Articolo 271 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E? manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell?art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, norma in forza della quale il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, che le operazioni di intercettazione siano compiute mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria, unicamente quando gli impianti installati nella procura della Repubblica risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, e dell?art. 271, comma 1, del medesimo codice, nella parte in cui prevede l?inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, qualora non siano state osservate le disposizioni di cui al citato art. 268, comma 3. Identica questione, successivamente alla ordinanza di rimessione, è stata dichiarata manifestamente infondata, sulla base del rilievo che l?avere il legislatore privilegiato, per l?effettuazione delle operazioni di intercettazione, l?impiego degli apparati esistenti negli uffici giudiziari ? dettando una disciplina volta a circoscrivere, con apposite garanzie, l?uso di impianti esterni ? non può qualificarsi, in sé, come scelta arbitraria, avuto riguardo anche alla particolare invasività del mezzo nella sfera della segretezza e libertà delle comunicazioni costituzionalmente presidiata, escludendosi che rientri tra i compiti della Corte ?inseguire? il progresso tecnologico, valutando se esso renda necessario od opportuno un adeguamento o, addirittura, il superamento delle originarie regole di cautela, trattandosi, al contrario, di valutazione istituzionalmente rimessa al legislatore, al pari dello stabilire se la violazione delle regole in questione debba essere o meno equiparata, sul piano della sanzione processuale, alla carenza dell?autorizzazione e all?esecuzione delle intercettazioni al di fuori dei casi consentiti dalla legge, ed escludendosi altresì che le disposizioni censurate incidano sull?obbligo del pubblico ministero di esercitare l?azione penale, limitandosi esse a stabilire le ?garanzie tecniche? di espletamento di un mezzo di ricerca della prova particolarmente invasivo, mentre non può istituirsi alcuna utile comparazione con la disciplina delle intercettazioni preventive, di cui all?art. 226 disp. att. cod. proc. pen., le quali, mirando non ad accertare reati, ma a prevenirne la commissione, sono caratterizzate ? proprio in relazione a tale diversità ? da una disciplina distinta e da un livello di garanzie complessivamente inferiore rispetto alle intercettazioni regolate dalle disposizioni di cui agli artt. 266 e seguenti del codice di rito. - Sulla disciplina della localizzazione degli impianti per le intercettazioni telefoniche, v. le citate ordinanze nn. 304/2000, 259/2001 e 209/2004.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, del codice di procedura penale, denunziati, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui - secondo l'interpretazione della Corte di cassazione - prevedono che tutte le operazioni di intercettazione, e non soltanto quelle telefoniche, possano essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, salvo motivato provvedimento di deroga del pubblico ministero, in ragione della insufficienza o inidoneità di detti impianti e della sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza e ciò a pena di inutilizzabilità dei risultati delle operazioni stesse. Il rimettente utilizza infatti il giudizio di costituzionalità per un fine ad esso estraneo, in quanto propone la questione al scopo di ricevere dalla Corte un improprio avallo ad una determinata interpretazione - ritenuta preferibile - mentre tale attività è rimessa al giudice di merito, tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati. - Per decisioni nello stesso senso, cfr., 'ex plurimis', le citate ordinanze n. 199, n. 233 e n. 351/2001.
E? infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 266-271 del codice di procedura penale e segnatamente, dell?art. 266, comma 2, dello stesso codice, in riferimento agli artt. 3 e 14 Cost. tendente all?ottenimento di una pronuncia additiva che allinei la disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei medesimi luoghi. Ed invero, il modello normativo evocato dal giudice 'a quo' come 'tertium comparationis' è inconferente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a confronto: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da un lato; l?invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall?altro. L?ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di intercettazione di comunicazioni potrebbe essere disciplinata soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali dell?art. 14 Cost.
E' manifestamente infondata - sottraendosi palesemente la disciplina denunciata a qualsiasi censura sul piano della ragionevolezza - la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 271, comma 1, cod. proc. pen., censurato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui commina la sanzione dell'inutilizzabilita' per le intercettazioni di conversazioni telefoniche eseguite presso un impianto di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria senza l'osservanza del disposto dell'art. 268, comma 3, ultimo inciso, cod. proc. pen. L.T.
La richiesta, formulata nel caso dal giudice 'a quo', di una pronunzia additiva volta ad estendere le garanzie previste dagli artt. 266 e 271 cod. proc. pen. per l'intercettazione del contenuto di conversazioni telefoniche a qualsiasi altra acquisizione a fini probatori di notizie riguardanti il fatto storico della avvenuta comunicazione, non puo' essere accolta. A tale conclusione ostano i contenuti normativi delle suddette, dal momento che essi sono conformati esclusivamente a operazioni relative all'intercettazione del contenuto di conversazioni (telefoniche) e non sono, pertanto, estensibili a differenti forme di intervento nella sfera di riservatezza delle comunicazioni tra privati, ne' ad aspetti diversi da quello attinente al contenuto delle comunicazioni medesime (identita' dei soggetti, tempo e luogo della conversazione).
Nelle norme del codice di procedura penale relative all'acquisizione delle prove in giudizio i valori garantiti dall'art. 15 Cost. sono rappresentati in misura indubbiamente ampia e, tuttavia, parziale. Oltre agli articoli concernenti le intercettazioni telefoniche (artt. 266 e 271 cod.proc.pen.), assume sicuramente rilievo l'art. 256 cod.proc.pen., il quale, nel regolare in via generale l'acquisizione di documenti coperti dal segreto professionale (o dal segreto di Stato), pone una disciplina applicabile anche all'ente gestore del servizio pubblico della telefonia e, pertanto, costituisce, per l'aspetto considerato, l'attuazione per via legislativa della tutela connessa al dovere di riserbo, implicitamente contenuto nell'art. 15 della Costituzione come garanzia istituzionale del diritto della persona alla liberta' e alla segretezza delle comunicazioni. Tuttavia, proprio in ragione della sua natura giuridica, tale garanzia non puo' essere scambiata con la tutela direttamente attribuita ai soggetti della comunicazione in ordine alla segretezza della sfera privata che circonda l'esercizio della relativa liberta'.