Articolo 269 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E? infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 189 e 266-271 del codice di procedura penale e segnatamente, dell?art. 266, comma 2, dello stesso codice, in riferimento agli artt. 3 e 14 Cost. tendente all?ottenimento di una pronuncia additiva che allinei la disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei medesimi luoghi. Ed invero, il modello normativo evocato dal giudice 'a quo' come 'tertium comparationis' è inconferente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a confronto: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da un lato; l?invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall?altro. L?ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di intercettazione di comunicazioni potrebbe essere disciplinata soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali dell?art. 14 Cost.
Questione gia' dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione. - S. n. 463/1994. red.: S.P.
Va ribadito che per aversi nel giudizio in via incidentale, una questione di legittimita' costituzionale validamente posta, e' sufficiente che il giudice 'a quo' riconduca alla disposizione contestata un'interpretazione non implausibile della quale egli, a una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, possa fare applicazione nel giudizio principale e sulla quale nutra dubbi non arbitrari di conformita' a determinate norme costituzionali. In base a tali principi e' da escludere nella specie che la questione sollevata, in riferimento agli artt. 76 - in relazione all'art. 2, n. 41, lett. e) - della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - e 3 Cost., nei confronti dell'art. 269, comma 2, ultima proposizione, cod. proc. pen., letto nel senso che per la decisione del giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di distruzione della documentazione attinente a intercettazioni telefoniche ritenute non necessarie per il procedimento, anche quando la richiesta venga avanzata dal pubblico ministero contestualmente alla istanza di archiviazione, si impone l'applicazione del rito camerale disciplinato dall'art. 127 cod. proc. pen., sia una questione di mera interpretazione come tale sottratta al sindacato della Corte costituzionale. Deve quindi respingersi la eccezione di inammissibilita' formulata in base a tale assunto dall'Avvocatura dello Stato. - S. nn. 117/1994, 51/1992, 64/1991 e 41/1990.
E' indubbio che la decisione giudiziale - contemplata dall'art. 269, comma 2, cod. proc. pen. - sulla richiesta, da chiunque formulata, relativa alla distruzione del materiale documentale attinente ad intercettazioni telefoniche incide in ogni caso sopra un diritto costituzionale - quello alla riservatezza delle proprie comunicazioni - dichiarato piu' volte dalla Corte costituzionale come un diritto inviolabile ai sensi dell'art. 2 Cost. Pertanto, poiche' anche nel caso in cui la richiesta di distruzione del materiale documentale sia avanzata dal pubblico ministero - in relazione ad intercettazioni ritenute non necessarie ai fini del procedimento - contestualmente alla istanza di archiviazione vengono in considerazione valori e interessi non diversi da quelli coinvolti allorche' la richiesta di distruzione della documentazione delle intercettazioni venga presentata dagli interessati, l'interpretazione della norma nel senso che anche nella prima, come nella seconda ipotesi nonostante che solo per questo lo si preveda espressamente si impone l'applicazione del rito camerale di cui all'art. 127 stesso cod., non soltanto e' possibile ma e' anzi l'unica compatibile con la salvaguardia dei principi costituzionali. Non puo' ammettersi infatti che con la decisione con cui - come ben puo' verificarsi - mentre si archivia il procedimento, si rigetti l'istanza di distruzione delle intercettazioni telefoniche, la conservazione di un materiale probatorio, acquisito con sacrificio di un diritto personale di carattere inviolabile, venga disposta senza una valutazione, in contraddittorio tra le parti, tanto del legame di necessarieta', rispetto al procedimento, delle intercettazioni di cui e' stata richiesta la distruzione, quanto della incidenza della decisione stessa sulle esigenze di tutela della riservatezza degli interessati. E d'altro canto, dato che la decisione di archiviazione, a differenza della sentenza non piu' soggetta ad impugnazione, e', per un verso, priva di stabilita' nei suoi effetti, e, per altro, costituisce l'atto conclusivo di un procedimento conclusivo di una fase del procedimento caratterizzato dalla segretezza delle indagini eseguite, e' ragionevole che sia preservato in capo alle parti il diritto di essere sentite, in applicazione dell'art. 127 cod. proc. pen., riguardo all'eventuale utilita' di uno strumento probatorio, acquisito con sacrificio della propria sfera di riservatezza, sul quale in futuro in caso di riapertura delle indagini, potrebbe fondarsi, ad avviso delle parti medesime, un giudizio di non colpevolezza a loro vantaggio. - Sul diritto alla riservatezza delle proprie comunicazioni come diritto inviolabile ex art. 2 Cost., e relative implicazioni, cfr. S. nn. 63/1994, 81/1993, 366/1991 e 34/1973.
Interpretato nel senso - in cui peraltro anche la Cassazione, nella sentenza pronunciata nel corso del processo principale, e lo stesso giudice 'a quo', nell'ordinanza di rimessione, l'hanno inteso - secondo cui per la decisione del giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di documentazione attinente a intercettazioni telefoniche ritenute non necessarie ai fini del procedimento, anche quando la richiesta di distruzione sia avanzata dal pubblico ministero contestualmente all'istanza di archiviazione, si impone l'applicazione del rito camerale, in contraddittorio tra le parti, previsto dall'art. 127 cod. proc. pen., l'art. 269, comma 2, stesso codice e' pienamente conforme - contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente - ai principi stabiliti in materia, a garanzia del diritto alla riservatezza, dall'art. 2, n. 41, lett. e) della legge di delega. E' altresi' da escludere che nella diversita' di situazioni che, per effetto della citata disposizione - come sopra letta - puo' determinarsi tra coloro che per essere stati sottoposti ad intercettazioni telefoniche, vengono informati delle indagini compiute a loro carico e possono quindi interloquire al riguardo, e coloro ai quali, non avendo subito intercettazioni, cio' non e' consentito, possa ravvisarsi una violazione del principio di uguaglianza. L'incisione, attraverso l'intercettazione, nella sfera privata - tutelata come diritto costituzionale inviolabile - e' infatti elemento sufficiente a giustificare il diverso trattamento dei casi in cui tale incisione sia avvenuta da quelli in cui non sia occorsa. E' d'altronde indubbio - a prescindere dai suddetti profili di incostituzionalita' - che la disposizione impugnata, nel contenuto su specificato, trova sicuro fondamento nella garanzia alla riservatezza delle proprie comunicazioni. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 76 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 41, lett. e), legge 16 febbraio 1987, n. 81 - e 3 Cost., dell'art. 269, comma 2, ultima proposizione, cod. proc. pen. ' in parte qua'.)