Articolo 270 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E? infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 266-271 del codice di procedura penale e segnatamente, dell?art. 266, comma 2, dello stesso codice, in riferimento agli artt. 3 e 14 Cost. tendente all?ottenimento di una pronuncia additiva che allinei la disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei medesimi luoghi. Ed invero, il modello normativo evocato dal giudice 'a quo' come 'tertium comparationis' è inconferente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a confronto: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da un lato; l?invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall?altro. L?ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di intercettazione di comunicazioni potrebbe essere disciplinata soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali dell?art. 14 Cost.
Manifesta inammissibilita' delle questioni per carenza assoluta di motivazione in quanto il giudice remittente si e' limitato ad enunciarle senza minimamente prospettare come e perche' la norma contestata possa apparire di dubbia costituzionalita' rispetto agli invocati parametri. red.: E.M. rev.: S.P.
Nella fase delle indagini preliminari l'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche a fini probatori e' disciplinata dall'art. 270 c.p.p. che, al primo comma, mentre prevede, come regola generale, il divieto di utilizzare detti risultati in procedimenti diversi da quello per il quale le stesse intercettazioni sono state validamente autorizzate dal giudice, pone poi una norma del tutto eccezionale diretta a consentire l'utilizzazione in processi diversi di dette acquisizioni limitatamente ai casi in cui gli elementi raccolti risultino indispensabili per l'accertamento di delitti comportanti l'obbligatorieta' dell'arresto in flagranza, indicati nell'art. 380 c.p.p.. Trattandosi di una norma legislativa incidente su un diritto di liberta' individuale qualificabile come inviolabile ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, la verifica della legittimita' costituzionale di detta disciplina deve quindi avvenire secondo principi rigorosi, esaminando cioe' se la restrizione prevista sia diretta al soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante e, nello stesso tempo, risulti circoscritta alle operazioni strettamente necessarie alla tutela di quell'interesse. - cfr. la sent. n. 366/1991. red.: E.M. rev.: S.P.
L'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitata all'accertamento dei soli reati per i quali e' previsto l'arresto in flagranza ex art. 380 c.p.p. e presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale, non e' irragionevole - come ritenuto dal giudice 'a quo' - ma costituisce un non irragionevole bilanciamento operato discrezionalmente dal legislatore fra il valore costituzionale rappresentato dal diritto inviolabile dei singoli individui alla liberta' e alla segretezza delle loro comunicazioni e quello rappresentato dall'interesse pubblico primario alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono, giustificato anche dall'attuale contesto sociale caratterizzato dalla seria minaccia alla convivenza civile e all'ordine pubblico da parte della criminalita' organizzata; tale utilizzazione, inoltre, viene determinata con le garanzie del contraddittorio tra le parti nelle forme previste dall'art. 268, commi sesto, settimo e ottavo c.p.p.. Ne' puo' riconoscersi fondamento all'asserita disparita' di trattamento derivante dal fatto di aver escluso l'utilizzo dei risultati delle intercettazioni telefoniche per reati punibili con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti, mentre e' permesso per quelli punibili con la pena della reclusione superiore nel massimo ad anni cinque, trattandosi di situazioni non comparabili perche' diverse ed eterogenee. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 270, comma primo, c.p.p., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.). red.: E.M. rev.: S.P.
Inammissibilita' della questione per non avere il giudice remittente motivato adeguatamente, in modo da rendere possibile l'individuazione in modo univoco del contenuto e del senso della censura proposta. ____________ N.B.: Massima redatta con riferimento al testo della decisione cosi' come modificata dalla ordinanza di correzione n. 400 del 1991.
Interpretato come divieto di utilizzabilita', quali fonti di prova in procedimenti diversi, dei risultati delle intercettazioni legittimamente disposte in un determinato giudizio, l'art. 270, primo comma, cod. proc. pen., appare nel suo complesso come l'immediata attuazione in via legislativa dei principi costituzionali (v. massima B). L'utilizzazione come prova in altro procedimento trasformerebbe infatti l'intervento del giudice richiesto dall'art. 15 Cost., vanificando l'esigenza piu' volte affermata dalla Corte (v. massima B) che esso sia puntualmente motivato, in una inammissibile "autorizzazione in bianco", con conseguente lesione della "sfera privata" legata alla garanzia della liberta' di comunicazione e al connesso diritto di riservatezza incombente su tutti coloro che ne siano venuti a conoscenza per motivi di ufficio.
Pur ammettendosi che l'ipotetica estensione del divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello per cui sono state disposte, al di la' del campo probatorio (v. massima C), rientri - nei limiti della non irragionevolezza e coerenza che esso incontra - nel discrezionale apprezzamento del legislatore, e' senz'altro da escludere - contro quanto sostenuto dal giudice 'a quo' (v. massima E) - che l'art. 270 , primo comma, cod. proc. pen. (cosi' com'e') possa essere inteso in un senso comportante la preclusione dell'utilizzazione delle informazioni raccolte attraverso intercettazioni legittimamente disposte in un determinato procedimento, oltre che come prove in altri procedimenti (v. massima C) come fonti da cui eventualmente desumere una 'notitia criminis'. La conoscenza di fatti astrattamente qualificabili come illeciti penali che venga acquisita attraverso intercettazioni legittimamente autorizzate o, all'interno del medesimo procedimento, per altri reati, non impone al P.M. l'inizio di un procedimento, ma consente tuttavia che egli proceda ad accertamenti volti ad acquisire nuovi elementi di prova sulla cui base soltanto potra' successivamente proporre l'azione penale. Vengono quindi meno, in radice, i dubbi di legittimita' costituzionale sollevati, nel caso, in riferimento al principio di obbligatorieta' dell'azione penale, sulla base della suddetta non corretta interpretazione della norma impugnata. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 270, primo comma, cod. proc. pen., in riferimento all'art. 112 Cost.). ______________ N.B.: Massima redatta con riferimento al testo della decisione cosi' come modificato dalla ordinanza di correzione n. 400 del 1991.