese anticipate dallo Stato, appartiene, in assenza di ostative esigenze di rilievo costituzionale (v. massima A), alla piena discrezionalita' del legislatore. La diversita' della scelta adottata in proposito riguardo al decreto di archiviazione rispetto a quella operata riguardo alle sentenze di non luogo a procedere all'esito dell'udienza preliminare e di proscioglimento a seguito di dibattimento, con le quali e' possibile che il querelante sia condannato alle spese (cfr. art. 542, in relazione all'art. 427, cod. proc. pen.), e' giustificata dalla diversita' di effetti, connotati e stabilita' propri del decreto di archiviazione, sempre superabile da una successiva riapertura delle indagini motivata dalla semplice esigenza di nuove investigazioni. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 554, 408, 427, 542 cod. proc. pen. e 125 delle norme di attuazione, coordinamento e transitorie dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono che il querelante debba essere condannato, con il decreto che dispone l'archiviazione, al pagamento delle spese anticipate dallo Stato, nei casi in cui gli elementi giudicati non idonei a sostenere l'accusa in giudizio investano la sussistenza del fatto o la commissione dello stesso da parte del querelato).
Riguardo alla disciplina dell'archiviazione, con la direttiva n. 50 della legge di delega 16 febbraio 1987, n. 87, e' stata adottata una formula - la "manifesta infondatezza" - identica tanto a quella della precedente delega del 1974 (punti 37 e 41) e del relativo progetto preliminare (art. 379), quanto a quella che, secondo l'interpretazione comune, definiva il grado di infondatezza idoneo a consentire l'archiviazione secondo il codice abrogato. Tra vecchio e nuovo codice, tuttavia, vi e', in materia, una fondamentale differenza. Nel primo, la decisione sull'archiviazione, assunta in base alla sola notizia di reato o a piu' o meno scarni elementi acquisiti nel corso degli atti preliminari all'istruzione, tendeva a stabilire se vi fosse o no un'infondatezza cosi' manifesta da far ritenere superflua o meno, l'istruzione vera e propria. Nel secondo, invece, si tratta di decidere all'esito, e sulla base, di indagini preliminari anche "complete" e talvolta integrate da investigazioni suppletive (artt. 409, 410 e 413). Cio' spiega perche' il legislatore delegato, nel formulare l'art. 408, abbia ritenuto di omettere l'attributo "manifesta" che il delegante aveva adottato senza particolari discussioni sul punto: si e' ritenuto, cioe', verosimilmente, che "l'infondatezza", collocata al termine delle indagini preliminari, recasse gia' in se' il segno dell'inequivocita'. Il vero significato della regola cosi' dettata e', quindi, quello della non equivoca, indubbia superfluita' del processo.
Manifesta inammissibilita' della questione per essere stata la stessa proposta prematuramente ( prima della pronuncia sull'investigazione suppletiva richiesta dalla parte offesa). - S. nn. 300/1983, 472/1989; o. nn. 76/1987, 564/1989 e 370/1990.